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Il sogno di una riforma della sanità si infrange sulla “Missione 6” del Recovery Plan

di Ivan Cavicchi

La “Missione 6” dedicata alla Salute è una proposta, rispetto alla pandemia, fortemente regressiva. Le sue idee, con una pandemia da governare, sono le stesse di 40 anni fa quando nacque la 833 e le stesse di 20 anni fa della riforma Bindi (229) quando tento di farne una riedizione: territorio, prevenzione, distretto, integrazione socio sanitaria, ammodernamento tecnologico, coordinamento con l’ambiente e perfino formazione manageriale, ospedali di comunità, ecc.

26 APR - Il forum, che a partire dal mio libro “la sinistra e la sanità da Bindi a Speranza con in mezzo una pandemia” (Castelvecchi editore), è stato organizzato su questo giornale, si è concluso.
 
Moltissimi gli interventi e molte le autorevoli persone che hanno accettato di confrontarsi (a tutti un grande grazie), diverse le letture e i punti di vista espressi, molte le interessanti e preziose proposte, e tutti, (a parte una sola eccezione), con alla base un sillogismo strategico condiviso: la pandemia ha messo a nudo le criticità del Ssn partiamo da queste criticità stabilendo un ordine di priorità decidendo i cambiamenti che servono.
 
Circa le intenzioni politiche di cambiare non ci sono grandi differenze, le differenze che ci sono riguardano i modi di cambiare, l’ambito del cambiamento, la profondità degli interventi correttivi, il livello su cui intervenire e quindi il genere di proposte da mettere in campo.
 
Grosso modo tutto il forum si può suddividere in due grossi orientamenti e un terzo marginale:
• quello “politico”, più strategico, che decisamente propone un cambiamento profondo quindi anche “strutturale” di stampo chiaramente riformatore (Bonaccini, Rossi, Gianni Agnoletto, Pepe, Turi, Vangieri, Agneni, Gostinelli, Giannotti, Spada) disponibile a ripensare politiche, impostazioni, culture organizzazioni con lo scopo di rimuovere le grandi contraddizioni che si sono accumulate nel tempo;
 
• quello più “tecnico-amministrativo” quindi più sovrastrutturale (Zuccatelli, Maffei, Testuzza, Asiquas, Palumbo, Agnetti, Labate, Proia, Giuliani, De Rosa ecc.) che assume come invariante il sistema in quanto tale e che propone una sorta di riorganizzazione dell’esistente, di riordino o di razionalizzazione o di completamento di qualcosa che è rimasto incompiuto o si è perso per strada con lo scopo di migliorare prima di ogni cosa la funzionalità del ssn, le sue prestazioni, le sue performance;
 
• quello “apologetico” (Geddes, Panti) decisamente minoritario che nei fatti, a mio parere, è contrario a qualsiasi idea di cambiamento strutturale ma a ben vedere anche sovrastrutturale ,servendosi di argomenti in genere pretestuosi e speciosi. Per costoro, pandemia o no, quello che fino ad ora è stato fatto va sostanzialmente riconfermato per cui a parte qualche ritocco, la sanità va bene così come è.
 
A questi tre orientamenti bisogna aggiungerne un quarto, che non ha partecipato direttamente al forum, ma che si pone di fatto come il suo più importante contro altare, e che è la “missione 6” definita in sede di recovery plan cioè la risposta del ministro Speranza quindi di Leu (in questo momento la sinistra di governo), alle criticità della sanità che la pandemia ha messo in evidenza.
 
Il suo “obiettivo complessivo” è testualmente: “rafforzare la prevenzione e i servizi sanitari sul territorio, modernizzare e digitalizzare il sistema sanitario e garantire equità di accesso alle cure”. Il costo 20,22 mld.
 
Se dovessi collocare la “missione 6” rispetto ai tre orientamenti che sono emersi dal nostro forum non c’è dubbio che essa rientrerebbe in quello ’apologetico , cioè in quello che a priori, non è in grado a mio parere per limiti soprattutto culturali ne di porre mano ad una proposta riformatrice ne di affrontare le principali criticità e ne di farsi carico di un processo di riorganizzazione del sistema.
 
La “missione 6” è visibilmente in contrasto con l’orientamento riformatore del primo gruppo e visibilmente sotto-determinata nei confronti delle proposte tecniche del secondo gruppo, che vanno ben oltre i soliti problemi riorganizzativi del territorio, del domicilio e del distretto. Invece coincide con lo schieramento minoritario degli apologeti.
 
Se rammentiamo che per essere regressivo basta stare fermo mentre tutto cambia, “missione 6” è una proposta, rispetto alla pandemia, fortemente regressiva. Le sue idee, ripeto con una pandemia da governare, sono le stesse di 40 anni fa quando nacque la 833 e le stesse di 20 anni fa della riforma Bindi (229) quando tento di farne una riedizione: territorio, prevenzione, distretto, integrazione socio sanitaria, ammodernamento tecnologico, coordinamento con l’ambiente e perfino formazione manageriale, ospedali di comunità, ecc.
 
Nulla di male direbbero gli apologeti, l’importante che le idee della 229 siano buone, ma il punto è proprio questo: le politiche fatte dopo l’approvazione della legge 229 e quindi prima della pandemia hanno dimostrato in modo inoppugnabile il fallimento politico della 229 (mutue e fondi a parte che al contrario hanno avuto fortuna) certamente a causa delle politiche dei tagli ma anche a causa della sua grave inconsistenza culturale.
 
