IAS 2011. Prioritario rilanciare l’accesso ai farmaci nei Paesi in via di sviluppo
Ancora 9 milioni di persone nel mondo non hanno accesso alle terapie e la gestione dei pazienti diventa sempre più complessa. Ma l’attenzione all’Aids sta scemando, così come si riducono i fondi stanziati ai programmi di lotta alla malattia.
19 LUG - Si è aperta con un occhio ai Paesi in via di sviluppo, dove vive più del 90 per cento della popolazione con Hiv/Aids, la seconda giornata della VI Conferenza su Patogenesi, Trattamento e Prevenzione dell’HIV.
“Fino a oggi la risposta all’Aids ha portato a una mobilitazione senza precedenti e a significativi progressi in termini di prevenzione e trattamento”, ha dichiarato Elly Katabira, chairman dell’IAS 2011 e presidente dell’IAS aprendo i lavori. “Tuttavia, le proiezioni sui contagi per il prossimo decennio e il crescente numero di persone che vivono più a lungo con l’HIV suggeriscono la necessità di valutare se rimodellare o perfezionare questo tipo di azioni possa fornire una risposta più efficace alle nuove sfide che abbiamo di fronte.”
L’accesso alla terapia antiretrovirale nei Paesi del Sud del mondo rimane la sfida più grande. Un decennio dopo le prime iniziative per introdurre e diffondere le terapie antiretrovirali, il numero degli individui che ricevono la ART è aumentato significativamente. Secondo una recente stima dell’Oms, sei milioni di persone con Hiv/Aids hanno iniziato l’ART e il 75% di essi vive nell’Africa sub-Sahariana. Il risultato è stato una significativa diminuzione della mortalità e della virulenza. Ma ancora non è sufficiente: si stima che altri 9 milioni sono ancora esclusi dal trattamento.
Non è insomma il momento di tirare i remi in barca, anche se è evidente il recente declino di interesse e la diminuzione di fondi per la lotta all’Aids. Tuttavia, ha sottolineato Serge Eholié, professore di Malattie Tropicali e Infettive presso la Scuola Medica della University of Abidjan, un maggiore impegno finanziario è necessario ma non sufficiente per ottenere risultati accettabili e duraturi nella lotta all’Aids nei Paesi in via di sviluppo. Occorre che i programmi si conformino alle nuove linee-guida terapeutiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità; che si tenga conto del crescente numero di pazienti che hanno risultati negativi con la terapia di prima linea e si garantisca loro l’accesso alla terapia di seconda linea (che però ha un costo da quattro a cinque volte più alto); che si affronti il nodo degli effetti collaterali della terapia e si garantisca continuità assistenziale. Infine, che si vada a incidere sulle condizioni socio-politiche di quei Paesi, che possono rappresentare un freno all’attecchimento di politiche sanitarie efficaci.
Per questo, ha sottolineato Stefano Vella, Co-Presidente di IAS 2011 locale e direttore del dipartimento del farmaco all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), “il dibattito sul futuro delle politiche sull’HIV/AIDS deve garantire un ruolo più ampio alle scienze sociali”, che rappresentano “un elemento cruciale per migliorare l’efficacia della prevenzione, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, nei quali sfide significative restano da affrontare per un efficace diffusione dell’ART”.
Potrebbe essere un vero e proprio cambiamento epistemologico per le politiche anti-Aids, che porterà a integrare un approccio bio-medico a uno che tenga conto del contesto e degli individui su cui incideranno gli interventi. “Per poter definire l’impegno sul fronte della prevenzione dell’Hiv, i comportamenti delle persone non possono essere separati dalle strutture sociali, culturali e politiche di appartenenza”, ha commentato Susan Kippax, docente emerito presso Social Policy Research Centre della University of New South Wales di Sydney. “Gli aspetti biomedici non debbano essere separati dalle altre componenti in gioco”, ha sottolineato. Quindi, ha aggiunto, “indipendentemente dal fatto che i programmi o gli interventi di prevenzione insistano o meno sull’uso di preservativi, sulla prevenzione dello scambio di siringhe, sui microbicidi o la profilassi pre- o post-esposizione o, ancora, sulle terapie precoci per prevenire il contagio, ogni tipo di prevenzione necessita che le persone cambino le proprie abitudini sociali; cambiamenti che per poter essere messi in atto e sostenuti non possono essere demandati alla sola buona volontà dei singoli: necessitano del sostegno di una più ampia trasformazione sociale”.
19 luglio 2011
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