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Non-autosufficienza: 26,3 mld tra spesa pubblica e privata


È quanto si spende ogni anno in Italia per l’assistenza alle persone non autosufficienti. Lo Stato eroga 17,3 miliardi mentre le famiglie sostengono una spesa di oltre 9 miliardi solo per le badanti. A dirlo è il “Rapporto 2010 sulla non autosufficienza” presentato a Roma dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, e dal ministro della Salute, Ferruccio Fazio.

21 LUG - In Italia le persone non autosufficienti sono almeno 2 milioni e 600 mila, di cui 2 milioni di anziani. La spesa pubblica(anno 2007) per l’assistenza continuativa a persone non autosufficienti, secondo la Ragioneria dello Stato, ammonta a 17,3 miliardidi euro, pari a 1,13 per cento del Pil così ripartita sul Pil: Componente sanitaria (ovvero assistenza residenziale, semiresidenziale, ambulatoriale, domiciliare, lungodegenza) per lo 0,46 per cento; Indennità di accompagnamento per lo 0,54 per cento; Componente comunale (Sad) per lo 0,13 per cento. 
A dirlo è il “Rapporto 2010 sulla non autosufficienza” presentato a Roma dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, e dal ministro della Salute, Ferruccio Fazio.
La spesa per la nonautosufficienza è il dato che del rapporto colpisce maggiormente. Spesa pubblica ma anche spesa privata, ovvero quanto spendono le famiglie per le 774.000 badanti di cui 700.000 straniere: 9 miliardi, pari al 7% della spesa sanitaria delle regioni.
La questione riguarda quasi una famiglia su dieci e rischia di aggravarsi con l’invecchiamento della popolazione. Già oggi gli ultra 65enni superano il 20 per cento della popolazione complessiva del pese e saranno il 34,5 per cento nel 2051.
Essendo prevedibile una crescita esponenziale dei costi di assistenza che peseranno inevitabilmente sui conti pubblici è urgente come dice il rapporto “riprogrammare un nuovo modello di long termcare in una diversa visione del welfare capace di prendersi cura e carico della persona”. Riprogrammare non solo l’assistenza pubblica ma anche il rapporto con il privato, tramite fondi integrativi previdenziali e con lo sviluppo territoriale dei servizi in rete: già oggi la spesa monetaria verso il “long term care” in Italia è del 42 per cento, contro il 24 per cento della Germania e il 14 per cento della Norvegia.
Ma i costi dell’assistenza si riducono anche eliminando gli sprechi, che sono soprattutto quelli del Mezzogiorno. L’indagine rivela infatti “un’Italia spaccata in due” con un Nord virtuoso che possiede “settingassistenziali che guardano all’Europa e beneficiano della presenza di reti assistenziali integrate” mentre a sud di Roma sperperi, interventi impropri ad esempio sui “ricoveri ospedalieri” e “servizi” integrativi “presenti in modo sporadico, non strutturati in rete e non coordinati, spesso insufficienti”.
 
Fondi per non autosufficienza solo a virtuosi
Nella logica della lotta gli sprechi i fondi per la non autosufficienza andranno solo a chi sviluppa servizi virtuosi perchè “non possiamo finanziaria l’inefficienza”. Lo ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che durante la presentazione del Rapporto ha parlato degli ultimi 400 milioni elargiti dallo Stato proprio per la non autosufficienza. “Ieri – sono state le sue parole – incontrando gli assessori regionali ho detto che assegnare i fondi a prescindere dal modello socio-sanitario significa non incoraggiare l’evoluzione dei modelli arretrati. Oggi mettere i soldi sul modello calabrese non dà resa, le risorse aggiuntive devono essere un volano nella giusta direzione, devono essere condizionate allo sviluppo dei servizi territoriali”. Poi il tono di Sacconi si è fatto più acceso per dire che “c’è un’Italia che continua chiedere soldi senza chiudere gli ospedali marginali che sono pericoli pubblici. Chiudendo questi ospedali si liberano risorse. E non sono teorie ma buone pratiche applicate da alcune regioni”'.


