Il ministro per gli Affari regionali e le autonomia Mariastella Gelmini è intervenuta oggi in aula alla Camera per rispondere a tre diversi question time riguardanti diversi aspetti del regionalismo differenziato.
Gelmini in prima battuta, rispondendo all'interrogazione a prima firma Antonio Federico (M5S), ha spiegato come si prevede che, "nelle 4 materie - sanità, istruzione, trasporti e sociale -, le regioni non possano essere destinatarie di funzioni ulteriori fin quando i LEP non saranno definiti". É stato poi evidenziato il tema di un "credibile e realistico" cronoprogramma di definizione dei LEP.
Di seguito la risposta integrale di Gelmini.
"Ringrazio l'onorevole interrogante per l'opportunità che mi viene data di spiegare i contenuti della legge quadro sull'autonomia. Premetto che il disegno di legge sull'autonomia, già nell'ottobre del 2021, è stato inserito fra i collegati alla manovra di bilancio, perché riteniamo che sia un tema importante rispetto al quale non sono più solo alcune regioni a chiedere l'autonomia - penso alla Lombardia, al Veneto e all'Emilia-Romagna -, ma la richiesta di maggiore autonomia è stata ora annunciata da altre regioni, come, per esempio, la Toscana, la Liguria, il Piemonte.
E, quindi, l'obiettivo principale che il Governo oggi ha è, da un lato, di mettere a terra le risorse del PNRR, che sappiamo essere finalizzate a ridurre le diseguaglianze, ad accorciare le distanze e a superare il divario Nord-Sud. Per noi, il rilancio del Mezzogiorno è al centro delle politiche del Governo e, quindi, è chiaro che non può esistere autonomia, se non coniugata con questo obiettivo contenuto all'interno del PNRR e delle politiche più ampie del Governo. L'obiettivo principale della legge è, quindi, quello di ribadire il rispetto assoluto della cornice costituzionale dei principi che lei prima evocava, contenuti nella Costituzione stessa, garantendo il più ampio ruolo del Parlamento. Come gli stessi interroganti riconoscono, la bozza di disegno di legge assicura il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni. Si prevede che, nelle 4 materie - sanità, istruzione, trasporti e sociale -, le regioni non possano essere destinatarie di funzioni ulteriori fin quando i LEP non saranno definiti.
Per quanto riguarda la necessità di fissare un tempo, nella proposta che è stata elaborata il passaggio ai costi standard e, quindi, il rispetto dei livelli essenziali di prestazione dovrebbe effettuarsi entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge. Personalmente, condivido la preoccupazione manifestata dall'interrogante che il finanziamento dei LEP possa essere ritardato o rinviato sine die e non può, quindi, sfuggire come il problema non sia di natura politica, ma di natura finanziaria.
Ciò detto, sono d'accordo sul fatto che vada posto in sede politica il tema di un credibile e realistico cronoprogramma di definizione dei LEP e questo è un punto oggetto di un confronto con il Ministero dell'Economia. Non vi è, dunque, alcuna volontà di cristallizzare l'esistente, cioè la spesa storica, anzi, nelle molte interlocuzioni con il MEF, ho chiesto che, in parallelo con l'avvio dell'autonomia differenziata, si trovino le risorse per finanziare alcuni LEP sin da subito, come è accaduto per gli asili nido e che possa, dunque, realizzarsi una conciliazione fra le istanze dei territori più svantaggiati e le aspettative delle regioni che chiedono l'autonomia".
Successivamente Gelmini ha risposto all'interrogazione a prima firma Alberto Stefani (Lega) annunciando la volontà di portare "in tempi rapidi" in Consiglio dei ministri quel disegno di legge quadro ormai pronto. Un testo che affonda le sue radici nel 2017, quando regioni come la Lombardia, il Veneto, l'Emilia-Romagna presentarono al Governo una proposta per avviare il negoziato finalizzato al conferimento di forme ulteriori e condizioni particolari di autonomia.
Di seguito la risposta integrale di Gelmini.
L'autonomia differenziata diventa, quindi, un tema non più di contrapposizione tra Nord e Sud ma ha assunto la dimensione di una questione nazionale, una questione di cui il Governo ha mostrato di volersi occupare, vedendola come una grande opportunità di efficientamento della spesa pubblica, di semplificazione e di sburocratizzazione, lontano da una lettura ideologica conflittuale.
L'autonomia differenziata così intesa non attribuisce - lo voglio sottolineare anche per convincere coloro che sono più refrattari alla proposta - alle regioni richiedenti risorse maggiori rispetto a quelle di cui attualmente dispongono, né toglie alcunché alle regioni che non abbiano avanzato alcuna richiesta di autonomia; ha piuttosto l'obiettivo di responsabilizzare le classi dirigenti, le quali, chiedendo più autonomia, raccolgono la sfida di poter esercitare, in condizioni di maggiore efficienza ed economicità, funzioni oggi svolte dallo Stato. Si vincolano così coloro che chiedono l'autonomia a un uso efficiente e razionale delle risorse e a una massimizzazione del rapporto fra costi e risultati.
