Case della Comunità. Magari diventassero come i vecchi poliambulatori dell’Inam!
di Cesare Fassari
Per quello che mi riguarda mi verrebbe da dire: magari Cavicchi avesse ragione e magari queste neo Case della Comunità/Salute diventassero dei veri presidi poliambulatoriali dove effettivamente il cittadino potesse avere un’alternativa a tutto tondo all’ospedale senza fare il giro delle sette chiese come ora e senza rincorrere il suo medico di famiglia da un cellulare all’altro
07 MAG - Ieri
il nostro Ivan Cavicchi con la sua abituale schiettezza ha usato il termine “fuffa” per definire il dibattito sorto attorno all’idea/progetto di Casa della Comunità inserita nel Recovery Plan.
Per Cavicchi la fuffa sta nel fatto che se ne discute senza prima aver condiviso il significato stesso del termine nella sua applicabilità reale all’interno del sistema salute italiano.
Non sono del tutto d’accordo con Cavicchi. In realtà il Recovery Plan una definizione e una descrizione di cosa è e di cosa dovrebbe fare la Casa della Comunità le fornisce, anche in modo piuttosto dettagliato considerando che il Recovery è la cornice di un mega piano progettuale che sarà declinato solo negli atti successivi operativi.
Ecco cosa ci dice il Recovery su queste nuove strutture sanitarie:
1. La Casa della Comunità diventerà lo strumento attraverso cui coordinare tutti i servizi offerti, in particolare ai malati cronici.
2. Nella Casa della Comunità sarà presente il punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie.
3. La Casa della Comunità sarà una struttura fisica in cui opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e potrà ospitare anche assistenti sociali. La presenza degli assistenti sociali nelle Case della Comunità rafforzerà il ruolo dei servizi sociali territoriali nonché una loro maggiore integrazione con la componente sanitaria assistenziale.
4. La Casa della Comunità è finalizzata a costituire il punto di riferimento continuativo per la popolazione, anche attraverso un’infrastruttura informatica, un punto prelievi, la strumentazione polispecialistica, e ha il fine di garantire la promozione, la prevenzione della salute e la presa in carico della comunità di riferimento.
5. Tra i servizi inclusi è previsto, in particolare, il punto unico di accesso (PUA) per le valutazioni multidimensionali (servizi socio-sanitari) e i servizi che, secondo un approccio di medicina di genere, dedicati alla tutela della donna, del bambino e dei nuclei familiari secondo un approccio di medicina di genere. Potranno inoltre essere ospitati servizi sociali e assistenziali rivolti prioritariamente alle persone anziani e fragili, variamente organizzati a seconda delle caratteristiche della comunità specifica.
Insomma finalità, mezzi e organizzazione mi sembrano abbastanza chiari pur considerando che lo stesso Recovery prevede “la definizione di standard strutturali, organizzativi e tecnologici omogenei per l’assistenza territoriale e l’identificazione delle strutture a essa deputate da adottarsi entro il 2021 con l’approvazione di uno specifico decreto ministeriale”.
Quindi, lo ripeto, mi sembra che sul piano delle definizioni ci siamo.
E nel merito? Sempre Cavicchi sottolinea che di fatto queste Case della Comunità, come le precedenti Case della Salute, altro non siano che la riedizione dei vecchi poliambulatori dell’Inam, sottolineando che semmai tra le due “case” di oggi c’è una differenza ipotizzabile nella gestione (ma di questo non parlerò in questa sede).
Per Cavicchi il ripristino dei poliambulatori dell’Inam (che, lo ricordo per chi all’epoca non era ancora nato oppure pensava ancora a giocare, erano le strutture sanitarie extra ospedaliere multispecialistiche gestite dall’Istituto nazionale per l’assicurazione malattia, dismesso con l’avvento del Ssn) “
è come riesumare una concezione di servizio del passato che corrispondeva ad un certo sistema di welfare che però abbiamo superato con una riforma, in parte perché proprio per questo è un chiaro segnale di regressività”.
Una presa di distanza dal concetto di ambulatorio che del resto anche due fan della Casa della Comunità come
Sessa e Colmegna manifestano oggi, sempre qui su QS, nel momento in cui sostengono, al contrario di Cavicchi, che le case della Comunità non c’entrano nulla con gli ambulatori.
Che dire. Per quello che mi riguarda e per ciò che in parte ho toccato con mano (anche se all’epoca ero un giovane studente) e soprattutto per quanto letto e sentito dai racconti di chi quei poliambulatori li gestiva o di chi vi lavorava, mi verrebbe da dire: magari Cavicchi avesse ragione e magari queste neo Case della Comunità/Salute diventassero dei veri presidi poliambulatoriali dove effettivamente il cittadino potesse avere un’alternativa a tutto tondo all’ospedale senza fare il giro delle sette chiese come ora e senza rincorrere il suo medico di famiglia da un cellulare all’altro.
Cesare Fassari
07 maggio 2021
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