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Emergenza caldo in carcere. Servono azioni concrete, non parole

di Nerina Dirindin

Non si può più continuare a chiedere a chi opera in prima linea nelle carceri di attivarsi per il benessere delle persone, scaricando su di loro responsabilità che devono essere affrontate in primo luogo dalla Giustizia e dalla Sanità

06 AGO - Le condizioni di caldo estremo di queste settimane mettono a dura prova la salute di coloro che vivono o lavorano in carcere: operatori penitenziari, volontari e detenuti.

I detenuti vivono in celle sovraffollate, fermi per lunghe ora nelle loro brande, aspettando che dalla finestra entri un filo d’aria, senza doccia (7 celle su 10 non hanno una doccia), nella migliore delle ipotesi con i piedi immersi in secchi di acqua fredda per un po’ di refrigerio (come nella casa circondariale Dozza di Bologna); in altri casi con ridotto approvvigionamento idrico (come nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, Caserta) o senza acqua fredda (come nel carcere di Capanne, Perugia); senza condizionatori o con impianti che non funzionano (come nel carcere di Spini a Trento), senza ventilatori o con ventilatori che non possono essere accesi perché l’impianto elettrico non regge (come a Sollicciano, Firenze). Gli spazi esterni sono per lo più in cemento armato, dove è impossibile trovare un po’ d’ombra, nonostante la circolare del Ministero della Giustizia raccomandi la creazione di zone ombreggiate. In tale situazione si trovano anche le donne che hanno appena partorito, le persone con disagio mentale (fra le più a rischio di fronte al grande caldo) e i bambini ospitati in carcere insieme alle loro mamme (a fine 2016 erano 37 i bimbi in carcere).

Altrettanto grave è la situazione degli operatori penitenziari, che da tempo lamentano condizioni di lavoro non più accettabili: personale in servizio insufficiente (molti sono distaccati fuori dal carcere), ridotta presenza dei volontari nelle ore pomeridiane (a causa della carenza di personale penitenziario); assenza di figure professionali indispensabili per migliorare la qualità del lavoro (educatore penitenziario, psicologo, mediatore culturale, referente del benessere organizzativo); divise logore e non sostituite da tempo (nel carcere Lorusso e Cotugno di Torino gli agenti denunciano la mancanza di nuove uniformi da ben 14 anni); ambienti degradati la cui ristrutturazione è rinviata all’infinito (non ci sono le risorse neanche per la manutenzione ordinaria); rischi reali di logoramento psicologico e di malessere lavorativo, assenza di iniziative concrete da parte dell’amministrazione penitenziaria per contrastare il disagio degli agenti. E intanto, negli ultimi tre anni, si sono suicidati oltre 50 poliziotti.

Il tutto nel quasi totale disinteresse dell’amministrazione sanitaria, centrale e locale, come se le ondate di calore non colpissero anche la salute della popolazione che vive o lavora nel carcere, come se il carcere non facesse parte del territorio su cui operare per prevenire i rischi legati al grande caldo. Eppure la riforma del 2008 sancì il passaggio delle competenze in materia di tutela della salute delle persone detenute dalla Giustizia alla Sanità1. Ma molto resta ancora da fare.

A fronte di una situazione così degradata, non bastano le parole. Il Ministero della Giustizia, unica amministrazione che ha manifestato una qualche attenzione all’emergenza caldo, ha recentemente (e forse tardivamente) emanato alcune circolari raccomandando interventi che i responsabili delle strutture penitenziarie faticano a mettere in atto, se non altro perché non hanno i soldi. Gli interventi di buon senso, quelli possibili nelle condizioni date, sono spesso già stati messi in atto, ma “riformulare i menù giornalieri”, “implementare la disponibilità di frigoriferi”, “assicurare i nebulizzatori”, “realizzare aree ombreggiate”2  (tanto per fare qualche esempio) non sono azioni che possono essere realizzate rapidamente e a risorse invariate.

In vista del prossimo anno, bisognerà iniziare a programmare interventi concreti. In attesa che l’importante lavoro svolto nel 2016 dagli Stati Generali dell’Esecuzione Penale possa tradursi in un qualche risultato pratico, sarà bene iniziare con un semplice programma volto ad adeguare rapidamente gli impianti e le attrezzature (efficientamento energetico, approvvigionamento idrico, condizionamento dell’aria, frigoriferi, ecc.). Sarà inoltre necessario che il Servizio sanitario si attivi con azioni di tutela della salute degli operatori delle carceri e delle persone detenute (a partire dal rischio suicidario). Interventi che naturalmente dovrebbero essere adeguatamente finanziati fin dalla prossima legge di Bilancio.

Una cosa è certa: non si può più continuare a chiedere a chi opera in prima linea nelle carceri di attivarsi per il benessere delle persone, scaricando su di loro responsabilità che devono essere affrontate in primo luogo dalla Giustizia e dalla Sanità.

Nerina Dirindin
Presidente Forum Nazionale Salute in Carcere

 
1 DPCM 1 aprile 2008, “Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di Sanità Penitenziaria.
 
2 Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha emanato il 22 giugno us una nota avente per oggetto “Avvento della stagione estiva. Tutela della salute e della vita delle persone detenute o internate” e successivamente, il 14 luglio, la nota “Emergenza caldo”.

06 agosto 2017
© Riproduzione riservata


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