Le idee possono essere anche buone ma se i contenuti culturali, le modalità, le epistemologie, gli strumenti, le organizzazioni , il lavoro, quindi le professioni restano vecchie categorie semantiche, le stesse idee diventano inservibili.
 
Prendiamo l’esempio della prevenzione. Sono anni che i veterinari (Sivemp), gli igienisti (S.lt.l) gli epidemiologi (Aie) gli operatori della prevenzione (Snop) denunciano la crisi grave dei dipartimenti di prevenzione e l’arretratezza dei loro modelli culturali e organizzativi. Ma quando la 229 propose 20 anni fa i dipartimenti di prevenzione mancò di ridefinire un nuovo approccio culturale, una nuova idea di servizio, di salute, di tutela, e preferì mantenere epistemologie quindi prassi e quindi professioni del tutto inadeguate a fronteggiare le nuove complessità ambientali.
 
La stessa cosa avvenne per i distretti, per il territorio, per l’assistenza domiciliare per l’integrazione socio-sanitaria.
 
E la stessa cosa accadrà con la “missione 6”. Non mi risulta che si sia elaborata alla luce della pandemia una nuova concezione di tutela, di prevenzione, di distretto, di territorio o di ospedale. Si parla solo di “case” senza connotarle in nessun modo. E gli ospedali di comunità rischiano di essere solo il recupero degli ospedaletti che abbiamo chiuso in passato.
 
Cambiare il contenitore ma a contenuto invariante non è riforma.
Cambiare i nomi dei contenitori, cioè degli ambulatori, come propone Speranza sempre a contenuto invariante è ancor meno una riforma. Sempre ambulatori restano.
 
Il distretto è fatto anche da ambulatori ma anche da “ben altro”. E’ questo “ben altro” che è mancato 20 anni fa e che nella missione 6 rischia di mancare ancora oggi.
 
La pandemia ha messo in crisi tutte le soluzioni organizzative previste dalla 229 ma solo perché esse già 20 anni si reggevano su idee di servizio e di prassi mai ripensate.
 
Le mie riserve su Speranza sono note (QS 15 febbraio 2021). Il mio non è un dissenso solo sulle sue proposte ma è un dissenso politico più profondo verso una sinistra, alla quale appartengo con la mia storia, ma che nega se stessa.
 
Con Speranza, mi dispiace dirlo, abbiamo una sinistra incapace di essere sinistra. Con una pandemia che chiama in causa la necessità di una riforma avere un ministro della salute incapace di proporre una riforma non è un problema politico da poco. E’ come far progettare il ponte sullo stretto di Messina al guardia macchine sotto casa.
 
Prima o poi questa sinistra dovrà fare i conti con la realtà. Io so solo che nelle elezioni del 2018 essa per non aver fatto il proprio mestiere ha perso un mare di voti. Se dopo Speranza la sanità non riprenderà a volare, se non rimuoverà le profonde contraddizioni che ci sono tra il SSN la società e l’economia, se per sopraggiunti problemi di insostenibilità fossimo costretti addirittura a privatizzare il sistema allora vorrebbe dire non che Speranza ma la sinistra è un “guardia macchine” perché senza una cultura riformatrice non è all’altezza di governare il paese.
 
Da quando Speranza è ministro non ho mai avuto l’occasione di parlarci una volta. In tanti mi hanno spiegato che egli è come prigioniero di un “cerchio magico” che mi vede come il fumo negli occhi. Cioè come un pericoloso eretico. A partire da questo giornale (ma non solo) gli ho inviato proposte, idee, dibattiti, critiche, suggerimenti. Il pamphlet che ha dato vita a questo forum è stato scritto per lui per offrirgli spunti, idee, proposte. Ma nessun cenno di risposta.
 
Il suo modo di comportarsi verso un pensiero critico, non è quindi diverso da coloro che, anche in questo forum, si sono comportati come quel giocatore che per evitare che il suo avversario faccia gol decide di spezzargli le gambe. (Sull’intervento decisamente contra hominem di Geddes altri hanno commentato e per me questi commenti bastano e avanzano).
 
Speranza e il suo “cerchio magico” come tutti quelli di sinistra non ama essere criticato da sinistra. E chi lo critica da sinistra non è solo un eretico ma il peggior nemico. A chi critica da sinistra bisogna “spezzare le gambe” con l’indifferenza, il rifiuto del confronto, il rifiuto della discussione, la negazione dell’avversario. Egli nel mentre in piena pandemia ci scodella la missione 6, allo stesso tempo nega l’esistenza di un pensiero riformatore rifiutandolo a priori. Questo pensiero lui il suo partito e i suoi consiglieri in realtà non l’hanno mai avuto.
 
Questo è il problema e questo spiega tante cose compreso le controriforme fatte in passato e il fatto che oggi ci dobbiamo rassegnarci ai repechage di vecchie “riforme delle riforme” per altro fallite.
 
Chi arriva a spezzare le gambe ai propri avversari di certo non ha tempo di fare autocritica anche se ribadisco ciò che ho scritto, senza autocritica in sanità non si riforma niente. Del resto è innegabile come diceva qualcuno che “ci sono persone che a un graffio del proprio dito preferiscono il crollo del mondo” (Hume).
 
Se la sinistra anche davanti ad una tragedia immane come la pandemia, a un graffio del proprio dito preferisce il crollo del mondo, non è sinistra ma un ente immorale. Nulla di più.
 
Ivan Cavicchi

26 aprile 2021
© Riproduzione riservata


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