La bioetica non è l’ombelico del mondo
di Ivan Cavicchi
La sentenza della Corte Costituzionale sul suicidio assisito ha riacceso il dibattito e la bioetica si è ripresentata con la solita pretesa di sempre: prescrivere ai medici, ai malati, alla società tutta, le proprie verità. Perché la bioetica non può tollerare né i discorsi sull’amorevolezza, né la posizione autonoma sulla sentenza della Corte assunta dal presidente della Fnomceo
09 OTT - In questi giorni, grazie alla
sentenza della Corte Costituzionale sul suicidio assistito, la bioetica, normalmente del tutto assente dalle problematiche quotidiane della medicina, dei medici, dei malati, della sanità, indifferente alla “questione medica”, che non sa cosa sia un paradigma in crisi, è tornata, su questo giornale, a farsi viva con alcuni articoli e con la solita pretesa di sempre: prescrivere ai medici, ai malati, alla società tutta, le proprie verità.
In particolare, di questo dibattito trascurando i “giuristi” che continuano a sparare i loro “bio-sfondoni” sull’anticostituzionalità dell’ippocratismo (Benci,
QS 29 settembre 2019) sono stato colpito dalla discussione tra
Maurizio Mori e
Livia Turco, nella quale, a parte il merito delle questioni (diritto all’amorevolezza contro diritto all’autodeterminazione) ho visto una sorta di dialogo tra sordi, cioè da una parte, una visione del rapporto medico malato ricca, umana, relazionale, quindi filosofica, (anche se a rischio di retorica come ha fatto notare Flamigni,
Qs 3 0ttobre 2019) dall’altra la visione normativa cioè di mera rappresentazione dei principi, cioè bioetica.
In questo dialogo tra sordi, l’amore per l’uomo, è quasi contrapposto alla giustizia dell’uomo, come se tra questi mondi non vi possa essere né una relazione e né un dialogo.
Bioetica come anti-filosofia
Ma c’è un passaggio, nell’articolo di Mori, che spiega perché la bioetica non può tollerare né i discorsi sull’amorevolezza, né la posizione autonoma sulla sentenza della Corte
assunta dal presidente della Fnomceo, e che ha a che fare con la sua vocazione “normativista”.
Si tratta, secondo me, di uno dei limiti più importanti della bioetica vale a dire l’idea per la quale la norma bioetica, quale prescrizione giuridica, è l’ombelico del mondo, cioè la vera verità, senza la quale non è possibile fare giustizia. Quella che Kelsen, il padre del normativismo, definiva come “dottrina pura del diritto”.
E’ in ragione di questa visione normativista delle cose che:
- Benci si permette di dire che nei confronti della sentenza della Corte sul suicidio assistito, la posizione della Fnomceo è “eversiva” (
QS 29 settembre 2019),
- Mori respinge sdegnosamente l’autonomia di giudizio della Fnomceo come se fosse una grave disobbedienza alla legge (
30 settembre 2019).
Il passaggio nell’articolo di Mori che, per brevità, riassumo nell’espressione volutamente polemica di “scientismo morale e/o morale scientista” sostiene che:
- l’etica non può essere una opinione, una convinzione, una credenza, un valore ideale, ma si deve basare solo sulla scienza,
- che un’etica che non si basa sulla scienza ma su altri valori non può essere giusta,
- che la giustizia è una e va applicata tanto al “piano economico-sociale” che a quello “biologico”, quindi al corpo,
- che la giustizia in campo bioetico comporta che, di fronte alla sofferenza, il diritto all’autodeterminazione che sta alla base del suicidio medicalmente assistito, ha precedenza sul presunto quanto illusorio diritto all’amorevolezza.
Ebbene questo ragionamento, alla base fin dall’inizio della nascita della bioetica, è quello che ha scalzato 40 anni fa l’etica medica, come se in medicina, oltre la norma giuridica, non vi fosse null’altro, nessuna complessità, nessuna umanità, nessun contesto.
Ebbene quando la norma sostituisce la complessità dell’uomo subordinandolo a dei principi a degli standard, allora:
- per i malati sono dolori perché essi spariscono come persone,
- per i medici non c’è altra strada che obbedire alle norme, cioè eseguire.
La norma in questi casi diventa un cortocircuito sia che riguardi il suicidio assistito, una evidenza scientifica, una linea guida.
Vorrei far notare che, una bio-etica “basata” sulla scienza, intendendo la scienza come una evidenza, e, una scienza “basata” sulle evidenze, hanno in comune la pretesa, di:
- esemplificare un mondo ontologicamente non esemplificabile,
- comandare su realtà convenzionali cioè ipotetiche non reali,
- trasformare la scienza in un principio metafisico, cioè assoluto e dogmatico quindi in un principio “irragionevole”.
La bioetica in questo modo altro non è che scientismo etico. Nulla di più. L’etica medica è un’altra cosa cioè è scienza ma non solo.
Etica medica e suicidio assistito
Un’etica scientista per la medicina per me oggi è quanto di più inadeguato e inaccettabile si possa immaginare, per cui non ho alcun problema a proporre la liquidazione della bioetica e un ritorno all’etica medica cioè la ridiscussione degli approcci normativisti e il ritorno alla complessità della riflessione filosofica.
