Con l’ordinanza del 7 giugno il Tribunale dei Ministri ha disposto l’archiviazione del procedimento penale a carico di Giuseppe Conte e Roberto Speranza per i reati a loro carico ipotizzati dalla Procura di Brescia e relativi alle modalità con le quali gli allora Primo ministro e ministro della Salute avevano affrontato le prime settimane dell’epidemia provocata dal virus del Covid.
Per tutti e due l’imputazione più rilevante era quella di epidemia colposa per aver sostanzialmente ritardato l’adozione di misure idonee a contenere la diffusione del virus e conseguentemente aver causato una serie di morti evitabili.
Per la disamina dettagliata dei reati ipotizzati e del perché secondo il Tribunale dei Ministri essi non possono essere ascritti a responsabilità dei due imputati rimandiamo alla lettura integrale dell’Ordinanza che alleghiamo.
Qui vogliamo invece soffermarci, pubblicando integralmente ampi stralci della stessa Ordinanza, alle vicende convulse di quei giorni tra fine gennaio e i primi di marzo quando si passò dalla notizia di alcuni casi di contagio e morte causati da un virus sconosciuto isolato in Cina, alla dichiarazione dello stato di emergenza mondiale per una pandemia che avrebbe travolto prima noi e poi tutto il mondo nell’arco di pochissimo tempo e che ancora oggi è tra noi, con nuovi contagi e nuovi morti, seppur in misura considerata ormai endemica e non più emergenziale.
Sempre il 21 febbraio 2020, il C.T.S. evidenziava che le informazioni dalla Lombardia costituivano un cambiamento rilevante e suggeriva misure aggiuntive che tenessero conto del rapido mutamento delle informazioni scientifiche disponibili a livello internazionale. Non veniva comunque proposta l'istituzione di nuove zone rosse.
Il C.T.S., nella riunione del 22 febbraio 2020, richiesto di esprimersi circa l'opportunità di adottare l'ulteriore misura costituita dall'isolamento delle aree in cui era in atto la trasmissione del SARS- CoV-2, la raccomandava purché tempestiva avvertendo, peraltro, circa la necessità di valutare con attenzione la sostenibilità nel tempo di tale misura,
Il 23 febbraio 2020 veniva emanato il decreto-legge n. 6, recante "Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19", con il quale si stabiliva, tra l'altro, che le autorità competenti, tra cui il Presidente del Consiglio dei Ministri, allo scopo di evitare il diffondersi del SARS-CoV-2, nei comuni o nelle aree nei quali risultasse positiva almeno una persona per la quale non si conoscesse la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi fosse un caso non riconducibile a una persona proveniente da un'area già interessata dal contagio del menzionato virus, fossero tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all'evolversi della situazione epidemiologica.
Il decreto-legge, quindi, non vincolava in alcun modo le autorità competenti, tra cui il Presidente del Consiglio, all'adozione di una misura determinata in presenza dell'accertamento della positività di una persona per la quale non si conoscesse la fonte di trasmissione o che fosse collegabile ad una persona proveniente da un'area già interessata dal contagio del SARS-CoV-2.
In questi casi l'autorità competente avrebbe dovuto adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all'evolversi della situazione epidemiologica.
Proseguendo con l'analisi della successione degli eventi e delle misure adottate o proposte, per dar conto della rapidissima evoluzione dell' epidemia e della incertezza e mutevolezza dei dati conoscitivi in possesso del C.T.S. e quindi del Governo, va detto che il 23 febbraio 2020 Cajazzo, di Regione Lombardia, inviava una proposta di ordinanza regionale a Borrelli dove si distingueva tra zona rossa e gialla e che, alla polizia giudiziaria che ha proceduto alle indagini, non risultava che quest'ultimo ne avesse informato il C.T.S..
Nella riunione del 24 febbraio 2020, il C.T.S. dava conto del fatto che la qualità dei dati era insufficiente per definire un preciso profilo epidemiologico dell'epidemia e che, a quella data, ossia due giorni prima dell'inizio della condotta omissiva contestata all'allora Presidente del Consiglio Conte, non esistevano i presupposti per applicare nuove limitazioni al traffico aereo.
Nella stessa riunione il C.T.S. riteneva non giustificata l' esecuzione di tamponi in assenza di sintomi, segno evidente che, a quell'epoca, non era ancora del tutto chiaro il ruolo che gli asintomatici avevano nella diffusione del virus.
Sempre il 24 febbraio 2020, il Presidente della Regione Lombardia Fontana inviava al Presidente del Consiglio la nota 73167 con cui gli segnalava la necessità di acquisizione di nuovi D.P.I. mentre nulla veniva detto circa l'evoluzione del virus nella Val Seriana e neppure veniva richiesta l'istituzione di nuove zone rosse.
Il 25 febbraio 2020 veniva comunque emanato un D.P.C.M. relativo alla sospensione di eventi, viaggi e competizioni sportive.
È importante evidenziare che il 26 febbraio 2020 il C.T.S., con riguardo alla valutazione dell'estensione delle restrizioni al movimento delle persone in Lombardia, riteneva che non ve ne fossero le condizioni. Riteneva inoltre che non vi fossero le condizioni per aumentare i controlli ai passeggeri in partenza da Fiumicino.
Tenuto conto del parere espresso dal C.T.S., non si riesce, quindi, a comprendere su quali basi il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto istituire una nuova zona rossa in Val Seriana se anche il C.T.S. non riteneva che ve ne fossero le condizioni.