Gli ha fatto eco il ministro della Salute Ferruccio Fazio ricordando che “la buona sanità costa meno. Dunque non è solo una questione di soldi ma di buoni servizi”. In questo senso, serve, secondo Fazio, “il trasferimento dei servizi sanitari sul territorio, in questa direzione va la legge 69 sul riordino delle farmacie; un’integrazione tra sanità, sociosanitario e assistenziale; un testo unico per accorpare tutte le norme sulla non autosufficienza e la disabilità e la messa a regime del volontariato”.
I numeri
L’indagine Istat del 2007, ripresa dal rapporto del ministero del Lavoro individua in 2,6 milioni le persone in condizione di disabilità che vivono in famiglia, pari al 4,8 per cento della popolazione. L’indagine non tiene conto dei minori di 6 anni, che si stimano attorno alle 200 mila. Ben 2 milioni sono persone anziane. La disabilità cresce ovviamente con l’età: è pari al 9,7 per cento della fascia di popolazione dai 70-74 anni, si eleva al 17,8 per cento nella fascia dai 75-79 anni, e raggiunge il 44,5 per cento degli 80enni. Le malattie cronico degenerative affliggono, con almeno una malattia grave, il 59,4 per cento degli individui con disabilità. La disabilità è più diffusa nell’Italia del Sud (5,2 per cento) e nelle isole (5,7 per cento), al Nord invece supera di poco il 4 per cento, nonostante quest’ultimo abbia tassi di invecchiamento della popolazione più elevati. Negli ultimi dieci anni, pur aumentando in valore assoluto il numero dei disabili, il tasso “standardizzato” per età diminuisce dal 5,7 per cento al 4,7 per cento. “Lo stesso fenomeno avviene nei Paesi europei, per l’effetto dei progressi della scienza e della qualità della vita. Ovvio comunque che il peso complessivo assistenziale è destinato ad aumentare, seppur in modo meno traumatico”.
 
L’assistenza “long term care”
L’assistenza alla popolazione over 65 o meglio i grandi vecchi (over 85), la cosiddetta “long term care”, assume una dimensione di grande rilievo sociale ed economico con impatti pesanti sui servizi sociali, ma soprattutto su quelli socio sanitari, sottolinea il rapporto. Il mix assistenziale agli anziani non autosufficienti in Italia si muove su quattro linee. La prima è “l’assistenza domiciliare” che “è presente in modo soddisfacente in talune Regioni del Paese. Il servizio non ha ancora una equilibrata presenza geografica né sono convenientemente codificate le tipologie di prestazioni in ragione della gravità del paziente, che nei casi più complessi, dovrebbero prevedere una assistenza continuativa. Oggi mediamente il servizio raggiunge il 5 per cento della popolazione anziana”. La seconda linea è “l’assistenza familiare” che “assume un ruolo crescente ormai quasi strutturale che non si limita alle funzioni domestiche, ma integra ed in taluni casi surroga, il servizio pubblico - sia sanitario che sociale - non sempre con le stesse garanzie di qualità”. La terza è “l’assistenza residenziale: interessa circa il 3 per cento della popolazione con punte elevate al Nord e molto basse al meridione. Il Centro-Sud del paese è pesantemente al di sotto degli standard europei, anche di 7-8 volte”. La quarta linea è rappresentata dai “trasferimenti monetari” ovvero “indennità di accompagnamento e assegno di cura” che oggi “interessano oltre il 50 per cento della spesa pubblica” con circa “10 miliardi di euro di erogazione per la sola indennità di accompagnamento”.
 
Le due Italie
“L’Italia, oltre a presentare una differenza marcata tra regioni in termini di spesa e di efficacia nell’area sanitaria – è sempre il rapporto a dirlo – registra, probabilmente di conseguenza, una uguale eterogeneità in ambito assistenziale. Il divario Nord-Sud emerge in tutta la sua forza con Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Lombardia che ‘prendono in carico’ a diverso titolo (in rapporto alla popolazione) il triplo degli anziani non autosufficienti di Campania, Puglia, Calabria. Lo stesso parametro raggiunge il valore di 4 -5 volte se si considera la percentuale di anziani utenti di strutture”.
Rispetto a una media nazionale del 3,2 per cento di anziani non autosufficienti utenti dei servizi di Assistenza Domiciliare Integrata, ben il 7,2 per cento è in Friuli e il 6,4 per cento in Veneto contro l’1 per cento in Sicilia e l’1,6 per cento in Campania e Puglia.
 
Welfare invisibile
Il fenomeno del caregiverfamiliare, ovvero le donne (madri, mogli, nuore e figlie) che all’interno del nucleo si sono sempre fatte carico delle esigenze dei familiari più deboli hanno un ruolo fondamentale negli interventi di assistenza domiciliare, al punto che nel rapporto viene definito “welfare invisibile”.
Tale fenomeno è “costituito da una rete ormai sottile in quanto risente della fragilità della attuale struttura familiare. Uno studio sulla stima dei potenziali caregiverevidenzia come nei prossimi anni questa fonte di sostegno potrebbe subire pesanti riduzioni rendendo la permanenza a domicilio dell’anziano non autosufficiente alquanto difficile senza il ricorso a forme private di cura. Alcune Regioni, al fine di sostenere il lavoro di cura a domicilio delle donne, hanno promosso l’avvio degli assegni di cura quale forma di compenso per l’attività svolta”.
S.S.
 

21 luglio 2010
© Riproduzione riservata


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