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Il Recovery Plan riuscirà laddove tutti i tentativi di riforma e rilancio del Ssn hanno finora fallito?

di Claudio Maria Maffei

Non interrogarsi sui nodi strutturali che hanno impedito o rallentato da anni il perseguimento degli stessi obiettivi che si prefigge ora il nuovo PNRR - e cioè riforma assistenza territoriale, ospedali moderni e sicuri, nuova formazione e impulso alla digitalizzazione della sanità - è sicura garanzia di una almeno parziale inefficacia di tutte le progettualità da questo previste che hanno già alle spalle una lunga storia di insuccessi 

15 GEN - Sussulti governativi a parte, la notizia della progettualità del Recovery plan che avanza è senza dubbio una buona notizia e l’aumento dalla disponibilità per la sanità è una notizia ottima. Ma è tempo di ragionare su quelli che potranno essere i fattori di successo della parte che riguarda la sanità di quello che viene chiamato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). 
 
Questo Piano a grandi linee mantiene fermi alcuni degli obiettivi che il sistema si era già dato negli ultimi anni. Obiettivi che peraltro non solo non sono stati raggiunti, ma rispetto ai quali spesso non si è praticamente fatto, specie in alcune Regioni, alcun passo avanti. Semmai rispetto alle intenzioni dei documenti e degli atti del livello centrale si sono fatti spesso passi indietro.
 
Se si va agli obiettivi generali del Piano, per fare alcuni esempi, si ritrovano i tre seguenti da anni all’ordine del giorno ed oggetto di disposizioni e indicazioni da parte del livello centrale con atti passati anche dalla Conferenza Stato-Regioni:
• intervenire con azioni di rafforzamento sia del sistema ospedaliero sia, in particolare, della rete dell’assistenza territoriale, al fine di garantire omogenità nella capacità di dare risposte integrate (di natura sanitaria e sociosanitaria), nonché equità di accesso alle cure;
 
• dare impulso alla sanità digitale, disporre di soluzioni digitali per piani di presa in carico multidisciplinari e multiprofessionali in grado di integrare processi di cura ed assistenza, nonché di supportare la vicinanza e la comunicazione alle persone;
 
• realizzare ospedali sicuri, tecnologici, digitali e sostenibili, con azioni miranti all’all'ammodernamento tecnologico delle strutture ospedaliere con particolare riferimento alle attrezzature di alta tecnologia e ad altri interventi orientati alla digitalizzazione delle strutture sanitarie.
 
Questi tre obiettivi di fatto in modo più o meno diretto riproducono le indicazioni di quelli che sono probabilmente i due atti che integrati e resi coerenti tra loro avrebbero potuto già costituire la ossatura di una sanità più pronta ad affrontare le pandemia e cioè il DM 70/2015 e il Piano Nazionale della Cronicità. Atti affiancati poi da altri documenti che pure anticipano i contenuti del PNRR come le linee guida sulla telemedicina e quelle sugli ospedali di comunità.
 
Il DM 70 non solo non è stato applicato in molte realtà, tanto che si è arrivati alla costituzione di un apposito e inutile Tavolo ministeriale di Monitoraggio ai sensi di una Intesa Stato-Regioni del 24 luglio 2015. Poi è arrivato il Covid-19 che ha addirittura fatto in molte realtà “resuscitare” la ipotesi di una riapertura dei piccoli ospedali (laddove la chiusura o riconversione sia avvenuta) vista la ridotta capacità della rete ospedaliera di molte Regioni a far fronte al picco epidemico. La stessa circolare ministeriale sulla riorganizzazione della rete ospedaliera in applicazione del Decreto Rilancio di maggio non nomina mai il DM 70.
 
Quanto al Piano Nazionale della Cronicità (che, ricordiamo, è del 2016) i ritardi nella sua traduzione sul campo hanno a loro volta portato alla istituzione da parte del Ministero della Salute di una apposita e ancora una volta inutile Cabina di Regia.
Non hanno avuto un maggior impatto le linee guida sulla telemedicina di recente aggiornate, né quelle sugli ospedali di comunità anche queste riviste di recente dopo anni che se ne parlava sia nel DM 70 che nel Piano Nazionale della Cronicità.
 
C’è storicamente nei Servizi Sanitari Regionali una enorme difficoltà a lavorare per progetti, come storicamente evidenziato persino da quelle linee progettuali che tali sono anche nel nome della relativa linea di finanziamento, come nel caso dei Progetti Prioritari e di Rilievo Nazionale, che di progettuale hanno spesso solo la rendicontazione.
 
Ma anche la parte del PNRR dedicata alla ricerca sconta questa carenza di valutazione dell’effettivo impatto ad esempio degli INRCSS sui modelli culturali ed organizzativi della sanità pubblica del SSN (non si consideri significativa per tutto il settore l’ottima prova di sé che ha dato e sta dando in questa pandemia l’INRCCS Spallanzani).
 
Come pure la parte del PNRR sulla formazione del personale sanitario e sulla formazione manageriale sconta una carenza di analisi critica sul modo in cui l’Università ha assolto fino ad oggi a tali funzioni. Solo per citare un tema tra i tanti in questo ambito: la formazione dovrebbe privilegiare la formazione sulla cronicità e sulla dimensione della assistenza “territoriale” e l’Università è invece nella sanità pubblica principalmente sotto le forme delle Aziende Ospedaliere.
 
Non interrogarsi sui nodi strutturali che hanno impedito o rallentato da anni ormai il perseguimento degli obiettivi di questo nuovo PNRR è sicura garanzia di una almeno parziale inefficacia di tutte le progettualità da questo previste che hanno già alle spalle una lunga storia di insuccessi.
 
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on


15 gennaio 2021
© Riproduzione riservata


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