Sigarette radioattive: Big Tobacco sapeva
È dal 1959 che le aziende produttrici di sigarette sono a conoscenza della presenza di polonio-210 nel tabacco. Ma non hanno fatto nulla, anzi, si sono messe di traverso per ridurre i costi e mantenere alta la capacità delle sigarette di indurre dipendenza.
27 OTT - Le aziende produttrici di sigarette sapevano fin dal 1959 della presenza di sostanze radioattive nel fumo di tabacco e dei danni che potevano arrecare. E non soltanto non hanno fatto nulla per impedirlo, ma si sono anche messe di traverso affinché il dato non trapelasse nella comunità scientifica.
Getta un’ombra ancora più nera su Big Tobacco lo studio condotto da ricercatori dell’University of California Los Angeles e pubblicato nel numero di settembre di Nicotine & Tobacco Research.
Attraverso l’analisi di decine di documenti segreti delle aziende produttrici di sigarette, resi pubblici in Usa nel 1998, i ricercatori hanno constatato come le aziende abbiano messo per anni in atto una precisa politica per mascherare o nascondere la correlazione tra sigarette e polonio-210 (per intenderci, quello che nel 2006 uccise l’ex agente dei servizi segreti russi Aleksandr Litvinenko).
Il polonio-210 può essere assorbito dalle foglie della pianta di tabacco sia attraverso l’esposizione al radon normalmente presente in atmosfera, sia attraverso i fertilizzanti. Una volta intrappolato nelle foglie è destinato a finire nei polmoni dei fumatori.
Big Tobacco sapeva
L’analisi dei documenti ha consentito ai ricercatori di affermare che “l’industria era ben consapevole della presenza di sostanze radioattive nel tabacco già prima del 1959”. Ed era anche preoccupata. Al punto da condurre per decenni studi che valutassero l’effetto dell’isotopo radioattivo sui fumatori, compresi “calcoli radiobiologici per stimare l’assorbimento a lungo termine nei polmoni delle particelle alfa emesse dal fumo di sigaretta”.
Non basta: “abbiamo dimostrato che l’industria ha usato comunicazioni ingannevoli per confondere le acque sul rischio di particelle ionizzanti che raggiungono i polmoni dei fumatori e - cosa più importante - ha impedito tutte le pubblicazioni sulla radioattività del fumo”, ha affermato il primo autore dello studio, Hrayr S. Karagueuzian, professore di Cardiologia alla University of California Los Angeles (UCLA).
Nel frattempo, però, è diventato sempre più chiaro come il polonio-210 potesse dare il via allo sviluppo di tumori polmonari.
Le particelle radioattive, hanno spiegato gli autori, si accumulano nelle biforcazioni bronchiali, formando dei «punti caldi» da cui poi di disperdono nei polmoni. Diverse ricerche hanno evidenziato come i tumori polmonari si espandano proprio dalle biforcazioni bronchiali dove si trovano questi «punti caldi». “Siamo abituati a pensare che soltanto le sostanze chimiche contenute nelle sigarette possano causare il cancro ai polmoni”, ha aggiunto Karagueuzian. “Ma il caso di questi «punti caldi», conosciuti dall’industria così come dall’Accademia, rafforzano l’idea che esista la possibilità di sviluppo nel lungo termine a partire dalle particelle alfa. In pratica, se siamo fortunati, le cellule irradiate dalle particelle alfa muoiono. Se non lo siamo, possono mutare e diventare cancerose”.
Due volte colpevoli
Ad aggravare la posizione di Big Tobacco, per i ricercatori, c’è un altro elemento. Benché consapevoli dei rischi dell’esposizione al polonio-210, non ha messo in atto nessuna contromisura. E ciò, nonostante le aziende disponessero fin dal 1959 delle tecniche per eliminare dalle foglie di tabacco i residui di materiale radioattivo. Tecniche ulteriormente perfezionate nel 1980 con la messa a punto del lavaggio acido.
Perché non usarle, allora? L’industria ha spesso addotto tra le ragioni l’aumento dei costi o l’impatto ambientale dell’impiego di queste tecniche, ma la spiegazione data dai ricercatori è un’altra. “L’industria era preoccupata che il lavaggio acido ionizzasse la nicotina, rendendo più difficile il suo assorbimento a livello cerebrale e privando i fumatori del piacere connesso alla nicotina essenziale per alimentare la dipendenza”, ha spiegato Karagueuzian.
27 ottobre 2011
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