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Ma perché tutti questi numeri insensati sulla sanità? Superficialità o anche interessi? Una cosa è certa: in sanità bufale e fake news sono particolarmente pericolose

di Federico Spandonaro

Dall'invenzione della soglia Oms del 6,5% alle migliaia di morti per malasanità, fino ai milioni di italiani senza cure perché non avrebbero i soldi per pagarsele e alle decine di miliardi per corruzione e medicina difensiva. Unica consolazione, si fa per dire, è che in Italia l’informazione quantitativa è mediamente scadente (non sarà un caso che le Facoltà di Statistica hanno visto un calo di iscritti che le ha relegate a Dipartimenti di altre branche): quindi ci sta che qualche volta la lettura superficiale sia certamente stata fatta in buona fede. Ma il danno resta

28 GEN - Per chi come il sottoscritto (e tutto il team di C.R.E.A. Sanità) non fa praticamente mai “notizia” sui media con le proprie ricerche, l’articolo a firma Giovanni Rodriquez su QS “Rischi per la salute sotto il 6,5% del Pil? Lo dice l’OMS... ma in realtà non lo ha mai detto” suona consolatorio … sembra che qualche volta ci sia giustizia di una certa eccessiva disinvoltura nell’elargire numeri come fossero dati scientifici incontrovertibili, pur di raggiungere picchi di audience ai più inarrivabili.

A parte l’ironia, che usare l’incidenza di spesa sanitaria sul PIL per definire una soglia di “livello minimo di qualità” sia insensato è talmente ovvio che non varrebbe la pena tornarci su; tanto per dire:
1) E’ un rapporto quindi dipende dal denominatore… il 6,5% del PIL del Lussemburgo è ben diverso dal 6,5% del PIL del Ghana
2) Dipende poi dal potere di acquisto che non è uguale nei Paesi
3) A parità di ogni altro dato dipende pure dall’efficienza dei servizi (se sei più “bravo” erogherai più servizi a parità di costo)
4) E, sempre a parità di ogni altro dato, dipende pure dalle caratteristiche della popolazione: è ovviamente diverso assistere una popolazione di 80-enni o una di 30-enni
5) E poi il dato sbandierato è quello relativo all’incidenza della spesa pubblica… come si fa a non considerare anche quella privata che in Italia, ad esempio, è ormai un quarto del totale?

Si potrebbe continuare ancora, ma il vero contenuto di questa vicenda travalica il “numerello”. A ben vedere, negli ultimi mesi/anni, QS e il suo Direttore Cesare Fassari, hanno già segnalato altre “incongruenze” nei numeri utilizzati a supporto di tesi più o meno convincenti: quindi il fenomeno è tutt’altro che un caso isolato.

Senza pretesa di esaustività e solo per sorridere, mi vengono in mente la vicenda delle centinaia di migliaia di morti per eventi avversi in ospedale (che forse era una mera e acritica estrapolazione di vecchi dati americani su quelli italiani); quella della crescita del contenzioso (ricordo che un broker mi mostrò una simpatica raccolta di articoli di giornale in cui, in anni successivi, immancabilmente si titolava “crescita esponenziale dei sinistri sanitari” e poi si diceva che erano arrivati a … era sempre lo stesso numero!).
 
Non è male anche la diatriba sui costi della corruzione, che sommati a quelli della medicina difensiva (mi pare di aver capito che, per qualcuno, che il 70% dei medici avesse dichiarato che a volte faceva scelte condizionate dai rischi di contenzioso sia diventato che il 70% delle prescrizioni erano dovute a “difensivismo”) e a qualche altra questione di efficienza… porterebbero il nostro SSN a poter spendere, a parità di servizi, forse meno della metà della presunta “soglia OMS”, e senza danni per la qualità dei servizi; come anche bisogna mettersi d’accordo su che vuol dire che la gente rinuncia a curarsi, dove di nuovo ballano numeri a 6 zeri; più di recente ho visto la notizia che ci sono milioni di invalidità in meno per il diabete, che però forse sono minori invalidità in generale, i cui titolari sono (anche) diabetici… e volendo in mezzo c’è stata anche la tentazione di far capire che l’aspettativa di vita in Italia aveva già iniziato a ridursi… e chi più ne ha più ne metta.

