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Accreditamento centri privati di emodialisi. Consiglio di Stato: “Legittima richiesta Asl di requisiti specifici oltre a quelli previsti”

I giudici di Palazzo Spada hanno respinto il ricorso di due centri privati contro una sentenza del Tar che aveva dato ragione alla Asl che aveva inserito ulteriori requisiti rispetto a quelli previsti dal regolamento regionale. “Gli operatori privati non possono considerarsi estranei alla necessità di raggiungere – in particolare per determinate branche relative a gravi patologie – livelli di efficienza massimi, anche a costo di un aggravio di impegni di uomini e di mezzi”. LA SENTENZA

07 MAG - “E’ legittima la richiesta da parte della Azienda sanitaria di requisiti specifici per l’accreditamento di Centri privati di emodialisi anche se ciò comporta un aggravamento rispetto al Centro che opera in regime privatistico”. È quanto ha stabilito il Consiglio di Stato che ha confermato la decisione del Tar Campania contro cui avevano fatto ricorso due Centri privati di emodialisi.
 
La Sezione ha infatti chiarito “che gli operatori privati - in quanto impegnati, insieme alle strutture pubbliche, a garantire l'essenziale interesse pubblico alla corretta ed appropriata fornitura del primario servizio della salute - non possono considerarsi estranei alla necessità di raggiungere – in particolare per determinate branche relative a gravi patologie – livelli di efficienza massimi, anche a costo di un aggravio di impegni di uomini e di mezzi”.
 
“Tali conclusioni – rileva il Consiglio di Stato - ben si armonizzano con i principi, costantemente elaborati dalla Sezione (18 gennaio 2018, n. 321) nella materia degli accreditamenti concessi a strutture private, secondo cui chi intende operare nell’ambito della sanità pubblica deve accettare le condizioni da questa imposte, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, pur in presenza di restrizioni, beni costituzionali di superiore valore quale i livelli essenziali relativi al diritto alla salute. In alternativa, agli operatori resta la scelta di agire come privati nel privato”.
 
“Dunque – conclude -, le strutture private che decidono di lavorare con il Servizio sanitario sanno bene di dover sacrificare parte della loro autonomia imprenditoriale ma accettano tale limitazione in cambio della sicurezza – assente nel libero mercato – di un minimo di prestazioni garantite. Si tratta dunque di una scelta consapevole e reversibile, perché lascia comunque sempre liberi – ove le condizioni imposte dalla Regione (o dalla Asl delegate) non siano ritenute più convenienti – di tornare ad operare solo in regime privatistico (Cons. St., sez. III, 23 agosto 2018, n. 5039)”.

07 maggio 2019
© Riproduzione riservata

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