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“Sani” per andare al supermercato ma “malati” per andare al lavoro

11 DIC - Gentile Direttore,
citando il famoso paradosso della fisica quantistica del gatto di Schrödinger, ci troviamo di fronte ad un esempio di come, attraverso una serie di provvedimenti, si possa essere considerati allo stesso tempo sani per andare al supermercato, ma malati per andare a lavoro.
 
La Circolare del Ministero della Salute del 12 Ottobre 2020 fornisce le nuove linee guida per l'Igiene Pubblica, concernenti il rientro in comunità dei soggetti sottoposti a provvedimento di isolamento e/o quarantena. In particolare, per i soggetti asintomatici con persistente positività al tampone nasofaringeo molecolare prevede che, citando testualmente: “potranno interrompere l'isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato).”
 
Grazie a questa interpretazione del comitato tecnico scientifico decade la necessità di un doppio tampone negativo per sancire la guarigione e, pertanto, quei pazienti asintomatici, seppur con positività persistente, possono interrompere l'isolamento fiduciario e rientrare in comunità riprendendo gli abituali contatti sociali.
 
L'obiettivo del provvedimento sembrava essere duplice: da un lato mirava a evitare isolamenti domiciliari "infiniti", come era avvenuto nei mesi scorsi, e dall'altro tendeva a ridurre i costi assistenziali per gli enti previdenziali e la pressione sui laboratori di analisi per accertamenti valutati come inappropriati. I pazienti sono da considerare quindi guariti dalla sindrome clinica e con un potere infettante trascurabile in quanto “le evidenze disponibili non documentano alcun caso di presenza di virus competente per la replicazione” (cit. testuale).
 
Ma arriva la “Macchina Infernale”, sotto forma del DPCM del 3 Novembre 2020, che nell’Allegato 12 (tutt'oggi valido, ma in realtà come si evince dalla data prodotto il 24 aprile 2020 e mai modificato) sostiene, e anche qui la citazione è d’obbligo, che: “L’ingresso in azienda di lavoratori già risultati positivi all’infezione da COVID 19 dovrà essere preceduto da una preventiva comunicazione avente ad oggetto la certificazione medica da cui risulti la “avvenuta negativizzazione” del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza”.
 
E come lo risolviamo il paradosso in Toscana? Il lavoratore in Toscana, ormai asintomatico da 10 giorni, se positivo anche al terzo tampone attende fino al 21° giorno. A questo punto, essendo da considerarsi clinicamente guarito, può ottenere il provvedimento di fine isolamento da parte del Sistema di Igiene e Prevenzione. Ma secondo l'allegato 12 del DPCM non può rientrare a lavoro fino a negativizzazione avvenuta.
 
Si crea quindi il lavoratore a stati sovrapposti, per cui il lavoratore è sano per rientrare in sicurezza in comunità, ma è malato per svolgere la sua mansione sul luogo di lavoro. Insomma: sano per andare al supermercato e a trovare i nonni, ma malato per andare a lavoro!
 
In questo scenario già paradossale si inserisce la Regione Toscana, che ha dato indicazione ai dipartimenti di igiene di “sbianchettare” dal 28 novembre la dicitura presente sul certificato rilasciato per i casi positivi a lungo termine facendo genericamente riferimento alla fine dell'isolamento e togliendo la dizione "avvenuta guarigione". Allo stesso tempo, però, viene "raccomandato" ai Medici di famiglia di produrre un certificato di malattia e di continuare a prescrivere tamponi molecolari per questi pazienti "malati per burocrazia", sulla base di una presunta indisponibilità delle aziende dove sono occupati a destinare tali lavoratori allo smart working.
 
Come medici vorremmo quindi avere la possibilità di dissentire, visto che si tratta di un settore nel quale, teoricamente, dovremmo avere una “minima” competenza:
1) Se al termine dell’isolamento una persona è considerata libera di rientrare in comunità, come da indicazioni del CTS, il rischio per la salute comunitaria è da considerare trascurabile; se invece si ritiene che questi soggetti non possano svolgere lavoro in presenza perché si teme che siano potenzialmente capaci di creare un focolaio, semplicemente non dovranno essere liberati fino a negativizzazione.
 
2) Se devono essere eseguiti dei tamponi per valutare la negativizzazione dovrà essere previsto un protocollo che determini con quale cadenza e se tale prestazione debba essere a carico del SSR o del datore di lavoro, al fine di non sprecare risorse in un sistema perennemente sotto stress.
 
3) Se si ritiene che la persistente positività sia un rischio per la comunità, le stesse prestazioni assistenziali dovranno essere garantite anche a chi non ha un contratto di lavoro.
 
4) In qualità di medici è possibile certificare, in scienza e coscienza, la temporanea inabilità al lavoro solo in presenza di dati oggettivi clinici o strumentali, ma non certo in contrasto con il parere del CTS che ha considerato il paziente asintomatico, seppur positivo oltre il 21esimo giorno, clinicamente guarito e con rischio infettivo trascurabile.
 
5) Altresì non è possibile per il Medico di famiglia verificare se l'azienda per cui l’assistito presta la propria mansione lavorativa offra o abbia offerto la possibilità di svolgere lavoro a distanza.
 
Negli ultimi mesi i tanto vituperati Medici di famiglia si sono trovati prima a dover anticipare i certificati INPS in attesa dei provvedimenti ufficiali del dipartimento di igiene e prevenzione, poi ad agire da trascrittori per conto dell'igiene stessa che non rilascia, pur avendone la possibilità e l'obbligo deontologico, i certificati di inabilità temporanea al lavoro ai pazienti posti in quarantena o isolamento e adesso, addirittura senza poter lavorare in scienza e coscienza, "ci viene raccomandato" di mettere l'ennesima toppa a un paradosso normativo che non può essere certo imputato alle nostre responsabilità.
 
Risolvete il paradosso e non gettateci addosso l'ennesima soluzione di comodo, che provoca grosse difficoltà di applicazione per la nostra professione, seguendo i princìpi di scienza e coscienza. Fateci fare i Medici, non i burocrati quantistici!
 
Dott. Tommaso Barnini
Dott. Alessandro Bonci

Medici di Medicina Generale ASL Toscana Centro
 

11 dicembre 2020
© Riproduzione riservata

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