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La grande sfida del Recovery Plan

di Grazia Labate

Il quadro europeo che ci ha consegnato, non senza difficoltà, la possibilità per la prima volta dopo il dopoguerra, dell’utilizzo di ingenti risorse, attraverso il Recovery Fund, e non solo, penso alle risorse di Sure e al nuovo Bilancio dell’Unione, è un quadro dove è in atto una grande trasformazione sia del mondo produttivo, dei mercati, dell’organizzazione del lavoro, delle relazioni sociali, della struttura socio-demografica.

18 GEN - Non è un’impresa facile riorganizzare il SSN, in piena Pandemia, sia sotto il profilo organizzativo che sotto quello dell’innovazione necessaria, soprattutto dopo tanti anni di austerità e di inadeguatezze delle misure adottate, si pensi alle politiche sulle risorse umane che oggi hanno messo a nudo la drammaticità dei fabbisogni che pur si conoscevano.
 
Il quadro europeo che ci ha consegnato, non senza difficoltà, la possibilità per la prima volta dopo il dopoguerra, dell’utilizzo di ingenti risorse, attraverso il Recovery Fund, e non solo, penso alle risorse di Sure e al nuovo Bilancio dell’Unione, è un quadro dove è in atto una grande trasformazione sia del mondo produttivo, dei mercati, dell’organizzazione del lavoro, delle relazioni sociali, della struttura socio-demografica.
 
Soprattutto a seguito delle nuove tecnologie, le trasformazioni sono più rapide, così come i processi di modificazione dei contesti che esse producono. Il welfare novecentesco che pure continua a fornire poderose forme di protezione è messo a dura prova sia in termini di equità, di lotta alle vecchie e nuove povertà, di soddisfacimento dei bisogni di una popolazione che invecchia con il suo bagaglio di comorbilità e solitudine.
 
Tutti i sistemi sanitari europei sono andati in crisi, chi più chi meno, da quello inglese a quello svedese, storici riferimenti dell’universalismo, fino a quello francese e tedesco dove i modelli organizzativi, peraltro in rifacimento da 2 anni, hanno messo in evidenza che anche la mutualità e la sussidiarietà senza un potente intervento dello stato centrale, non sono in grado di far fronte ad eventi catastrofici come è stata ed è la pandemia. Si vedano a tal proposito le massicce iniezioni di risorse finanziarie fatte nei bilanci 2020 e 2021 di Francia e Germania alla voce sanità. E noi, che pure vantavamo la bontà del nostro sistema, non potevamo certo esserne esenti.
 
Sono venuti al pettine nodi irrisolti da tempo: dalla prevenzione, che è sempre stata la cenerentola del sistema, alla carenza della medicina del territorio, alla rigidità organizzativa del sistema, ingabbiato dentro le maglie della pubblica amministrazione, all’affermarsi di dirigenze e ruoli apicali, non sempre all’insegna del merito e delle capacità, ma spesso ancorati alla fidelizzazione politica, all’arretratezza del sistema informatico e più in generale alla scarsa digitalizzazione del sistema nel suo complesso, che ha messo in evidenza la necessità di approntare validi e sistematici metodi di rilevazione, interoperabili ed affidabili nei tempi e nei modi, per avere costantemente e correttamente sotto mano il quadro dell’evoluzione epidemiologica capace di supportare in tempi rapidi le opportune decisioni.
 
Dunque riequilibrare, ammodernare, implementare, non è nè facile né semplice durante la pandemia, la cui criticità è manifesta e giornaliera con il suo carico di morte e sia pur con lo strumento vaccinale a nostra disposizione, che ci auguriamo possa mettere in maggiore sicurezza l’intero paese, ad oggi non accenna a diminuire.
 
La domanda è: la missione numero 6 “Salute” del recovery plan appena approvato con circa 20 miliardi, precisamente 19,72 a disposizione è sufficiente per rispondere alle criticità? La dotazione non può essere né sottovalutata né sottoutilizzata: assistenza di prossimità e telemedicina 7,90 miliardi, innovazione, ricerca e digitalizzazione dell'assistenza sanitaria 11,82 miliardi.
 
Certo rispetto ai piani che sono circolati anche da parte del ministero, più cospicue ed ingenti risorse sarebbero state necessarie per colmare divari, frammentazioni, arretratezze di sistema; intanto però cerchiamo di valutare ed usare quello che per la prima volta viene assegnato in maniera così poderosa e poi vedremo; se sarà necessario il Mes, si utilizzerà anche quello, se si esce dalla crisi e si rimette in moto l’economia e lo sviluppo ecosostenibile si potrebbe anche non averne bisogno.
 
