Gentile Direttore,
una ricognizione fatta ancora nel 2022, sulla base di quanto dichiarato sui siti web delle ASL e sulle Carte dei Servizi, avevano portato a rilevare che in Veneto nessun Centro di Salute Mentale era in regola con quanto la Regione stessa aveva a suo tempo stabilito per il loro funzionamento.
In accordo con i Progetti Obiettivo Nazionali e con quelli del Veneto, le norme su autorizzazione ed accreditamento indicate dalla DGR 1616/2008 normavano infatti l’apertura dei CSM per 12 ore al giorno per i giorni feriali con almeno 6 ore al sabato.
Per tutte le ore di apertura la DGR prevedeva la presenza almeno di un medico ed un infermiere, una base minima, come sa chiunque abbia lavorato in psichiatria, per poter dare una qualche risposta a chi si rivolga per un problema psichiatrico. E chiunque abbia lavorato in psichiatria sa che questi standard per tenere la porta aperta sono già veramente minimali e connoterebbero al più un ambulatorio, ma non certo un CSM, che si riferisce ad un lavoro di presa in carico complessa e multiprofessionale.
Quello che emergeva dalla ricognizione, era invece che solo uno su 4 era aperto per i giorni previsti e solo uno su 5 per le ore richieste. Spesso erano aperti per qualche giorno alla settimana ed in un terzo dei casi l’orario era la metà di quanto indicato. Inoltre, in molti CSM la apertura era, per così dire, virtuale, dal momento che non era garantita la presenza del medico nella struttura, collocandolo nella migliore delle ipotesi in uno solo fra i vari CSM della stessa ASL, o, più frequentemente rimandando come riferimento a quello che si trovava in Ospedale in SPDC e che, non potendosi muovere, poteva offrire solo un supporto a distanza fra un ricovero e l'altro.
Questa analisi dei documenti ufficiali rischiava poi di essere ottimistica rispetto alla fotografia reale, per i dubbi su un loro effettivo aggiornamento in relazione a quel progressivo impoverimento nel personale, in particolare in area medica, che i dati Sistema Informativo Salute Mentale confermano impietosamente negli anni.
Parallelamente a questa realtà del personale virtuale nelle strutture, è emersa negli anni anche una condizione evanescente del CSM stesso, con il progressivo utilizzo degli Ambulatori di salute mentale, che, previsti in origine come supporto ai CSM, si sono spesso sviluppati al loro posto, come radicalizzazione in forma di visitificio a orari ridotti di quella che era l’idea più ampia di psichiatria del territorio.
Se la riduzione delle ore di apertura si presta ad una facile critica, la analisi di queste due trasformazioni di reale in virtuale non è semplice. Da una parte si è spinti a considerare queste operazioni come tentativi di dare comunque risposta alla crescente domanda, in una situazione in cui la offerta di servizi veniva messa in crisi dalla carenza di risorse; quasi a suggerire che è meglio un ambulatorio che il vuoto e meglio un parere a distanza che nessun parere.
Dall’altro però tanti aspetti ci lasciano preoccupati.
Il primo è che sta avvenendo uno svuotamento del concetto di Centro di Salute Mentale, che è (era?) il vero fulcro della psichiatria territoriale proprio in virtù della sua complessità e pluralità di professioni, e del potere essere un riferimento certo, costante e presente per pazienti e familiari, a favore di una visione ambulatoriale, che pensa di gestire a ore i disturbi mentali come una qualunque patologia medica. E questo, non a caso, avviene parallelamente allo sviluppo altrove di interventi (si pensi a quelli di psicologia di base) che non erano certo estranei ad una logica di CSM, ma lo sono di sicuro a quella di un ambulatorio psichiatrico.
Il secondo aspetto è che tenere aperte strutture, senza il necessario personale, rischia di essere solo una stazione di smistamento, che cerca ove possibile di tamponare alla meglio il problema fino a un qualche dopo, mentre nei casi più problematici si fa girare il paziente, che era venuto correttamente al CSM per un problema, mandandolo in Ospedale per ricevere una valutazione, dopo ore di attesa, in un Pronto Soccorso.
La prima soluzione è una psichiatria che rimanda, lasciando che il problema se lo gestiscano pazienti e familiari. La seconda è una psichiatria che sposta attività territoriali in ospedale, facendone sempre di più la sede di attività urgenti ed ordinarie, con una distorsione che inevitabilmente lo privilegia e tradisce il ruolo originario del centro della salute mentale ed il senso della L.180/78
Ma vi è anche un altro aspetto che mi pare meriti interesse, ed è la illusione di normalità di questi stratagemmi, dove le strutture fingono di essere aperte e funzionanti, offrendo una narrazione amministrativa di efficienza, permettendo autorizzazioni ed accreditamenti che a rigore non dovrebbero essere date, e consegnando al SISM dati tanto accettabili quanto inconsistenti. Una illusione che rischia di convincere anche gli operatori, specie quelli che non hanno vissuto cosa realmente è un Centro di Salute Mentale, che questa è la eredità di quel Basaglia di cui in questi giorni si parla tanto, senza che abbiano chiaro, non solo cosa significa una struttura che doveva essere il centro della psichiatria di comunità, ma anche le responsabilità a cui personalmente si espongono nel tentare di gestire situazioni problematiche senza avere gli adeguati strumenti per poterlo fare. Anche se certo questa illusione non convince né i pazienti né il loro familiari, sempre più abbandonati a doversi gestire la soli le situazioni.
Infine, è inquietante una condizione in cui si scopre ogni giorno che Progetti Obiettivo, delibere e documenti sono solo carta, che quelle che erano regole di garanzia, quali le norme di autorizzazione ed accreditamento, alla fine sono solo parole, che non era vero niente, e che la necessità, sia reale sia d’immagine, di tenere aperte comunque le strutture, porta ad una sistematica non aderenza alle stesse proprie regole.
Andrea Angelozzi