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Sanità. Rapporto Coop: “Italiani in salute. Ma continua a curarsi solo chi se lo può permettere e i tagli sono scaricati sulle famiglie”


Speranza di vita ai vertici della Ue, bassa mortalità infantile. Migliora la qualità dell’alimentazione e qualche timido progresso si registra anche per chi fa sport. Bassi livelli di consumo di alcol e fumo. Ma i “tagli alla sanità pubblica rischiano di escludere dai servizi le fasce meno abbienti della popolazione”. IL RAPPORTO

04 SET - “Continua a curarsi chi se lo può permettere”. E i “tagli alla sanità pubblica si scaricano sulle famiglie e rischiano di escludere dai servizi le fasce meno abbienti della popolazione”. Queste le frasi evidenziate dal Rapporto Coop 2015 'La situazione delle famiglie italiane e i trend di consumo' quando si parla di sanità, cui il documento dedica anche un capitolo ad hoc.
 
Sanità. I tagli rischiano di alimentare le disuguaglianze. L’aumento dell’età media della popolazione comporta anche una crescita della quota di persone che necessitano di accesso a servizi e prodotti sanitari. D’altra parte, il sistema sanitario nazionale è sotto pressione, dati i tetti alla spesa sanitaria e l’esigenza di razionalizzare le risorse disponibili. Se a questo si aggiunge che i bilanci familiari nel corso degli ultimi anni hanno sofferto le conseguenze della crisi, si comprende la difficoltà a conciliare le necessità di assistenza con i vincoli di bilancio. Tanto più che in diversi casi l’assistenza, soprattutto quella a domicilio per le persone non autosufficienti, richiede un forte impegno economico da parte delle famiglie.
 
Oltre all’assistenza, una voce che impegna i bilanci delle famiglie è quella delle spese per gli acquisti di servizi e prodotti sanitari. Si tratta di una quota contenuta della spesa sanitaria complessiva, visto che in Italia questo tipo di beni e servizi sono offerti gratuitamente ai cittadini dal servizio sanitario nazionale, e rientrano quindi nella voce dei consumi pubblici. In ogni caso la quota che resta a carico delle famiglie è comunque di qualche rilievo, giungendo a sfiorare i 30 miliardi di euro.
 
Negli ultimi anni al trend decrescente della spesa pubblica si è affiancato una tendenza analoga anche per la spesa privata. Tale tipo di comportamento naturalmente desta qualche preoccupazione, in quanto evidenzia come le famiglie nella riduzione dei livelli di consumo abbiano dovuto anche ridimensionare gli acquisti di medicinali e di servizi di tipo ambulatoriale, come le visite mediche effettuate privatamente. Il 2014 ha comunque visto una interruzione della fase di contrazione di questo tipo di spesa. Uno dei problemi dell’aumento del peso della spesa sanitaria finanziato dalle famiglie è che questa è una voce che si distribuisce in maniera ineguale, riflettendo la diversa disponibilità di risorse per i cittadini. La discriminazione nell’accesso ai servizi sanitari può divenire un problema nei casi in cui le carenze nell’offerta pubblica si traducono di fatto in un mancato accesso al servizio per una quota della popolazione. Al proposito, è interessante notare come i consumi privati per servizi sanitari siano molto più bassi nelle regioni meridionali rispetto alle regioni del Nord. Considerando che la qualità dei servizi offerti dal pubblico è inferiore nelle regioni meridionali, si coglie come di fatto l’accesso alla sanità lungo il territorio nazionale sia molto differenziato. In prospettiva è probabile che i limiti alla crescita della spesa pubblica e l’aumento della domanda di prestazioni sanitarie porti ad aumentare la quota dei servizi acquistati dalle famiglie. È possibile che l’aumento dell’incidenza di questa voce nella struttura dei consumi induca le famiglie a ridimensionare altre voci di spesa.
 