La missione numero 6 è confezionata secondo le modalità europee in azioni ed obiettivi, che naturalmente saranno controllati nei tempi di attuazione, affinchè le diverse tranches di risorse vengano prontamente corrisposte.
 
La missione è concepita secondo due componenti fondamentali: la prima riguarda un cambio di paradigma nell’assistenza sociosanitaria, basato sullo sviluppo di una rete territoriale che consenta una vera vicinanza alle persone. Un percorso integrato di prestazioni e servizi che parte dalla “casa come primo luogo di cura”, per arrivare alle “Case della comunità” e quindi poi alla rete ospedaliera.
 
La seconda è data dall’ammodernamento delle dotazioni tecnologiche del SSN.
L’Assistenza di prossimità e l’uso della telemedicina mirano al potenziamento e riorientamento della medicina del territorio verso un modello incentrato sulle reti di assistenza socio-sanitaria; a superare la frammentazione e il divario strutturale tra i diversi sistemi sanitari regionali garantendo omogeneità nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza “LEA”; a potenziare la prevenzione e l’assistenza territoriale, migliorando la capacità di integrare servizi ospedalieri, servizi sanitari locali e servizi sociali.
 
Si afferma che:
“Si intende anche sviluppare un modello di sanità pubblica ecologica e un sistema di sorveglianza della sanità pubblica veterinaria e sicurezza degli alimenti, in grado di preservare la salute dei cittadini a partire dalla salute dell’ambiente, mitigando l’impatto dei fattori inquinanti”.
 
La seconda componente, “Innovazione dell’assistenza sanitaria”, è finalizzata a promuovere la diffusione di strumenti e attività di telemedicina, a rafforzare i sistemi informativi sanitari e gli strumenti digitali a tutti i livelli del SSN, a partire dalla diffusione ancora limitata e disomogenea della cartella clinica elettronica.

Nella nuova prospettiva, mi convince la missione numero 6 perché offre un percorso innovativo e mette a disposizione risorse aggiuntive per accelerare la risposta alle nuove sfide sul tappeto. Questa pandemia ha generato forme inedite di vulnerabilità, legate alla compresenza di problematiche diverse: instabilità occupazionale, spirali di impoverimento (spesso improvvise), bisogni di conciliazione famiglia-lavoro, non autosufficienza, insonnia, perdita di senso verso il futuro, fragilità del capitale umano e sociale che opera nell’emergenza.
 
Si tratta di vulnerabilità che si intrecciano a percorsi di vita sempre più individualizzati e costruiti attraverso molteplici transizioni tra lavoro e non lavoro, formazione, cura, disoccupazione e inattività, che richiedono oggi la capacità di implementare il territorio con servizi socio-sanitari mirati e forme di sostegno, accompagnamento e cura personalizzate che occorre sapere riprogettare e realizzare con flessibilità, adattandole ai bisogni di salute dell’oggi.
 
È proprio su questi fronti che la missione numero 6 dovrà essere maggiormente impegnata. E tale impegno non ha solo una valenza funzionale, ma anche politico-sociale, nel riavvicinare il diritto alla salute al cittadino e nel dare a tutta la medicina del territorio, all’integrazione sociale e sanitaria, il ruolo che spetta loro di essere il primo e più forte baluardo contro la malattia e l’esclusione.
 
Proviamo ora a tirare le fila delle svariate riflessioni e ricostruzioni fattuali che abbiamo compiuto fin qui a partire dalla pandemia e dalla crisi economico sociale che stiamo attraversando.
 
Difronte a tutto ciò non si può aggiungere anche la crisi istituzionale, nella quale una forza politica di maggioranza ha deciso di far piombare il paese. Non si può tirare la corda di una sfiducia tra cittadini e istituzioni che la crisi economica ha messo a dura prova nel paese.
 
Non si può pensare che circa 600 morti al giorno sia un destino ineluttabile, che il nostro sistema di cure possa essere messo in crisi, dalle inmpennate giornaliere di un virus subdolo e galoppante, mentre tutto ripiomba nelle tenebre dei giochi di palazzo o nel toto ministri, o peggio nel mercato politico. Vale qui ricordare la storia, con la prima catilinaria di Cicerone: “O tempora o mores quo usque tandem abutere patientia nostra...”.
 
La sofferenza e il dolore sono stati troppo grandi in questo anno, perché il popolo possa capire perché si è provocata questa dannata crisi. Occorre correre subito ai ripari, rimediare a questo schiaffo immeritato, lavorare a testa bassa per dare a tutto il paese vaccini, sicurezza e speranza per il futuro. 
 
Grazia Labate
Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità

18 gennaio 2021
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