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24 NOVEMBRE 2024
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Il dibattito sull’Ebm. L’evidenza scientifica in medicina è punto di partenza, non di arrivo

di Luigi Stella

Proseguiamo il dibattito sollevato dall'ultimo libro di Ivan Cavicchi sulle evidenze scientifiche in medicina con Luigi Stella. “Il luogo comune che da sempre la critica sostiene vs la EBM è che essa non è sempre applicabile e l’autonomia del medico è limitata ecc. ecc. Non sono d'accordo, io credo che la EBM sia un punto di partenza e non un punto di arrivo”.

08 OTT - Sembrerebbe che il Prof. Cavicchi con il suo libro abbia aperto lo scrigno di Pandora. Innanzitutto chi si illude che esiste la perfezione nel campo medico appaga solo la sua speranza. Io sono napoletano e un grande maestro della medicina ebbe a dire: “il medico bravo è colui che sbaglia di meno”. La EBM è nata ufficialmente per ridurre l’errore medico, razionalizzare gli interventi con pratiche sperimentate e condivise che ci arrivano dalla ricerca preclinica e clinica. Il luogo comune che da sempre la critica sostiene vs la EBM è che essa non è sempre applicabile e l’autonomia del medico è limitata ecc. ecc. Nient’affatto io credo che la EBM sia un punto di partenza e non un punto di arrivo.

Certo tutto si può mettere in discussione e puntualmente ciò avviene, ma le ragioni sono molteplici e spesso dettate da situazioni personali e a volte si arriva a posizioni di categoria. Se noi analizziamo con rigore le basi della EBM, che come dicevamo ci arrivano dalla ricerca, ovviamente dobbiamo essere sicuri dalla premessa e cioè che la letteratura scientifica sia affidabile al 100%, ma siamo consapevoli che ciò non è veritiero al 100% e invece, purtroppo, è vero, come taluni sostengono che questa affermazione non potrebbe essere vera e in effetti alcuni “incidenti” ci sono stati: il 5 agosto del 2014 un noto e affermato biologo giapponese, Yoshiki Sasai, tra i principali esperti mondiali di cellule staminali in forze al RIKEN Center for Developmental Biology di Kobe, si suicida. Sasai aveva pubblicato su Nature  due articoli insieme alla Sua ricercatrice Obokata, che descrivevano una nuova tecnica apparentemente rivoluzionaria per convertire cellule adulte di topo in cellule pluripotenti. Dopo la pubblicazione dell’articolo fu segnalato che le immagini prodotte nell’articolo erano foto mondate. Alla fine si scoprì che la Sua collaboratrice Obokata si era inventata tutto, ingannando anche Sasai.

Lo studio di Andrew Wakefield sulla relazione vaccini autismo smentito nel 2010 dal General Medical Council britannico perchè prodotto con dati falsificati. The Lancet (la rivista che lo aveva pubblicato), qualche giorno dopo ritirò l’articolo e nel 2012 Wakefield fu radiato dall’Ordine dei medici. Dei due esempi riportati, ma c’è ne sono molti altri, è importante sottolineare che erano stati pubblicati su due riviste, che sono tra le più prestigiose del mondo e ciò rende la cosa ancora più grave. Questo per dire che cosa, e cioè che le ricerche dovrebbero essere sottoposte ad un maggior controllo sui dati riportati perché se non partiamo da basi certe e veritiere tutto il discorso sulla EBM cade. Anche se bisogna precisare che i nodi vengono sempre al pettine e a maggior ragione per le evidenze che riguardano la clinica, evidenze non vere cadono sul campo.