L’accordo siglato tra Governo e Regioni sancisce la conferma dei risparmi di spesa che la Legge di Stabilità aveva imposto al comparto sanitario, pari complessivamente a 2,3 miliardi per il biennio 2015-2016, e definisce le modalità principali attraverso cui le regioni intendono realizzare questi risparmi. Le misure più importanti previste nell’accordo riprendono le indicazioni del gruppo di lavoro sulla spending review, e agiscono in modo particolare su quattro fronti: la spesa per acquisto di beni, servizi e dispositivi medici, l’appropriatezza delle prestazioni sanitarie erogate ai cittadini, la riorganizzazione della rete ospedaliera e la spesa farmaceutica. L’accordo prevede di ridurre le prestazioni inappropriate nell’ambito della specialistica ambulatoriale, rivedendo al ribasso i tetti di spesa annui imposti alle strutture private accreditate, tali da conseguire un risparmio del costo della spesa ambulatoriale. Questa misura comporterà necessariamente una riduzione dei servizi offerti ai cittadini, che dovranno scegliere se rinunciare alla prestazione oppure ricorrere al settore privato. Per queste ragioni, le critiche ai tagli alla spesa sanitaria hanno sottolineato soprattutto la questione della regressività delle misure.
 
La Salute degli italiani. Ai vertici della Ue per speranza di vita
Con una speranza di vita tra le più alte (79,6 anni per gli uomini, 84,4 per le donne) ed un tasso di mortalità infantile tra i più bassi (0,3%), il nostro Paese si conferma ai vertici delle classifiche Ue. Secondo gli ultimi dati disponibili, solo il 14,7% degli italiani è affetto da patologie croniche di una certa gravità (il 20% tra le persone più anziane con almeno 65 anni). La quota più ampia di decessi è provocata dalle malattie circolatorie e dai tumori, che causano  nel loro complesso circa i due terzi dei decessi, seguite da quelle respiratorie.
Sono circa 1.000 i nuovi casi di cancro ogni giorno, 200.000 (55%) fra gli uomini e circa 166.000 (45%) fra le donne. La ricerca scientifica ed il miglioramento delle tecniche di trattamento stanno contribuendo a innalzare le possibilità di guarigione: oggi il 55% degli uomini ed il 63% delle donne che subiscono questa patologia è ancora in vita a cinque anni di distanza dalla diagnosi. Secondo le stime, quasi il 70% dei tumori potrebbe essere curato qualora tutti adottassero stili di vita corretti, a partire dall’alimentazione e dalla regolare attività fisica, e si sottoponessero a controlli periodici di prevenzione.
 
Più sport e cibi salutari. Ma c’è molto da fare: 1 adulto su 3 non fa attività fisica e ci sono alti tassi di obesità infantile.
La diffusione di stili di vita più sostenibili ed una maggiore attenzione al cibo salutare hanno, per la prima volta da diversi anni, favorito una inversione di tendenza nella sedentarietà degli italiani e l’aumento delle persone che praticano una regolare attività fisica. Resta pur tuttavia molta strada da fare considerato che il 30% degli adulti non pratica alcun tipo di attività fisica, percentuale che cresce all’aumentare dell’età ed è maggiore tra le donne e nelle Regioni del Mezzogiorno. Più di un bambino su cinque con età fino a 10 anni è in sovrappeso, mente uno su dieci è affetto da obesità (in questa particolare graduatoria siamo tra i meno virtuosi d’Europa): una sfida non di poco conto anche per la sostenibilità della sanità pubblica. Alcune evidenze illustrano la portata del fenomeno: per quanto riguarda le abitudini alimentari dei più piccoli che possono favorire un aumento di peso, si calcola che l’8% dei bambini salta la prima colazione, il 31% fa una colazione non adeguata (sbilanciata in termini di carboidrati e proteine), il 52% fa una merenda di metà mattina abbondante, il 25% non consuma quotidianamente frutta e/o verdura, mentre il 41% assume abitualmente bevande zuccherate e/o gassate. Troppo tempo davanti agli schermi, poco al divertimento all’aria aperta: secondo i dati del Ministero della Salute, il 18% dei bambini italiani pratica sport per non più di un’ora a settimana, mentre il 42% dispone nella propria camera di un TV ed il 35% passa davanti alla televisione (e/o gioca con i videogiochi) più di 2 ore al giorno. Solo un bambino su 4, infine, si reca a scuola a piedi o in bicicletta.
 