Questa è in sintesi la ratio, il modello di autonomia che emerge dal disegno di legge che è mio intendimento portare quanto prima all'esame del Consiglio dei Ministri. Il lavoro istruttorio, d'altronde, è stato approfondito e ha visto il coinvolgimento di una commissione di esperti, presieduta dal compianto professor Beniamino Caravita di Toritto, che ha fornito agli uffici del Ministero analisi e spunti utili a una prima definizione del testo. Successivamente, tale bozza è stata oggetto di vaste interlocuzioni dapprima con le regioni che, voglio ricordare, nel febbraio 2018 avevano siglato accordi preliminari all'attuazione dell'autonomia differenziata e che hanno accettato di rinegoziare le intese, inquadrandole nella cornice della legge quadro. In seguito l'istruttoria ha riguardato il confronto con il Ministero del Sud che ha formulato buone osservazioni, già in parte recepite e in parte oggetto di approfondimento e di analisi. Il confronto si è allargato agli enti di ricerca, come, per esempio, allo Svimez e nel mese di aprile 2022 il testo è stato oggetto di un'interlocuzione con il MEF che ha richiesto alcune modifiche che sono state integralmente recepite. Quindi, il disegno di legge è oggetto oggi di ulteriori limature e aperture a modifiche migliorative, ma è pronto e mi auguro che possa essere valutato nel suo complesso in tempi rapidi all'interno del Consiglio dei Ministri anche alla luce dell'attuazione del federalismo fiscale che rientra nelle riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza da completare entro il 2026".
Infine è stato il turno dell'interrogazione a prima firma Federico Conte (Leu) alla quale il ministro Gelmini ha risposto spiegando come la strada di approvare una legge cornice sia stata intrapresa proprio "perché si tratta di una scelta non scontata ma che parte dalla volontà di assegnare un adeguato ruolo di confronto e di esame, anche decisionale, da parte del Parlamento".
Di seguito la risposta integrale di Gelmini.
"Premetto che il ricorso alla legge quadro nasce direi principalmente dalla volontà di coinvolgere il Parlamento. Se non ci fosse il desiderio di un protagonismo del Parlamento, alla luce del dettato costituzionale, potremmo procedere anche in assenza di una legge quadro. Al contrario, abbiamo scelto la strada di approvare una legge cornice, perché si tratta di una scelta non scontata ma che parte dalla volontà di assegnare un adeguato ruolo di confronto e di esame, anche decisionale, da parte del Parlamento.
Del resto, basterà ricordare che, nel febbraio 2018, tutte le tre regioni che fecero formale richiesta di maggiore autonomia siglarono con il Governo di allora, il Governo Gentiloni, accordi preliminari in assenza di una legge quadro a schema libero. Non è, quindi, banale avere oggi raccolto consenso almeno su questo elemento, ovvero che la legge quadro sia un punto fermo e imprescindibile. Il protagonismo del Parlamento comincia da qui: non termina con la legge quadro, ma comincia dalla legge quadro, dal poter modellare i contorni del disegno di legge a cui tutte le intese tra Governo e regioni dovranno conformarsi.
Ma non basta, perché il coinvolgimento del Parlamento si esplica anche nel procedimento di approvazione delle intese, dapprima attraverso la Commissione bicamerale per le questioni regionali, sede competente, e poi ovviamente all'interno. Non è ribadito nella legge, ma i regolamenti parlamentari sono vigenti e, quindi, è chiaro che le pre-intese verranno valutate all'interno di tutte le Commissioni parlamentari competenti. In questa fase, la Commissione bicamerale, sentite le Commissioni parlamentari competenti, potrà formulare rilievi sulla bozza di intesa fra Governo e regioni, i quali dovranno accogliere le modifiche che il Parlamento considera imprescindibili per non esporsi al rischio di una bocciatura dell'intesa in sede di votazione finale. Toccherà a questo punto a Governo e regione proporre una nuova formulazione che possa superare il voto delle Aule.
Come si vede l'intervento del Parlamento non è affatto notarile. Al contrario, esso garantisce sostanza politica all'intervento delle Camere, senza però intaccare il vincolo costituzionale dell'inemendabilità dell'intesa in sede di votazione finale, che non è una presa di posizione del Governo ma è quanto emerso durante il Governo Gentiloni ed è un punto affermato in maniera unanime dalla dottrina costituzionale.
Per quanto riguarda gli strumenti e le modalità di finanziamento dell'autonomia differenziata, mi riferisco al tema della perequazione, è chiaro che il provvedimento non modifica l'articolo 119, che è sovraordinato, e quindi il fondo perequativo è assolutamente compreso, perché non è di pertinenza della legge sull'autonomia differenziata integrare il disegno costituzionale di decentramento, ma di certo il compito che può avere l'autonomia è quello di avvicinare l'approvazione della riforma del federalismo fiscale contenuta all'interno delle riforme previste dal PNRR da approvare entro il 2026".