Comunque nel complesso, non possiamo negare tale problema e riportare che alcune indagini indicano che la frode scientifica è più frequente di quanto si pensi. Enrico Bucci in “Cattivi scienziati” (Add Edizioni, Torino, 2015), cataloga la frode scientifica in tre categorie: la fabbricazione di articoli basati su dati falsi o inventati da zero (l’arte dello Schön); la falsificazione o manipolazione intenzionale dei dati (soprattutto aggiustando ad hoc immagini e statistiche) per avvalorare una tesi (magari anche vera, ma sostenuta in modo metodologicamente scorretto); il plagio di lavori altrui e l’auto-plagio, cioè il vizio di moltiplicare gli articoli sullo stesso esperimento. Secondo Bucci, in alcune discipline la percentuale di articoli contenenti dati in vario modo falsati sfiora il 25%.

Le metodologie delle ricerche comunque dovrebbe essere aggiornate e rigorosamente valutate. Come riportato nel Loro articolo da Gensini, Rasoini e Alderighi necessita una lunga serie di riflessioni sul significato, il valore e l'importanza della EBM, sui suoi limiti, i difetti nella sua applicazione e nella interpretazione, i rapporti con la professione e con la medicina legale, infine il ruolo della pratica clinica.

Ecco, proprio la parola pratica assume un ruolo importante, il Prof. Cavicchi ragiona molto sulla pragmatica della medicina e quindi sulla necessità di un medico pragmatico che possa ragionare in modo complesso e possa diventare con questo “un buon medico”, che sceglie ciò che è meglio per il malato.

La ricerca clinica dovrebbe essere di più uniformata alla pratica clinica, il gold standard della ricerca clinica è lo studio randomizzato e controllato (Randomised controlled trial - RCT) e credo che dovrebbe essere rivisto, le competenze dei Comitati Etici dovrebbero essere ineccepibili e meticolose. L’arruolamento dei pazienti (pz) non dovrebbe essere “maniacale”, perché tutti sappiamo che il pz arruolato nello RCT troppo spesso non coincide con il pz post marketing, e allora sarebbero necessari nuovi criteri di arruolamento, non tenendo conto dei “desideri” delle Case Farmaceutiche e il pz dello RCT dovrebbe essere quello del post marketing. E’ notorio che quando più la ricerca si avvicina alla vera realtà più si restringe il divario tra ricerca e sua applicazione, quindi una continua valutazione è indispensabile e forse ciò potrebbe far riflettere di più coloro che parlano di difetti dell’EBM nella sua applicazione e interpretazione.

Un’altra considerazione e precisazione che va fatta è che nel nostro paese, ma non solo, il medico dovrebbe avere come punto di riferimento le evidenze cliniche, per non incorrere in problematiche medico legali e limitare significativamente la medicina difensiva che non aiuta il sistema, anzi lo aggrava sia dal punto di vista dell’efficacia che dell’efficienza. La responsabilità medica è un grosso problema che deve essere affrontato come dettato dalla (Legge 24/2017). Sembrava che in questo periodo di SARS - CoV-2 i medici e i sanitari in generale, erano diventati dei santi e le denunce erano in flessione, ma scopriamo che ciò non è vero, anzi c’è stata addirittura un’impennata di denunce.

Già da più di due anni si è insediato, presso la sede dell'AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), l'Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, previsto all'art. 3 della legge n. 24/2017. Questo organismo ha il compito di raccogliere e conservare i dati relativi agli eventi avversi e ai rischi sanitari, nonché al contenzioso ad essi relativo, al fine di comprenderne le cause e prevenirne la ripetizione; dovrà inoltre predisporre, in collaborazione con le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, apposite linee di indirizzo in tema di risk management. Pertanto, è all’interno di tale scenario che si debba muoversi per migliorare e innovare la pratica clinica e ripeto la strada è cercare di trovare sovrapposizioni utili. Purtroppo, c’è da dire però che i Decreti applicativi tardano ad arrivare.

