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Immigrazione e salute. La Puglia è la Regione più attenta. Maglia nera a Calabria e Basilicata


Quasi metà delle Regioni italiane ha un alto livello di attenzione verso il tema della salute degli immigrati. Al top c’è la Puglia, almeno come pianificazione degli interventi, mentre a Calabria e Basilicata va la maglia nera. Il Friuli Venezia-Giulia, in passato all’avanguardia, ha subìto una battuta d’arresto. Poco attenta anche la Lombardia. È quanto emerge da uno studio condotto dalla Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) e dall’area sanitaria Caritas di Roma.

19 MAG - La Puglia conquista la palma di regione più “migrant friendly” d’Italia sul fronte dell’assistenza sanitaria. Meglio persino del Friuli Venezia Giulia, un tempo all’avanguardia, e della Lombardia, che raggiunge appena la sufficienza. Fanalino di coda la Calabria e la Basilicata, ancora indietro nel campo delle politiche sanitarie per gli immigrati. A rivelarlo è uno studio condotto dalla Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) e dall’area sanitaria Caritas di Roma, e realizzato nell’ambito di un progetto coordinato dall’Istituto Superiore della Sanità e promosso dal ministero della Salute. I risultati, ottenuti dall’analisi degli atti formali prodotti dagli enti locali negli ultimi anni, saranno presentati oggi a Palermo in occasione dell’XI Congresso nazionale della Simm, in programma da oggi fino al 21 maggio.

Secondo le stime del dossier Caritas Migrantes, dopo la prima delle sei regolarizzazioni avvenute nel nostro Paese, legata alla legge Martelli, il numero di immigrati in Italia è salito da 354.000 a 1.334.000 già nel 2001, per poi crescere ulteriormente a 1.990.000 nel 2004 fino a schizzare a 4.235.000 nel 2009. Secondo le stime nel 2010 sarebbero quasi cinque milioni gli immigrati residenti nel nostro Paese, se si aggiungono quelli in attesa di registrazione, con un tasso di incidenza pari al 7 per cento della popolazione nazionale. Per quanto riguarda gli irregolari e i clandestini, il loro numero si stima possa essere pari a 300-500 mila presenze (non più del 10 per cento rispetto alle presenze regolari). Per loro la possibilità di accesso alle strutture sanitarie pubbliche, ma esistono marcate differenze regionali: la fruibilità non è assicurata su tutto il territorio nazionale.

L’utilizzo del Ssn da parte dei cittadini stranieri registra in ogni caso numeri di grande portata. Nel 2005, secondo i dati del ministero della Salute, i ricoveri di cittadini stranieri sono stati oltre 450 mila (pari al 3,6% dell’ospedalizzazione complessiva nel nostro Paese), effettuati quasi esclusivamente in reparti per acuti e per il 73% in regime ordinario. Le cause più frequenti di ricovero negli uomini sono i traumatismi (25,9%), seguiti dalle malattie dell’apparato digerente (13,8%), del sistema circolatorio (9,4%) e quelle dell’apparato respiratorio (8,2%). Per questi problemi di salute, in termini di tassi emerge che i valori dei cittadini stranieri sono sempre più bassi rispetto ai residenti, con l’esclusione dei traumatismi (16,6 per mille persone contro 14,8) e delle malattie infettive e parassitarie. Per le donne ben il 56,6% delle dimissioni ha riguardato i parti naturali e le complicanze delle gravidanza, del parto e del puerperio. Seguono le malattie del sistema genitourinario (16,8%), seguite dalle malattie dell’apparato digerente (14,4%) e dai tumori (10,5%). Anche in questo caso i tassi delle cittadine straniere sono più bassi rispetto alle residenti ad esclusione di quelli relativi alle malattie infettive e parassitarie.

Ma l’Italia è pronta a da affrontare questa domanda di salute? Lo studio della Simm e della Caritas romana contenuto negli atti del Congresso offre una mappatura delle politiche di assistenza sanitaria agli immigrati individuabile attraverso l’analisi di oltre 700 atti. Il risultato non è del tutto incoraggiante. Se quasi metà delle Regioni italiane ha un alto livello di attenzione verso il tema della salute degli immigrati, infatti, sono molte le criticità diffuse nel resto delle Regioni.

Nel dettaglio, la Puglia è identificata come l’eccellenza, almeno come pianificazione degli interventi, mentre Calabria e Basilicata mostrano ancora un livello minimo e scarso di impatto delle politiche sanitarie per gli immigrati. Il Friuli Venezia-Giulia, in passato all’avanguardia, ha subito una battuta d’arresto ed anche la Lombardia non mostra particolare attenzione al tema.
In particolare, per gli immigrati irregolari, l'assistenza viene garantita mediamente in tutto il territorio nazionale, in linea con le disposizioni normative nazionali. Ma in Basilicata, Calabria e Lombardia manca una direttiva centrale che uniformi l'assistenza tra le diverse aziende sanitarie e ne garantisca livelli essenziali adeguati, con una particolare criticità per la Lombardia dove per gli immigrati irregolari è previsto solo l’accesso al pronto soccorso.
Ci sono anche situazioni in cui la condizione giuridica dello straniero non incide sulla possibilità di accesso alle prestazioni sanitarie e dove sono gli stessi medici di medicina generale e pediatri di libera scelta a prendersi in carico gli immigrati irregolari. Questo avviene in Puglia, Umbria, Provincia di Trento, mentre il Molise e il Friuli Venezia Giulia fanno riferimento ai soli pediatri di libera scelta per i minori.

Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria ai comunitari sprovvisti di copertura sanitaria, solo l’Abruzzo, la Basilicata, la Calabria e la Valle d’Aosta non hanno emesso alcun atto a riguardo ed il Veneto non ha trasmesso le disposizioni ministeriali del 2008, ma solo quelle precedenti, che non prevedono l’erogazione di cure essenziali ed urgenti ai comunitari che non hanno i requisiti per l’iscrizione al sistema sanitario nazionale, né altre forme di assicurazione sanitaria. Campania, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana hanno invece dimostrato di anticipare la politica nazionale, con atti che hanno preceduto quanto disposto dal Ministero della Salute oppure che includono l’iscrizione volontaria al sistema sanitario regionale come ulteriore opportunità di essere tutelati nell’assistenza sanitaria. La Provincia autonoma di Trento, invece, ha emanato un atto più restrittivo rispetto alle indicazioni ministeriali, prevedendo per esempio che le interruzioni volontarie di gravidanza debbano essere pagate dagli utenti non iscritti al servizio sanitario, ma a marzo 2011 ha sancito la possibilità dell’iscrizione volontaria per i cittadini comunitari. Il Friuli Venezia Giulia, nonostante abbia trasmesso le indicazioni ministeriali per tutelare l’assistenza per i comunitari sprovvisti di copertura sanitaria, si trova di fatto a non aver rilasciato quasi per niente i codici ENI (Europeo Non Iscritto).

Per quanto riguarda la formulazione della normativa per l'accesso ai servizi per la popolazione straniera, soltanto cinque regioni (Lazio, Puglia, Sicilia, Umbria, Veneto) hanno sviluppato delle vere e proprie linee guida. Altre realtà locali (Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Piemonte, Provincia autonoma di Bolzano e quella di Trento) hanno emanato atti singoli, in forma di delibere, circolari o note finalizzate a chiarimenti su aspetti specifici della normativa sull’assistenza agli immigrati, non coprendo però in maniera sistematica tutte le diverse tipologie di utenza (comunitario e non, in regola e non con le norme relativa all’ingresso ed al soggiorno, rifugiato e richiedente asilo).

Altro nodo, l'analisi del bisogno di salute espresso, in modo da orientare l’offerta stessa e l’organizzazione dei servizi in maniera appropriata. Solo la metà delle regioni italiane ha sancito la costituzione di Osservatori per il monitoraggio e la valutazione del fenomeno migratorio nei suoi molteplici aspetti e delle sue ricadute in termini di impatto in ambito sanitario. Rimangono solo pochi contesti locali (Abruzzo, Calabria, Sicilia, Valle d’Aosta e Provincia autonoma di Bolzano) a non aver inserito nei documenti programmatici nessun riferimento alla necessità di analizzare il bisogno di salute degli immigrati, per intercettarlo prima anche laddove non si esprima in domanda di assistenza. Il Friuli Venezia Giulia aveva attivato un Osservatorio sull’immigrazione, ma l’abrogazione nel 2008 della legge regionale e del relativo piano sull’immigrazione ne ha interrotto l'attività.

Dal punto di vista della prevenzione e promozione della salute, si dedica particolare rilievo alla salute materno-infantile, rispetto alla quale vengono date indicazioni di intervento soprattutto nei piani sanitari locali, anche se la metà delle realtà locali non presenta nessun focus specifico nei propri atti normativi o si limita a pochi cenni in riferimento su questo tema. Sotto questo profilo, risultano all'avanguardia solo Emilia-Romagna, Marche, Puglia, Sardegna, Toscana e Provincia autonoma di Trento, che affrontano in maniera approfondita la questione della salute della donna e dei bambini immigrati attraverso sezioni dedicate all’interno dei documenti di programmazione sanitaria o progettualità specifiche.

La formazione degli operatori è generalmente indicata come asse di intervento delle politiche sanitarie locali, che hanno riconosciuto il bisogno di formare il personale sanitario sugli aspetti inerenti la salute degli stranieri, la medicina delle migrazioni e l’approccio transculturale. Solo la Calabria, la Campania e la Provincia autonoma di Bolzano non hanno riferimenti in quest’ambito. “Tuttavia, spesso le indicazioni sono di tipo generico, non esplicitano le modalità con cui tale formazione dovrebbe essere realizzata, né i temi da trattare, né la tipologia degli operatori da coinvolgere, né i metodi didattici”, osserva la Simm citando, come esempio positivo, il programma formativo deliberato dalla Regione Lazio per il 2011 “rivolto agli operatori amministrativi, al personale medico, infermieristico ed ostetrico, con una analisi sotto il profilo socio-demografico, sanitario, relazionale e normativo organizzativo, comprendendo anche la problematica delle mutilazioni genitali femminili”.

Anche alla mediazione di sistema viene riservato un alto livello di attenzione da parte delle politiche sanitarie: solo la Calabria e la Provincia autonoma di Bolzano non hanno inserito alcun riferimento alla mediazione negli atti normativi, mentre oltre la metà delle regioni italiane presentano richiami più o meno approfonditi su questo aspetto negli atti. Anche se, evidenziala Simm, “occorre verificare l’effettiva applicazione delle indicazioni fornite per realizzare una vera prevenzione e promozione della salute degli immigrati”.
 

19 maggio 2011
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