Facciamo finta di mettere da parte la bioetica e di ragionare di etica medica, ovviamente, anche in questo caso vi sono principi, valori, norme da rispettare, ma, in questo caso, a differenza della bioetica si dovrà ammette che:
- la complessità del malato non può stare in un principio, o in uno standard,
- per applicare un principio è necessario ricorrere all’equità, cioè per inverare qualcosa di universalmente valido è necessario ammettere delle differenze, delle singolarità, delle situazioni,
- per il medico se vuole essere giusto necessariamente egli dovrà adottare logiche discrete.
Per l’etica medica, si tratta, attraverso l’autonomia e l’interpretazione del medico, di recuperare necessariamente lo scarto inevitabile che esiste sempre tra un principio, uno standard, una evidenza e la realtà. Per questo essa non può permettersi il lusso di essere antifilosofica come la bioetica e meno che mai scientista.
A differenza della bioetica
L’etica medica che io auspico a differenza della bioetica dovrebbe:
- ammettere verità non solo scientifiche per esempio l’opinione del malato, la sua singolarità, il tipo di contesto, il tipo di relazione, il grado di complessità, i limiti delle verità convenzionali, e persino i limiti economici, ecc.,
- ritenere che a seconda del caso vi siano più giustizie cioè che il grado di giustizia dipende dalla capacità di cogliere singolarità e specificità, cioè giustizia e adeguatezza sono la stessa cosa, qualsiasi cosa che per un malato è inadeguata è ingiusta,
- ammettere che il diritto all’autodeterminazione che sta alla base del suicidio medicalmente assistito sia per sua natura un “diritto relativo” non assoluto, perché implica sempre, una interpretazione dello stato delle cose e soprattutto una inevitabile personalizzazione.
A differenza della bioetica a proposito di suicidio assistito per l’etica medica che auspico:
- vale il principio ippocratico conclamato del medico al servizio della vita un medico al servizio della morte diventa un “non medico”, come hanno dimostrato le mostruosità dei medici nazisti, grazie alle quali è nato il consenso informato, per cui il suicidio esce dall’orbita dell’atto medico e esce dal dominio dell’assistenza,
- il medico che eventualmente decide di aiutare un malato suicida non lo può fare da medico ma da amico solidale esattamente come se fosse una “accabbadora” o un accolito di quelle che, una volta, dalle parti di mio nonno, si chiamavano le “compagnie delle buona morte”.
Che vuol dire medicalmente assistito?
Dire quindi che il suicidio assistito sia “medicalmente assistito” è una contraddizione esso:
- non sarebbe più un suicidio ma qualcosa che proprio perché è medicalizzato sarebbe teso a far sopravvivere chi vuole morire,
- vi sarebbe il rischio di superare il confine tra suicidio e eutanasia.
Il suicidio nell’interesse primario del principio di auto-determinazione deve essere demedicalizzato cioè non può essere un atto scientifico ma deve essere prevalentemente una scelta esistenziale del cittadino malato eseguito da qualcuno scelto liberamente dal malato suicidario.
Per l’etica medica il principio di autodeterminazione proprio perché di autodeterminazione non può essere un automatismo come dicono i bioeticisti ma deve essere un atto coscientemente deliberativo da parte del malato suicida, cioè deve essere la conseguenza di una “scelta” non medica.
In questa scelta può anche darsi che per ragioni di fiducia il malato suicida chieda al medico che lo ha curato fino alla fine di essere solidale con lui, cioè di essergli vicino. Ma la solidarietà, o la pietà, o la compassione, non possono essere “assistenza medica” perché se fossero assistenza sarebbe inevitabilmente per ragioni deontologiche anti-suicidaria.
Nel caso in cui il medico agisse come un “non medico” cioè come un amico pietoso e solidale, allora, in questo caso, non si dovrebbe porre il problema dell’obiezione di coscienza ma solo quello della depenalizzazione.
Siccome l’obiezione di coscienza viene data per scontata da tutti vorrei far notare che essa implica che il medico si rapporti al suicidio assistito come un medico e che nei confronti del divieto di coadiuvare la morte implichi la possibilità di prevedere delle eccezioni.
Cioè l’obiezione di coscienza ha senso in un suicidio medicalmente assistito ma non in suicidio socialmente assecondato. Un non medico ha semplicemente un problema di libertà cioè può accettare o può rifiutare, cioè non ha obblighi deontologici.
Insomma il problema è chiarire la differenza tra “medicalmente assistito” e “assistito”, nel primo caso si dovrà prevedere l’obiezione di coscienza nel secondo caso è del tutto inutile.
I miei dubbi sulla bioetica
Ho voluto mostrare, di contro le semplificazioni dei bioeticisti, le complessità che, pur esistono, dietro il suicidio assistito e dimostrare che i loro approcci normativi sono del tutto inadeguati a cogliere le tante implicazioni deontologiche che esso sollecita.
Ho voluto semplicemente riaffermare la necessità di un ragionamento etico a tutto campo emancipandolo dalle logiche scientiste della bioetica.
