Antonio Panti è stato un grande amico di questo giornale. Gli ha voluto bene e lo ha arricchito costantemente dei suoi contributi schietti e appassionati.
Antonio Panti è stato un uomo di parte: e la sua era quella della sanità pubblica e dei medici e degli operatori sanitari che in essa credono e ad essa dedicano la vita, non solo quella professionale.
Vivace polemista non è mai venuto meno al piacere del confronto, anche diretto, con amici e “nemici” di penna e su Qs ne abbiamo letti tanti di duelli al fulmicotone con un altro nostro grande amico, Ivan Cavicchi.
Rileggendo oggi i suoi scritti e anche quei botta e risposta emergono però non solo il suo carattere e la sua verve polemica e la sua indiscutibile “bella penna”…quello che traspare e che unisce i suoi scritti è soprattutto una sana e incrollabile fiducia verso la nostra sanità pubblica e la sua intrinseca valenza di collante sociale e morale del Paese.
Una fiducia maturata tra i ranghi della medicina di famiglia, di quella che fu in origine la medicina della “mutua” e che, nell’immaginario collettivo, è rappresentata dal medico arruffone e arrivista impersonato indelebilmente da Alberto Sordi.
Ecco, Antonio Panti, se fosse stato anche attore, oltre che medico e saggista, avrebbe potuto portare sullo schermo il suo opposto: per Panti il medico di famiglia era infatti un elemento fondante dell’etica pubblica della sanità. Un riferimento primario per il cittadino/paziente ma anche il tramite naturale e indispensabile tra cittadino e “sistema” sanitario.
Una convinzione e una fede ben delineate nel suo ultimo contributo apparso su QS, il 2 novembre scorso: “Ho sempre pensato che lo sforzo di tutti gli uomini di buona volontà, dovesse volgersi all’applicazione dei principi della 833, l’universalità del diritto e l’uguaglianza delle prestazioni. Un perno di questo assioma risiede in una forte medicina generale, porta del servizio e unica relazione dei cittadini con un medico da essi scelto.
Quindi fine del lavoro individuale, il medico generale opera soltanto nella AFT che è presidio di prossimità, connessa con l’ospedale mediante percorsi assistenziali interprofessionali, con ambulatori aperti h12, in cui si garantisce l’attenzione all’ambiente fondamento della prevenzione, si utilizza la diagnostica di base e si affrontano i codici semplici, si opera in sintonia con gli infermieri di comunità. Il tutto integrato con le case di comunità, in cui si offre assistenza sociale e si recepiscono i bisogni della cittadinanza”.
A leggerle ora queste righe, a poche ore dalla sua morte, esse appaiono come una sorta di testamento morale e ideale rivolto a tutti noi e a tutti coloro che credono come lui nella nostra sanità pubblica.
Ciao Antonio, ci mancherai moltissimo.
Cesare Fassari e Luciano Fassari