I medici italiani guadagnano 40mila euro l’anno in meno dei loro colleghi europei. E poi ci stupiamo della fuga dal Ssn...
di Carlo Palermo
Ridare motivazioni ai medici ospedalieri e ai dirigenti sanitari deve passare certamente attraverso adeguati riconoscimenti retributivi, sblocchi del turnover del personale, maggiore considerazione dei carichi di lavoro ma ancora di più dovrà fondarsi sul recupero e la valorizzazione della dignità e del ruolo di chi cura all’interno del Ssn
02 FEB - Nella nostra recente survey “
Il lavoro in Ospedale ai tempi del Covid”, emerge una sofferenza che viene da lontano, amplificata dalla pandemia, che ha reso insostenibili intensità assistenziale e carichi di lavoro, tanto che solo il 54.3% dei medici ospedalieri di oggi pensa di lavorare ancora in un ospedale pubblico nei prossimi 2 anni. E oltre il 75% ritiene che il proprio lavoro non sia stato valorizzato a dovere, sia prima che durante la crisi pandemica.
Già ora in molte aziende sanitarie le uscite dal SSN non avvengono solo per raggiunti limiti pensionistici: in particolare del nord Italia, si può arrivare fino ad un 30-40% di uscite per licenziamento. I medici ospedalieri sognano la fuga verso luoghi di lavoro più tranquilli e con organizzazioni quotidiane più compatibili con la propria vita sociale e familiare. Non solo nel privato, dove il lavoro è meno stressante e si affrontano casistiche cliniche in elezione, ma anche all’estero sia per gli stipendi più alti che per la maggiore autonomia e valorizzazione professionale. Teniamo presente che nella fase post-pandemica la necessità di rinforzare i singoli sistemi sanitari porterà ad una forte competizione tra le nazioni dell’Europa occidentale per attrarre i medici e le altre professioni sanitarie, carenti già prima dell’insorgere dell’epidemia.
Questo fenomeno è reso ancora più preoccupante dal concomitare di altri elementi, alcuni pregressi altri associati alla crisi epidemica. Bisogna considerare, infatti, almeno ulteriori tre fattori che incidono profondamente sulla carenza presente e futura di personale specializzato nella sanità pubblica. Con il 2021 raggiungiamo l’acme della curva pensionistica dei medici dipendenti del SSN, descritta da noi nel lontano 2011, consistente in circa 7.000 quiescenze ogni anno.
Inoltre, il blocco del turnover, se confrontiamo i dati del Conto annuale dello Stato del 2009, punto più alto per le dotazioni organiche nel SSN, con quelli del 2018, ha determinato nel decennio una riduzione di circa 6 mila medici e 2 mila dirigenti sanitari (biologi, farmacisti, chimici etc). Infine, la riorganizzazione dei servizi in area critica, in applicazione del DL “Rilancio”, richiederebbe l’assunzione in forma stabile di almeno 5.000 specialisti tra anestesisti rianimatori e medici di emergenza-urgenza, internisti, infettivologi, pneumologi.
Siamo di fronte a tagli pregressi e a imponenti carenze, in un contesto di fallimentare programmazione dei fabbisogni specialistici nel decennio passato, che si riverberano nel pesante e preoccupante peggioramento delle condizioni di lavoro mettendo a rischio la qualità e la sicurezza delle cure erogate nelle strutture ospedaliere e nei servizi territoriali.
Se esaminiamo questo complesso quadro, le ragioni che spingono ad abbandonare gli ospedali, fenomeno già registrato in Inghilterra e in Svezia e ora anche in Germania, sono riassumibili in un comprensibile spirito di sopravvivenza. L’eccesso dei carichi di lavoro, legato a una carenza numerica persistente al di là della giostra dei numeri sulle recenti assunzioni, peraltro tutte in forme precarie; la rischiosità del lavoro sia sotto il profilo biologico che medico-legale; la sua cattiva organizzazione; lo scarso coinvolgimento nelle decisioni che li riguardano rappresentano le motivazioni più richiamate dai professionisti nella survey. I medici ospedalieri, come anche i dirigenti sanitari, si sentono schiacciati da una macchina che esige troppo e che nemmeno ascolta la loro voce, svalutati e frustrati da un’organizzazione del lavoro che non sembra avere tra le priorità i loro bisogni e le loro necessità, sia come lavoratori sia come persone.
È ormai chiaro che il perseguimento della sola efficienza, misurata guardando ai bilanci e agli indicatori numerici e perseguita attraverso progressive riduzioni delle risorse disponibili, è un nemico della resilienza del sistema nel suo insieme.
La politica ha la possibilità di intervenire sotto il profilo legislativo per cercare di invertire questa deriva. È auspicabile una riconsiderazione dell’articolo 15 della Legge 502/92 e s.m.i. al fine di attribuire un nuovo stato giuridico alla dirigenza sanitaria, nel segno della dirigenza “speciale” e riconoscere il loro ruolo peculiare attraverso forme di partecipazione ai modelli organizzativi ed operativi.
Così come fortemente atteso dalla categoria è il completamento della legge sulla responsabilità professionale con il passaggio ad un sistema “no fault” sul modello europeo e la previsione di una tutela giuridica per gli eventuali eventi avversi verificatesi durante il periodo emergenziale considerando il contesto eccezionale e imprevisto, la mancanza di linee guida e buone pratiche cui fare riferimento, almeno nella prima fase epidemica, e la sproporzione tra le esigenze di cura e le risorse umane e strutturali disponibili.
Sotto il profilo retributivo per recuperare il gap di circa 40 mila € nelle retribuzioni con gli altri Paesi dell’Europa occidentale, è necessario programmare interventi articolati e progressivi. Un apprezzabile passo in avanti è stato fatto con l’approvazione nell’ultima Legge di Bilancio di un incremento del 27% dell’indennità di esclusività. Una misura economica richiesta da anni dall’Anaao Assomed, fortemente sostenuta dal Ministro Speranza come tangibile segno di vicinanza nei confronti di operatori che durante tutta la fase pandemica hanno lottato contro il Sars-CoV-2 e la sua malattia Covid-19.
Aprire la stagione contrattuale 2019/2021, portandola a conclusione prima della scadenza, rappresenterebbe un ulteriore segno di apprezzamento nei confronti di questo mondo così duramente provato che ha pagato con morti e decine di migliaia di contagi il proprio straordinario impegno di contrasto all’epidemia.
La recente apertura all’Aran del tavolo sulla definizione delle aree contrattuali è di buon auspicio. Del resto il contratto di lavoro può rappresentare uno strumento importante di innovazione del sistema e di governo partecipato. Si pensi, in particolare, alla creazione di una vera carriera professionale parallela a quella gestionale con valori economici che si intrecciano tra i due canali o alla possibilità di implementare il confronto con le Amministrazioni in sede decentrata, nonostante i limiti legislativi, come previsto con l’istituzione dell’Organismo Paritetico. Senza dimenticare il proseguimento del percorso di valorizzazione del lavoro disagiato attraverso un’ulteriore implementazione delle indennità di lavoro notturno e festivo e almeno un raddoppio della indennità di reperibilità.
Ridare motivazioni ai medici ospedalieri e ai dirigenti sanitari deve passare certamente attraverso adeguati riconoscimenti retributivi, sblocchi del turnover del personale, maggiore considerazione dei carichi di lavoro ma ancora di più dovrà fondarsi sul recupero e la valorizzazione della dignità e del ruolo di chi cura all’interno del Ssn.
Carlo Palermo
Segretario Nazionale Anaao Assomed
02 febbraio 2021
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