Il benessere del paziente passa anche attraverso il benessere del medico
di Ornella Mancin
04 MAG -
Gentile direttore,
ho letto con interesse
l’intervento di Giacomo Mangiaracina sulla difficoltà del medico di famiglia a gestire l’ampio spettro emozionale che si viene a formare nell’ambito della relazione terapeutica medico paziente. Molto interessante la distinzione di come viene percepito il medico dal paziente (servitore, bravo, curante, amico, parafulmine) che nella mia esperienza, come immagino in quella di altri colleghi, molto spesso risulta intersecarsi per cui gli ambiti non sono mai così netti, né permangono sempre definiti nel tempo ma tendono a variare a seconda dell’interesse del paziente o della sua situazione emotiva.
Di sicuro il medico che esce dal suo lungo percorso di Studi Universitari non è stato preparato a gestire questo complesso rapporto con il paziente, che nel caso del medico di famiglia è un rapporto solitamente lungo in termini temporali e allargato a gran parte della sfera affettiva dell’assistito.
Come spesso capita ci si forma sul campo e a volte la formazione non è esente da “batoste” che si accumulano negli anni sulle spalle del professionista rendendolo o più “duro” e quindi meno incline a lasciarsi coinvolgere o in alcuni casi portandolo verso il rischio “burn out” per la difficoltà a frasi carico di tutta la sfera emozionale del paziente. Nel mezzo ovviamente ci stanno tutte le gradazioni possibili che rendono il rapporto medico paziente generalmente unico.
Certo l’Università e le scuole di formazione dovrebbero dedicare parte delle loro energie educative anche a questo ambito magari fin dalla prova di ammissione a Medicina (dove attualmente non si trova traccia di un test attitudinale per scegliere i candidati di una delle professioni d’aiuto più difficili).
Ma il problema resta per chi l’Università l’ha lasciata da un pezzo e deve quotidianamente affrontare quello che a volte mi viene da definire come un “assalto” del paziente al medico.
Le richieste di salute da parte dei cittadini, il loro “diritto” alle cure, il loro desiderio di essere “sanati” anziché curati, stanno mettendo a dura prova il nostro operare di medici di famiglia.
Spesso ci sentiamo in trincea: in prima linea a fermare richieste inappropriate, a discernere chi necessità di ulteriori approfondimenti, a far passare “leggi” , “note”, “cavilli” mal digeriti e poco capiti.
Senza contare l’elevato carico burocratico (mai raggiunto prima) che sta appesantendo oltremodo il nostro lavoro togliendo tempo e attenzione alla cura dei pazienti.
Come aiutare i medici di famiglia che ogni giorno nel territorio “arginano” una marea montante di richieste che se non frenate potrebbero intasare i Pronto Soccorsi già messi a dura prova?
Quali soluzioni offrire a questa classe medica su cui giornalmente vengono riversate decine di storie personali dolorose , pesanti , a volte francamente impossibili da tollerare?
Credo sia arrivato il momento di prendersi cura di chi cura, il momento di pensare ad una formazione innovativa che non si preoccupi solo di fornire conoscenze scientifiche e tecniche per risolvere il singolo problema, ma di formare professionisti della cura che siano capaci di gestire con padronanza la complessità del sistema.
Non so se è ancora possibile fornire a professionisti di lunga data “soft skills” necessarie per affrontare le sfide di una medicina in continua evoluzione, di sicuro è necessario oggi aiutare il medico ( e il medico di famiglia più che mai) a ritagliarsi uno spazio “dedicato” alla la cura di sé per poter reggere il pesante carico di una professione d’aiuto sempre più stressante e pesante in termini emotivi oltre che professionali. Come si può realizzarsi questo? La strada è tutta da costruire ma ritengo che si possa partire dal recupero del senso della propria scelta professionale , dal miglioramento delle relazioni personali e interpersonali anche attraverso momenti di incontro tra medici per sviluppare una riflessione comune in merito alla propria professione, dalla possibilità di confrontarsi per individuare strategie comuni per la risoluzione di problematiche emergenti dalla professione ( che possano essere offerte alla politica per un coinvolgimento reale alla soluzione dei problemi).
Il benessere del paziente passa anche attraverso il benessere del medico. Un professionista che lavora in pace con sé stesso è un professionista che sbaglia meno e che è più capace di dirimere i conflitti con il paziente, conflitti che a volte vanno ad aumentare la già tanto onerosa medicina difensiva.
Ornella Mancin
Medico di famiglia
Cavarzere (Venezia)
04 maggio 2016
© Riproduzione riservata
Altri articoli in QS Veneto