Adesso torniamo alle al punto principale, magari analizzando perché si è affermata la Evidence-based Medicine (EBM) e ovviamente oggi, a torto o a ragione, propendo per quest’ultima, è divenuta fortunatamente globale, favorita da alcuni fenomeni che hanno contribuito ad una crisi dei modelli tradizionali della medicina quali la circoscritta dislocazione dei esiti della ricerca alla pratica clinica, avvalorato dal continuo impiego di trattamenti inefficaci, limitata capacità di disporre di interventi efficaci, efficienti (riduzione delle risorse dei sistemi sanitari, simultanea crescita della domanda e dei costi dell’assistenza); ed appropriati; soggettività della pratica professionale, ecc., cambio del paradigma da malato a utente (fruitore di un servizio) con aumento della domanda in termini di partecipazione al progetto terapeutico. L’avvento dell’informatica che indubbiamente ha ampliato il concetto dell'informazione biomedica e infine la produzione scientifica. La crescita di funzione di ricerche tradotte in articoli che paradossalmente invece di aiutare il medico l’ho disorienta, perchè non sa dove attingere e come fare per acquisire un aggiornamento professionale mirato e concreto.

La EBM nella sua enunciazione di efficacia ha in se elementi per evitare i luoghi comuni, di cui dicevamo: convertire il bisogno di informazione-formazione con quesiti clinici ben definiti; valutare criticamente le migliori evidenze scientifiche disponibili; integrare le evidenze nelle decisioni cliniche. In base a tali presupposti nel corso di questi 30 anni, la definizione di EBM si è progressivamente evoluta applicando le sue tesi originarie e cioè che: il contesto clinico-assistenziale è una determinante non trascurabile delle decisioni clinico-assistenziali; l’esperienza professionale costituisce l'unico elemento che può integrare in maniera equilibrata per le evidenze, preferenze e contesto. Essa è e deve essere una metodologia in evoluzione che deve avere in se tutti gli elementi genetici con cui è nata e tutti questi elementi conosciuti e applicati devono funzionare da antidoto per non farla essere rigida come a volte accade. Pertanto, non è utile contrapporre il paziente e il medico con la ricerca scientifica.

Non dobbiamo incolpare l’EBM dello scadere del rapporto empatico tra medico e paziente; infatti la EBM è “l’uso cosciente, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze (cioè prove di efficacia) biomediche al momento disponibili, al fine di prendere le decisioni per l’assistenza del singolo Paziente”. Quindi appare chiaro che il paziente è il ‘centro’ della Medicina fondata sulle prove e deve essere informato in modo chiaro e preciso del perché gli vengono consigliati specifici esami o risolute terapie. Inoltre, deve avere nozione della logica e della cultura che “stanno dietro” ai suggerimenti del medico, non casuali o soggettivi, ma fondati su dati di ricerca scientifica rigorosa applicati “su misura” ad ogni singolo paziente. Per tali motivi la EMB fonda la sua “filosofia” per la costruzione dell’alleanza terapeutica che lo vede protagonista della sua cura. Per non tradire la missione della medicina è questo che deve essere il Bing Bang.

I risultati degli studi, per quanto rigorosi, non possono essere applicati ad ogni paziente in modo meccanico ed indiscriminato. Certamente gli studi danno una indicazione su quelle che sono “molto probabilmente” le migliori terapie per tutti, tuttavia il medico deve sapere riconoscere l’unicità del Paziente, la presenza di comorbidità, quali possono essere i rischi ed i benefici di un intervento per quel singolo paziente, quali sono le sue esigenze e capacità individuali per seguire una particolare cura e tu.

Il paziente sa di essere curato secondo una metodologia rigorosa, volta a dargli sempre il meglio, scegliendo esami diagnostici e terapie di dimostrata efficacia, tralasciando quanto può essere inutile, e puntando sempre sulla sua informazione e partecipazione, e infine se la medicina recente utilizza la tecnologia disponibile sta al medico integrala e sfruttarla a favore del paziente.

Luigi Stella
MD, PhD
Presidente Nazionale Società Italiana Tossicodipendenze (SITD)

 
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08 ottobre 2020
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