Proseguendo nell'analisi, va detto che il 27 febbraio 2020 il Presidente Fontana inviava a Coccoluto, vice Capo di Gabinetto del Ministro Speranza, una proposta di Regione Lombardia. Questa proposta, come ricostruito dalla polizia giudiziaria, non aveva ad oggetto l'istituzione di una zona rossa e non segnalava criticità relative al contagio.
Sempre nella stessa data, il Ministero della Salute emanava la circolare 6337, con allegato un documento redatto dal Consiglio Superiore di Sanità e sottoscritto dal dott. Franco Locatelli, sotto forma di appunto per il Ministro della Salute, da cui risultava che il livello di infettività non era compiutamente noto e che, in Cina, vi erano stati due casi non confermati di trasmissione da asintomatici. Il gruppo di lavoro riteneva non giustificabile l'esecuzione di test su asintomatici.
Ancora una volta, nei giorni in cui viene formalmente contestata un'omissione al Presidente Conte, non solo non gli era stato comunicato nulla di rilevante quanto all'istituzione della zona rossa, ma persisteva un grado di incertezza non trascurabile sul livello di infettività del virus.
Il 28 febbraio 2020 il C.T.S., preso atto dell'entità e delle modalità di diffusione del SARS-CoV-2 sul territorio nazionale e in considerazione della necessità di rivedere le misure di contenimento dell'infezione adottate sino ad allora, formulava proposte secondo "un principio di proporzionalità e adeguatezza alla luce della miglior evidenza scientifica disponibile".
Venivano proposte misure a carattere nazionale (divieto di viaggi di istruzione e all'estero), l'estensione del lavoro agile, la sospensione di tutte le manifestazioni ed eventi sportivi e la chiusura delle scuole per l'Emilia Romagna, la Lombardia ed il Veneto, l'adozione di misure igieniche, la sospensione delle procedure concorsuali.
Neppure il 28 febbraio 2020, quindi, fu prospettata al Presidente del Consiglio la possibilità di istituire ulteriori zone rosse.
Il 1° marzo 2020 veniva comunque emanato un D.P.C.M. che disponeva ulteriori misure per i comuni già rientranti nella zona rossa.
Il 2 marzo 2020 il Ministro della Salute sottoponeva al C.T.S. l'ipotesi di prevedere ulteriori misure di contenimento in aree dove il contagio era limitato.
Il C.T.S. proponeva alcune misure, tra cui quella di posticipare per almeno 30 giorni i convegni, senza però parlare di zone rosse.
La polizia giudiziaria, in relazione a questa riunione, acquisiva un appunto del dott. Miozzo da cui risulta che, alle 18, era presente il Presidente Conte e che Brusaferro avrebbe individuato in due comuni, quelli di Alzano Lombardo e Nembro oltre che Cremona, numeri preoccupanti con forte circolazione locale "per cui chi viene da fuori dovrebbe avere un accesso limitato al comune" e sarebbero state "necessarie misure di limitazione in ingresso e in uscita oltre che distanziamento sociale".
Il Presidente avrebbe evidenziato che la zona rossa "va usata con la massima parsimonia, perché ha costo sociale, politico, non solo economico, molto alto. Occorre indicare misure che siano sostenibili, fattibili sul piano operativo. Decide di rifletterci".
Dallo stesso appunto, il cui contenuto non è stato, nella sostanza, disconosciuto dallo stesso Giuseppe Conte, risultano, inoltre, ulteriori circostanze, non evidenziate dalla polizia giudiziaria, ossia che il Presidente del Consiglio avrebbe chiesto al C.T.S. di comprendere se la misura della zona rossa nei comuni di Nembro e Alzano Lombardo avrebbe avuto un effetto contenitivo reale, anche in termini comparativi, e che avrebbe chiarito che l'istituzione di eventuali nuove zone rosse avrebbe dovuto basarsi su criteri chiari e uguali per tutti.
Ciò posto, a prescindere dalla contraddittorietà esistente tra il verbale del C.T.S. e il contenuto dell'appunto di Miozzo, si deve ribadire che è irragionevole pretendere che il Presidente del Consiglio dovesse assumere la decisione di istituire una zona rossa, seduta stante, ossia non appena avute, verso le ore 18 del 2 marzo 2023, informazioni circa lo stato del contagio nei comuni di Nembro e Alzano Lombardo.
Ancora una volta, infatti, - rimarca ancora il Tribunale dei Ministri - non si riesce a comprendere su quali basi il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto assumere una decisione tanto grave immediatamente, posto che nei giorni precedenti nulla gli era stato prospettato in merito e che le informazioni nonché i dati scientifici, per quanto visto, erano incerti e fluidi.
Era quindi non solo ragionevole ma anche necessario che il Presidente del Consiglio acquisisse ulteriori elementi conoscitivi prima di istituire ulteriori zone rosse, dovendo contemperare diritti costituzionali di pari dignità.
Si trattava quindi di una decisione politica sottratta al vaglio giurisdizionale”.
La ricostruzione di quei terribili giorni fatta dal Tribunale dei Ministri finisce qui e penso che quanto accaduto e quanto raccontato in queste pagine debba far riflettere tutti, a partire dai parlamentari della Commissione d'inchiesta sul Covid che nei prossimi mesi saranno impegnati a ritornare su quanto accadde in quei giorni.
E chissà che la lettura di questa Ordinanza non aiuti a far sì che questa nuova indagine riesca a concentrarsi solo sugli eventuali errori commessi per evitare che si possano compiere di nuovo, piuttosto che nella ricerca di “nuovi” colpevoli cui addossare la colpa di non aver saputo fermare l’infermabile.
Cesare Fassari