In 40 anni, la bioetica, per quel che mi riguarda, non ha prodotto un solo pensiero che contrastasse la crisi della medicina positivista e la crisi della professione medica. Nel campo medico sanitario non ha fatto altro che rifilarci le banalità delle medical humanities.
Essa ha sfornato un mucchio di documenti ma senza mai incidere significativamente nella realtà e per lo più ignorando il suggerimento di Giovanni Berlinguer, anche lui come tanti medici convertito anzitempo alla bioetica, che ci raccomandava di prestare attenzione al quotidiano non solo alle grandi questioni (G.Berlinguer bioetica quotidiana Giunti 2000).
Ma è proprio sul quotidiano che la bioetica è mancata del tutto pur sapendo che i problemi etici in medicina appartengono alla sfera costante del quotidiano.
Naturalmente ho letto con interesse “
Le riflessionibioetiche sul suicidio medicalmente assistito” del Comitato nazionale di bioetica del luglio 2019 e a parte constatare la solita spaccatura tra bioetica laica e cattolica riguardo alle “raccomandazioni condivise” le ho trovate molto al di sotto delle complessità in gioco richiamate in questo articolo ma soprattutto del tutto inadeguate a dare alla politica degli indirizzi plausibili su cui lavorare. Come ha scritto Luciano Moia su
Avvenire in questo caso e in molti altri casi, il comitato nazionale ha scelto di non decidere (
30 luglio 2019).
Per quello che mi riguarda il Comitato nazionale di bioetica, anche se composto da singoli illustri e stimati studiosi, andrebbe considerato alla stregua di un ente inutile e quindi chiuso quanto prima. Se i contributi della bioetica sul suicidio assistito sono quelli che ho letto su questo giornale personalmente farei a meno della bioetica. Oggi la medicina e la professione medica hanno bisogno di ridiscutersi ma la bioetica non è su questo terreno in grado di dare contributi. Gioco forza bisogna tornare all’etica medica di una volta.
Conclusione
Se anche la bioetica, come la ebm, l’intelligenza artificiale, la medicina amministrata, pensano al medico come ad una trivial machine allora, al fine di avere una buona medicina, è meglio non avere una bioetica e tornare all’etica medica. Etica e scientismo, mi dispiace essere di parere diverso da quello del prof. Mori, in medicina non vanno d’accordo. Lo scientismo per definizione non può essere etico perché non è etico amputare l’ontologia del malato della sua irriducibile complessità.
I medici hanno il diritto di scegliere deontologicamente come applicare la sentenza della Corte costituzionale e qualsiasi altra norma, non solo perché la deontologia è una loro prerogativa ma anche perché l’applicazione di una norma per quel che mi riguarda dipende sempre da una interpretazione
Gli scientisti non ammettono nessuna interpretazione, né di una norma bio-etica proprio perché considerata bioetica, né di una evidenza scientifica proprio perché evidenza. Al contrario io credo invece che ci vuole sempre una interpretazione il che chiama in causa la necessità ineliminabile di un interprete che abbia una autonomia interpretativa, cioè di un medico che si prende una responsabilità ermeneutica e nello stesso tempo esegetica. Gli scientisti non vogliono interpreti ma fedeli esecutori cioè fedeli servitori della scienza.
Coloro che in qualità di bioeticisti si propongono come “interpreti per gli interpreti” pur riempendosi la bocca con l’auto determinazione non ci posso fare niente ma li considero patetici. Sorry.
Infine in particolare al prof. Mori al quale riconosco il merito di essere stato in Italia il caposcuola della bioetica laica voglio dire che la sentenza della Corte sul suicidio assistito non andrebbe trattata, come leggo dai suoi articoli, come se fosse un “fenomeno morale” e vorrei ricordagli, con Nietzsche, che “non esistono fenomeni
morali, ma solamente una
spiegazione morale dei fenomeni.” (F. Nietzsche: Al di là del bene e del male, Newton Compton editore 2011) e che per un medico spiegare e interpretare sono sostanzialmente la stessa cosa.
Per quello che mi riguarda la “spiegazione” e “l’interpretazione” del suicidio assistito prima di partire dalla norma, quindi dalla bioetica, non può che partire dall’uomo che soffre e desidera la morte come se fosse una libertà, quindi dalla filosofia. Insisto, per me, oggi si tratta di tornare all’etica medica a tutto campo, le scorciatoie prese in passato, si sono dimostrate empiricamente inconcludenti .
Ivan Cavicchi
P.S: nel frattempo è scoppiato lo scandalo Venturi, avendo io scritto a più riprese e in tempi non sospetti sulla sua inattendibilità politica e culturale e sulle sue vistose incapacità politiche, mi limito ad:
- applaudire all’iniziativa dell’Ordine di Torino che ne ha chiesto le dimissioni dal comitato di settore, Qs 8 ottobre 2019),
- a dire all’ordine di Bologna che ha fatto proprio bene a radiarlo.
Nel suo delirante intervento alla Fials ha ammesso di essere stato radiato perché con i suoi provvedimenti ha deliberatamente inteso aiutare gli infermieri contro i medici.No comment.
09 ottobre 2019
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