Telecardiologia: grandi progressi ma nessuna risorsa
Oggi sono circa 10 mila i pazienti che portano un device cardiaco impiantabile e sono monitorati in remoto. Entro cinque anni questo tipo di gestione potrebbe diventare lo standard, con benefici per i pazienti, risparmi per il Servizio sanitario nazionale e migliore gestione delle risorse.
Tuttavia, attualmente, non esiste alcun riconoscimento e remunerazione del lavoro di follow-up da remoto.
01 DIC - In Italia nel 2009 sono stati impiantati circa 20 mila defibrillatori e oltre 60 mila pacemaker. Un numero destinato a crescere nei prossimi anni come conseguenza dell’aumentare dell'età media della popolazione e dell’ampliarsi delle indicazioni all’impianto di dispositivi cardiaci. Sebbene queste tecnologie rappresentino uno straordinario contributo nella gestione di alcune patologie cardiache, il loro utilizzo richiede un notevole impegno per i pazienti e per il personale medico-sanitario, soprattutto a causa dei continui controlli richiesti (circa 180 mila nell’ultimo anno) come parte integrante della terapia. Controlli che la telemedicina, ormai applicabile a ogni tipologia di dispositivo cardiaco impiantabile, può rendere meno onerosi, utilizzando il monitoraggio remoto del device e dei segni vitali del paziente, tramite la trasmissione automatica dei dati allo specialista.
La nuova tecnologia comincia ad affermarsi anche nel nostro Paese, come dimostrano i 10 mila pazienti che portano un dispositivo cardiaco impiantabile (pacemaker, defibrillatori, resincronizzatori) monitorato a distanza. Si prevede inoltre che entro cinque anni che questa modalità rappresenterà lo standard per il monitoraggio dei device impiantati. Tuttavia, restano ancora molti nodi irrisolti.
“Questa tecnologia - ha spiegato Massimo Santini, direttore del Dipartimento Cardiovascolare dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma, nel corso del del Congresso “Progress in Clinical Pacing” - si inserisce in un’ottica di miglioramento e di maggior efficienza di cura del paziente, con benefici sia per il soggetto stesso sia per la struttura ospedaliera che se ne occupa. Benefici - ha aggiunto Santini - che si possono riassumere in una riduzione del numero di visite ambulatoriali, dei ricoveri ospedalieri, del tempo del personale medico-infermieristico dedicato al follow up, con la liberazione di risorse che possono essere destinate ai nuovi pazienti arruolati, un miglioramento della gestione clinica delle aritmie e degli episodi di scompenso, grazie alla rilevazione immediata di possibili eventi avversi con la conseguente introduzione di interventi tempestivi mirati. Non possiamo, poi, dimenticare l’ottimizzazione del consumo di risorse con un utilizzo più razionale del personale e una migliore organizzazione del lavoro”.
Insomma, i benefici sono tanti. Lo dimostra anche un’indagine compiuta presso il centro di elettrostimolazione cardiaca del Dipartimento Cardiovascolare dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma (
leggi l'approfondimento).
Tuttavia, le norme che regolano il settore sono rimaste un passo indietro rispetto all’avanzare delle nuove tecnologie: in particolare - hanno denunciato gli esperti riuniti per l’evento - nel nostro Paese il sistema di monitoraggio remoto non viene equiparato, da un punto di vista amministrativo, a una visita ambulatoriale.
La situazione attuale vede, quindi, le strutture ospedaliere senza riconoscimento e remunerazione del lavoro di follow-up da remoto.
“Il recepimento sorprendentemente rapido a livello italiano di questa tecnologia - ha commentato il senatore Antonio Tomassini, presidente della XII Commissione Permanente Igiene e Sanità del Senato - è avvenuto, quindi, in totale assenza di un quadro amministrativo definito, a differenza di altri Paesi europei, come Germania, UK, Spagna, Finlandia e Svezia” (
guarda la tabella).
“La naturale e attesa attuazione di una tariffa specifica parificata, almeno a quella che attualmente viene applicata al controllo ambulatoriale dei dispositivi cardiaci impiantabili - ha concluso il senatore - permetterebbe da un punto di vista amministrativo, di riconoscere il telemonitoraggio con un normale follow-up e ne coadiuverebbe la diffusione nelle strutture ospedaliere, aumentando l’efficienza delle stesse, a beneficio della qualità di vita del paziente”.
Purché, ha aggiunto il senatore Cesare Cursi, ci si impegni per garantire equità tra le Regioni nell'offerta di questi strumenti innovativi.
01 dicembre 2010
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Cronache