Che i calabresi vengano, finalmente, trattati come meritano
di Ettore Jorio
La sanità è cosa seria, e qui in Calabria merita di essere finalmente trattata come tale e non più come qualcosa della quale tutti ne parlano, quasi sempre impropriamente, ma nessuno fa qualcosa per dare ad essa la svolta liberatoria
29 GIU - La
decisione del governo Conte di cominciare a «portare le carte in Tribunale» su ciò che si fa in Calabria per «garantire» la salute ai calabresi costituisce un buon segno. Finalmente, l'occasione di dimostrarsi attento alla tutela della salute reale. Soprattutto dopo le responsabilità (gravissime) assunte dalla ministra Grillo, all'epoca dell'Esecutivo giallo verde, con il decreto salva-Calabria (più esattamente, rovina-calabria) e quelle dell'attuale ministro di mantenerlo in piedi e di inviare in Calabria a governare la salute il peggio di quello che c'è in circolazione.
Un modo, questo, per rendersi responsabile, anche per colpa di chi lo ha preceduto, di uno shock organizzativo che non trova eguali nel Paese, con la collettività abbandonata a se stessa dalla continuità delle scelte sbagliate ovvero dalla omissione delle stesse, tutte riconducibili ad un decisionismo non propriamente sobrio.
L'impugnativa del Consiglio dei Ministri avanti la Corte costituzionale della legge 1/2020 - che tra l'altro rappresenta un capolavoro di arlecchinaggio giuridico - nella parte (artt. 9 e 10) in cui disciplina la «integrazione» (istituto non conosciuto dall'ordinamento) dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria "Mater Domini - Pugliese Ciaccio”, fa supporre (si spera) che il Governo si sia finalmente accorto dell'insostenibilità del nostro sistema sanitario e di come lo stesso viene quotidianamente trattato (malissimo).
Ha quindi deciso di intervenire, si spera, imponendo da subito un management di qualità a presiedere il commissariamento governativo in atto, in surroga di quello che sta finendo di distruggere l'indistruttibile.
La Calabria è un lager
Un cambio di passo necessario per correggere lo stato di assoluto abbandono in cui versa la sanità calabrese, utilizzata sino ad oggi come una sorta di laboratorio del cinismo assistenziale, ove si provano le metodologie da escludere e, quindi, da non replicare altrove. Una condizione di alto disagio nei confronti della quale si è resa anche artefice la Regione, con affidamenti di responsabilità non propriamente indovinati.
L'individuazione a parte della Giunta regionale e
l'odierno affidamento a Francesco Bevere del Dipartimento regionale della salute potrebbe costituire l'occasione per il cambiamento, sia in termini di formazione della squadra da impegnare nella ricostruzione che di strategie attuative. Vedremo.
Da parte mia, l'augurio di buon lavoro e l'aspettativa a che riesca ove tutti hanno fallito, rianimando un sistema in coma e riabilitandolo a fare il proprio «mestiere», erogando quanto sancito dalla Costituzione.
Buona l'iniziativa politica del Governo
Interessante la volontà recentemente espressa dall'Esecutivo - in concomitanza dell'annuncio dell'impugnativa della suddetta legge regionale - tendente ad aprire un tavolo, verosimilmente per risolvere non solo il problema specifico dell'erogazione a Catanzaro del livello di assistenza ospedaliera bensì - ce lo auguriamo tutti - per indirizzare il futuro del sistema sanitario calabrese, ahinoi, recentemente sottoposto a vani e improvvidi tentativi riformisti, il più delle volte campati in aria sia sul profilo delle opportunità che il diritto offre che del merito.
... che i calabresi vengano, finalmente, trattati come meritano
La sanità è cosa seria, e qui in Calabria merita di essere finalmente trattata come tale e non più come qualcosa della quale tutti ne parlano, quasi sempre impropriamente, ma nessuno fa qualcosa per dare ad essa la svolta liberatoria. Un appellativo usato per sottolineare quanto incida la sanità nell'esercizio delle libertà fondamentali che spettano all'individuo per esercitare ed esigere concretamente, a mente della Costituzione, i diritti di cittadinanza.
Libertà di godere della necessaria prevenzione, per sé e la propria famiglia, che da queste parti non si sa neppure in che cosa consista. Libertà di curarsi e riabilitarsi presso la migliore offerta, indipendentemente se pubblica o privata (si badi bene accreditata e in quanto tale equivalente alla pubblica), ove la prima ha il dovere di battere, in concorrenza amministrata, la seconda a colpi di efficienza ed efficacia.
Libertà di potere accedere ai servizi erogativi nei tempi occorrenti alla propria salute senza intercessione alcuna. Libertà infine di vivere, curarsi e morire e comunque esigere i Lea in prossimità della propria abitazione.
Ettore Jorio
29 giugno 2020
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