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Aborto. Un medico obiettore non può negare cure dopo Ivg


Lo stabilisce la sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna a un anno di carcere, per omissione di atti d’ufficio, con annessa interdizione dall’esercizio della professione medica, nei confronti di una dottoressa in servizio presso una struttura ospedaliera della provincia di Pordenone.

03 APR - Per la Corte di Cassazione un medico obiettore di coscienza non può negare le cure dopo un’interruzione di gravidanza. Il caso, su cui ieri la sesta sezione penale dell’Alta Corte ha depositato una sentenza di condanna, è quello di una dottoressa operante in una struttura  ospedaliera della provincia di Pordenone, medico di guardia, che si è resa colpevole di aver rifiutato l’assistenza a una paziente che aveva abortito, negandole la visita e le cure nonostante la donna fosse a rischio emorragia.
 
La giustificazione che la dottoressa ha dato al suo comportamento è fondata su un’interpretazione estensiva della legge 194, articolo 9, secondo la quale l'obiettore di coscienza è esonerato dal dovere di intervenire durante tutto il procedimento di interruzione volontaria di gravidanza, inclusa la fase di espulsione del feto, e sino al momento espulsivo della placenta.
 
Invece per la sesta sezione penale della Suprema Corte si “esclude che l’obiezione possa riferirsi anche all’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. Quindi se c’è legittimazione per il medico obiettore al diritto di rifiutare la somministrazione chirurgica o farmacologica dell’aborto questo non vuol dire “omettere di prestare assistenza prima o dopo” in quanto il medico è tenuto a rispettare il vincolo che lo obbliga ad “assicurare la tutela della salute e della vita della donna, anche nel corso dell’intervento di interruzione di gravidanza”.
 
La sentenza della Cassazione, non intaccando la libertà di sottrarsi all’intervento da parte di chi ritiene che gli effetti derivanti dall’adempimento siano contrari alle proprie convinzioni ideologiche, morali o religiose, ribadisce il principio a cui tutti i medici, obiettori compresi, sono tenuti ad uniformarsi: l’interdizione di opporre il rifiuto d’intervento in caso di stato di necessità, quando la donna sia in pericolo di vita. In altre parole anche l’obiettore di coscienza è obbligato, sia moralmente che deontologicamente a completare la procedura di aborto se questa risulta indispensabile ai fini della vita della paziente stessa.

03 aprile 2013
© Riproduzione riservata

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