La vera domanda è allora: perché tanta approssimazione? Che la qualità dell’informazione (e forse anche della ricerca) sia calante è probabilmente un fenomeno generalizzato, esasperato dalla crescita dei canali di comunicazione e quindi dall’impossibilità di un “controllo” esaustivo dei contenuti: di certo però in Sanità le “bufale” sono particolarmente pericolose.

Quello che personalmente noto è che le fake news reggono su una congiunzione (magari non astrale) di fattori:
1)
Fa notizia solo ciò che è esasperato (con una forte asimmetria fra le cose negative e quelle positive, dove le seconde fanno notizia solo se sono davvero “uniche”).

2) L’opinione pubblica tende sempre più a recepire come vero solo quello che è coerente con il proprio “mal di pancia”, e sono spariti gli “intellettuali” capaci di far diventare comprensibili le evidenze scomode.

3) Mi pare poi di poter anche dire che in Italia conti più un passaggio in televisione che il rischio di perdere la propria reputazione, e questo incentiva a prendersi il rischio di usare dati senza verificarli.

4) Aggiungerei che in Italia l’informazione quantitativa è mediamente scadente (non sarà un caso che le Facoltà di Statistica hanno visto un calo di iscritti che le ha relegate a Dipartimenti di altre branche): quindi ci sta che qualche volta la lettura superficiale sia certamente stata fatta in buona fede.

5) Va da sé che se poi la lettura superficiale del dato conviene a qualcuno, il processo di diffusione dell’epidemia è molto più rapido.

6) E comunque la cultura imperante è quella di un abuso del principio (letto – di nuovo – superficialmente) del “fine che giustifica i mezzi”, così che il dato è costruito e strumentalizzato per sostenere una tesi, quando invece il dato dovrebbe servire a verificare le tesi o a proporne di nuove.

Ancora una volta le nostre provinciali diatribe in Sanità sono la cartina al tornasole della Società italiana: basta vedere come è iniziata la campagna elettorale, dove mi pare che nessuno si periti di essere minimamente prudente nello “sparare” numeri e proposte: tanto anche se poi qualcuno controllerà ex post, è ormai “culturalmente acquisito” che sia normale uno iato fra promesse e fatti realizzati.

E’ di questi giorni l’invito di varie personalità del settore Sanitario ad una alleanza fra Scienza e Politica: mi pare una buona cosa e però richiede che si abbia voglia di tornare ad un sano understatement, e alla voglia di sedersi intorno ad un tavolo lasciando fuori della porta le idee preconcette (sia della Politica che degli Scienziati), ragionando con molta pazienza e umiltà su cosa può essere utile, o forse persino necessario, per continuare ad avere un SSN che (con vari difetti non marginali e certamente da eliminare) bene o male assicura a tutti una certa tranquillità, ad un costo molto inferiore a quello degli altri Paesi sviluppati.
 
E ricordandoci che seppure senza dubbio la Sanità sia un mondo di grandi interessi, è un mondo dove probabilmente non c’è (per usare categorie di fatto obsolete) una idea di destra e una sinistra: c’è solo da valutare quanta e quale copertura Sanitaria deve essere garantita a tutta la popolazione e con quale assetto istituzionale e organizzativo si riesce a realizzarla.

Noi come ricercatori continueremo a evidenziare tutti i caveat ai “numeri” che produciamo, accettando serenamente di avere, di conseguenza, scarso seguito sui media popolari… magari guadagnandoci la tranquillità che se qualche volta sbaglieremo una interpretazione (e in un modo complesso come la Sanità questo più che probabile è certo!), QS ce lo farà certamente notare, ma magari potrà almeno riconoscerci la buona fede per “la lunga militanza professionale”.
 
Federico Spandonaro
Università di Roma Tor Vergata
Presidente CREA Sanità
Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità


28 gennaio 2018
© Riproduzione riservata


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