Nessuna lotta tra “basagliani” e “non basagliani”
07 LUG -
Gentile Direttore,
“Trieste, il concorso che tradisce Basaglia - Una psichiatria violenta e arcaica si fa largo per favorire il mercato sanitario privato”. Questo è solo un esempio di quanto è uscito sulla stampa nelle ultime settimane; segnatamente
il Manifesto, che ha molte mie simpatie, ma che questa volta manca il bersaglio. Nella querelle il pubblico che dall’esterno avesse seguito le notizie avrebbe ricavato l’impressione di psichiatri buoni e psichiatri cattivi che si fronteggiano.
Esiste un problema di categorie, senza una corretta definizione delle quali un discorso dialettico produce risultati errati, poco aderenti alla realtà concreta.
Una notizia: non esiste una divisione, e tanto meno una lotta, tra sedicenti psichiatri “basagliani” e ancor più indefiniti psichiatri “non basagliani”. Perché questo fronte semplicemente non esiste.
Cosa è quindi successo a Trieste (o più precisamente, dopo Trieste), veramente? E’ successo che qualcosa d’altro è entrato in scena, e ha determinato ciò che alla fine è sembrata una poco degna gazzarra; qualcosa che può determinare lotte e guerre: l’ideologia, magari screziata di politica.
Questa introduzione è a favore (oserei dire, a nome) dei tantissimi orfani della (presunta) dualità escludente basagliani/non basagliani, che rappresentano la stragrande maggioranza degli psichiatri che si limita a svolgere un quotidiano e difficile lavoro, lasciando le ideologie abbracciate radicalmente nel cassetto della propria memoria, e affrontando la dura realtà quotidiana di disturbi psichiatrici in aumento, risorse in diminuzione, scarsi finanziamenti manifestazione della insufficiente considerazione, alla fine, della disciplina e dei suoi pazienti.
Le racconto una realtà: nessun operatore della psichiatria, ma proprio nessuno, può prescindere dalla L. 180, sul versante ideale e valoriale come su quello della realtà che ne è discesa. E nessuno ne prescinde, nessuno lavora in un senso opposto a quanto quel passaggio epocale ha tracciato, oppure lavora per rinchiudere ancora i pazienti. Quindi, non esistono non basagliani. Semmai esistono operatori della psichiatria che non lavorano bene, individualmente o influenzando negativamente singole e parcellari realtà organizzative, ma anche così poco cambia: non paventate anti basagliani, che non esistono.
Purtroppo, anche in una realtà come la psichiatria, regno del dubbio, della difficoltà a inquadrare univocamente dei disturbi, di definire cosa fa parte della fisiologia della persona e cosa invece diventa disfunzionale, della fatica di capire (Racamier: ho capito qualcosa della schizofrenia quando mi sono reso conto che non capivo nulla), del pericolo di giungere a definizioni univoche e definitive (con il grande pericolo, questo sì, esistente, della reificazione della persona dietro a una diagnosi), ecco, anche in una realtà multiforme e multideterminata come questa esiste chi applica radicalismi e ideologie, e così, a prescindere da cosa alimenta o qualifica tali radicalizzazioni, già si scosta dal reale e concreto. Ma fa di più: gli altri diventano cattivi e incapaci, addirittura pericolosi.
La scissione, altrimenti imputata ai pazienti, diviene opera e struttura di costoro, “unti” a tal punto da pretendere l’imprimatur, dopo decine di anni, personale, a loro stessi ancor prima che alle loro opere.
E finiscono, poi, per incaramellare (nel senso letterale, da caramello - e non velico) nel buonismo e nell’esibizione di zuccherosa empatia (sempre a protezione dai cattivi, va da sé) la pretesa esclusiva loro capacità di entrare in contatto con il paziente e la sua vita.
Noi, né basagliani fondamentalisti né (ma minimamente) antibasagliani (come, in fondo, per ogni cosa), cerchiamo di barcamenarci onestamente tra le difficoltà e i nostri errori, tra il quotidiano lavoro e le critiche che mondi disinformati (o informati da quelli che gridano più forte e radicalizzando la realtà abbagliano con il risplendere dei contrasti forti bianco/nero, e il mondo dell’informazione vi si è adagiato ampiamente, ho visto), per raggiungere i migliori risultati possibili.
Ho visto una donna che in un disturbo delirante ha accusato il marito di molestie sessuali alla figlia: dopo anni di comunità ha ricucito il rapporto con la figlia, gestisce la propria vita, seppure semplificata, e ha superato anche le complicazioni legali cui era andata incontro. Ho visto un uomo che, portatore di malattia psichiatrica gravissima, ora vive a casa, frequenta la rete sociale che lo circonda e sì, perdonateci, assume farmaci a dosaggi piuttosto alti. Ho visto cose che gli orfani, in questa strana vicenda, tra sedicenti basagliani e indefiniti anti basagliani, vedono normalmente nelle loro attività.
Dirigo un servizio che copre 750.000 abitanti, con due reparti, 6 ambulatori, varie comunità, centri diurni, una grande area della disabilità, ecc, non ho tempo per fermarmi su questa questione oltre a quello dedicato per comunicare qui il mio pensiero. Se non si conosce nella sua interezza la psichiatria, non la si giudichi, semmai la si aiuti nella sua intrinseca debole potenza, ma attenzione, se ci si vuole avventurare in un viaggio di scoperta, un occhio al Virgilio da cui si è accompagnati.
Nota finale: non mi pronuncio sul procedimento amministrativo di cui si è parlato. Come si vede, esula dal senso di quanto ho voluto comunicare e, elemento non secondario, ne ignoro i passaggi e le modalità di attuazione.
Antonio Amatulli
Direttore Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze - ASST Brianza
07 luglio 2021
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