Consulta boccia legge Calabria: “Consiglio regionale non può legiferare su materie di competenza Commissario ad acta”
La legge era stata impugnata dal Governo. Tra le norme cassate dalla Corte quella sull'istituzione dei servizi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico sanitarie, tecniche della prevenzione e delle professioni sociali. Respinta invece la richiesta di incostituzionalità per l'allungamento a un anno dell'incarico dei commissari delle Asl. LA SENTENZA.
19 LUG - Le prescrizioni contenute nell'art. 1, comma 1, lett. b) e lett. c) e nell'art. 3 della legge Regionale n. 11 del 20 aprile 2016, recante «istituzione dei servizi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico sanitarie, tecniche della prevenzione e delle professioni sociali - modifiche alla legge regionale 7 agosto 2002, n. 29» “eccedono dalle competenze regionali e sono violative di previsioni costituzionali e illegittimamente invasive delle competenze dello Stato; la legge deve pertanto essere impugnata in parte qua, come con il presente atto effettivamente la si impugna, affinché ne sia dichiarata la illegittimità costituzionale, con conseguente annullamento”.
L
a Consulta, accogliendo la richiesta dell'Avvocato generale dello Stato, ha bocciato la legge della Calabria, impugnata appunto dal Governo perché potrebbe interferire con i poteri del commissario ad acta nominato in materia di Sanità.
I giudici della Consulta hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale anche della lettera d) dello stesso articolo di legge limitatamente all'inciso "definendone gli aspetti organizzativi, gestionali e dirigenziali". Dopo avere rilevato "la tardività della costituzione della Regione Calabria, avvenuta il 9 settembre 2016", i giudici sostengono che "sono vincolanti, per le Regioni che li abbiano sottoscritti, gli accordi previsti dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311 finalizzati al contenimento della spesa sanitaria e al ripianamento dei debiti".
I giudici delle leggi ricordano nella sentenza che il mandato commissariale del 12 marzo 2015 affida al Commissario ad acta, al punto 4), tra le azioni e gli interventi prioritari, “l'adozione del provvedimento di riassetto della rete di assistenza territoriale, in coerenza con quanto specificamente previsto da patto per la salute 2014-2016”, e al punto 1), “l'adozione del provvedimento di riassetto della rete ospedaliera, coerentemente con il Regolamento sugli standard ospedalieri di cui all'intesa Stato-Regioni del 5 agosto 2014 e con i pareri resi dai ministeri affiancanti, e le indicazioni formulate dai Tavoli tecnici di verifica”.
La Consulta inserisce quindi in questo contesto la legge regionale n. 11/2016, con la quale la Regione, modificando la legge regionale 7 agosto 2002, n. 29, regolamenta i servizi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative tecnico sanitarie, le tecniche della prevenzione e delle professioni sociali. La norma regionale prende formalmente atto di quanto disposto dal Commissario ad acta con il decreto n. 130 del 16 dicembre 2015: ma in realtà si discosta da esso in maniera sostanziale. La legge autorizza infatti il Consiglio regionale della Calabria, relativamente all'organizzazione dell'attività assistenziale, a istituire il Servizio delle professioni sanitarie (SPS) (lett. b) dell'art. 1 della legge oggi impugnata), e (art. 1, lett. c), il Servizio sociale professionale (SSP) in tutte le Aziende sanitarie provinciali, ospedaliere, universitarie e presso il dipartimento Tutela della Salute della Regione Calabria, in contrasto con le disposizioni del decreto commissariale n. 130 del 16 dicembre 2015 che ha fornito alle Aziende del Servizio sanitario della Regione Calabria criteri condivisi per l'adozione dei singoli atti aziendali, nell'ambito dei quali esercitare la propria autonomia organizzativa, in quanto direttamente istitutive dei Servizi, “sostanzialmente avocandosi al Consiglio regionale una competenza propria delle Aziende sanitarie il cui esercizio avrebbe dovuto invece essere vagliato dalla struttura commissariale”. Da questo secondo i giudici discende la incostituzionalità della legge regionale.
Secondo la Corte “'l'illegittimità costituzionale della legge regionale sussiste anche quando l'interferenza è meramente potenziale e, dunque, a prescindere dal verificarsi di un contrasto diretto con i poteri del commissario incaricato di attuare il piano di rientro (sentenza n. 110 del 2014)» (sentenze n. 14 del 2017 e n. 227 del 2015). Nel caso di specie l'interferenza sussiste, poiché le disposizioni impugnate istituiscono in via legislativa il Servizio delle professioni sanitarie (SPS) e il Servizio sociale professionale (SSP) presso tutte le aziende sanitarie e ospedaliere, mentre il decreto commissariale n. 130 del 2015 - adottato nell'esercizio dei poteri di riassetto delle reti ospedaliera e di assistenza territoriale conferiti con il mandato del 20 marzo 2015 - rimette (in conformità all'art. 7 della legge 10 agosto 2000, n. 251, recante «Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica») l'istituzione (anche) di tali strutture operative ad atti aziendali, di competenza dei dirigenti generali, soggetti all'approvazione del commissario medesimo”.
Non è fondata, invece, secondo la Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione Calabria che innalza da sei a dodici mesi (rinnovabili) la durata del mandato dei commissari straordinari, di nomina regionale, presso le aziende sanitarie e ospedaliere.
Il ricorso della Presidenza del Consiglio sosteneva infatti che il prolungamento della durata di queste gestioni straordinarie determinerebbe la loro equiparazione alla gestione ordinaria, in violazione dell'art. 3-bis, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, che pone determinati requisiti per la nomina a direttore generale delle aziende sanitarie.
"L'assunto non può essere condiviso", secondo la Consulta. Questo perché la durata del mandato commissariale, anche se prolungato a un anno, non è equiparabile a quella del direttore generale, che va da tre a cinque anni .
"Il prolungamento - conclude la sentenza - non è, all'evidenza, finalizzato a rendere ordinaria la gestione commissariale, ma solo a consentire che essa abbia, secondo la non irragionevole valutazione del legislatore regionale, una durata adeguata alla delicatezza e alla complessità dell'incarico".
19 luglio 2017
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