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Scuola preistorica e influenza borbonica 

di Enzo Bozza
01 MAR - Gentile Direttore,
ripensavo a una scena classica: “Mamma, guarda: ho 37,2. Lo dicevo io che ‘stamattina non mi sento bene”. “Non è febbre, solo alterazione. Tira fuori il sedere dalle coperte e vai a scuola”. Non è tratto dal Diario di Anna Frank ma da casa mia quando avevo otto anni. Il Fuhrer, cioè mia madre, mi ha accompagnato a scuola il primo giorno in prima elementare per mostrarmi percorso e ubicazione della scuola, dal secondo giorno ho dovuto cavarmela da solo. Era l’epoca in cui se dicevi che la maestra ti aveva dato un ceffone, la mamma ti rincorreva per tutta la casa minacciando di colpirti con uno zoccolo del Dottor Schols e raramente sbagliava mira. Quindi, era meglio soprassedere.

Il papà di un mio compagno di scuola si era portato avanti con il lavoro, faceva prevenzione dicendo alla maestra: gliene dia tante a mio figlio, a fine anno le regalerò un prosciutto. Non doveva essere poi così discutibile il metodo pedagogico perché oggi il mio ex compagno di scuola fa il carabiniere, anche se costantemente incazzato. A fine anni Sessanta, la famiglia e la scuola erano sorrette dal senso di colpa. Quando qualcuno ti puntava gli occhi addosso non eri particolarmente sicuro di essere innocente. Anche quella mattina, con 37,2 percorrevo il quasi chilometro verso la mia scuola, attraversavo due semafori pensando alla mia Brioss Ferrero, alla marmellata di albicocca custodita nella cartella. Unica consolazione della mattina.

Sapevo benissimo che in serata, la mamma mi avrebbe cosparso di Vicks Vaporub, come una sardea in saòr, avvolto in pezze di lana ruvida e con la testa immersa negli effluvii di eucaliptolo sulla pentola di acqua bollente. In capo a due giorni o guarivi o si chiamava il prete. Quelli che sopravvivevano ai ceffoni, allo zoccolo del dottor Schols, alle brioss ferrero e al vicks vaporub erano pronti per il servizio di leva e anche per eventuali guerre, comprese quelle nucleari.

Fortunatamente, il medioevo della mia infanzia non esiste più e io, veterano vietnamita delle cure di mia madre e mia nonna, oggi dirigo il traffico nel mio ambulatorio confortando le tante mamme con al seguito i loro pargoli con 37,2 di febbre. Hanno somministrato nell’ordine, ai loro pupilli: tachipirina, nurofen, mucosolvan sciroppo, fermenti lattici, e non schiodandosi da 37,2 arriva la fatidica domanda: “Dottore, gli diamo l’antibiotico che non vorrei mai fosse una meningite da meningococco di tipo C?”.

Ogni spiegazione sulle malattie virali della stagione cade nel vuoto, perché le mamme scuotendo la testa mi ricordano che sono almeno due giorni di febbre altissima: 37,2. Vogliamo condannare a morte sicura il povero infante? E poi, come posso contrastare Google e i tanti spot pubblicitari che mostrano i cadaveri influenzali che resuscitano con il supermomentactplusextra e ritornano a ballare la samba? E siccome poi va in onda la tragedia: influenza 2, la vendetta, le stesse mamme tornano all’attacco dopo cinque giorni: “Dottore, mio figlio ha fatto cinque giorni di terribile e devastante influenza a 37,2 non vogliamo dargli un ricostituente?”.

Probabilmente, un medico del secolo scorso avrebbe commentato che bisognerebbe curare le mamme e non i piccoli, ma viviamo un’epoca in cui cinque giorni di influenza sono troppi e nessuno ha tempo da perdere, ed è la stessa epoca in cui i medici non sono più depositari di nulla, nessun sapere se non quello di compilare presto e bene una ricetta. Sarà per questo che nelle farmacie non si trovano più farmaci e in pronto soccorso sembra di essere alla stazione Termini? Non dico che si ritorni allo zoccolo del Dottor Schols, ma una epidemia influenzale immersa nel vicks vaporub non sarebbe più aderente alla realtà?

Enzo Bozza
medico di base a Vodo e Borca di Cadore

01 marzo 2023
© Riproduzione riservata

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