Ludopatia. Sono 900mila gli italiani affetti da dipendenza. Sono 15 milioni gli italiani che giocano, il 38,3% della popolazione adulta. Tra questi, 900 mila sono affetti da dipendenza dal gioco d’azzardo: si tratta del 6% dei giocatori. Si assesta nel 2014 il volume del gioco legale, in virtù di una raccolta di 84,4 miliardi di euro. In testa alle preferenze degli italiani si confermano gli apparecchi da intrattenimento, guidati dalle slot machine, che consentono al giocatore di scegliere, all’avvio o nel corso della partita, la propria strategia di gioco, selezionando le opzioni ritenute più favorevoli tra quelle proposte (le cosiddette New Slot). È un testa a testa con le più recenti Video Lottery, terminali di gioco che consentono una pluralità di giochi di abilità e fortuna con vincite più elevate. Il volume del gioco transitato attraverso questi apparecchi nel 2014 ha raggiunto i 46 miliardi di euro, in lieve calo rispetto al 2013. Ciò che rende accattivanti questi giochi, e che poi è anche la causa di un numero crescente di ludopatie, è il “ritorno” (payout) più generoso rispetto ai giochi tradizionali, quali lotto e lotterie: le vincite, infatti, non possono essere inferiori al 75% del volume delle giocate, l’85% nel caso delle Video Lottery.
 
Droga. Calano i consumi. Per i giovani la ‘cannabis’ fa meno male dell’alcol. Secondo l’Osservatorio Europeo sulle Droghe e le Tossicodipendenze, un quarto della popolazione europea ha fatto uso di droghe nella vita, con l’incidenza più elevata rappresentata dalla cannabis. Un mercato quello delle sostanze illegali che nelle stime del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali vale in Italia 24 miliardi di euro l’anno. In Italia, secondo i dati contenuti nell’ultima Relazione al Parlamento del Dipartimento delle Politiche Antidroga, il numero dei consumatori occasionali o abituali di sostanze illegali è di circa 2,3 milioni: il 5% della popolazione adulta dichiara di averne consumato almeno una volta nell’ultimo anno. Una incidenza che sale al 24% tra i giovani studenti tra i 15-19 anni. Le tendenze più recenti documentano un calo dei consumi e dei consumatori, trasversale alla popolazione adulta e alle coorti più giovani, con la sola eccezione dei consumi di cannabis tra i più giovani, in crescita tra il 2013 e il 2014. La Direzione nazionale antimafia, a partire dall’impennata dei sequestri, ha recentemente dimensionato il mercato illegale della cannabis tra 1,5 e 3 milioni di chili l’anno, corrispondenti ad un consumo di 25/30 grammi pro capite, cioè l’equivalente di 100/200 dosi l’anno. Un fenomeno endemico e pervasivo che può essere ormai assimilato a quello di altre sostanze legali, quali alcool e tabacco.
 
Una recente indagine realizzata dalla Commissione Europea nell’ambito di Eurobarometro fa il punto sulla diffusione del consumo di droghe tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Il 35% dei giovani italiani ha consumato cannabis almeno una volta nella vita, una incidenza di poco superiore alla media UE dove la quota è del 31%, con punte intorno al 45% in Francia e Repubblica Ceca. Se il consumo abituale di cocaina, eroina e di altre sostanze chimiche è pressoché unanimemente riconosciuto come dannoso per la salute, più controversi sono i giudici al riguardo della cannabis e dell’alcool, in relazione ai quali i rischi per la salute, per una buona metà degli intervistati, non sono da considerarsi così severi. In Italia, in particolare, il 17% dei giovani intervistati ritiene che il consumo abituale di cannabis comporta un rischio al più contenuto per la salute, quota che nell’Unione Europea è sensibilmente inferiore, pari all’11%. In Italia, l’uso di alcool è ritenuto dai giovani più dannoso di quello della cannabis, con relatività invertite rispetto alla media della UE. Orientamenti che si riflettono anche nei giudizi riguardo al regime legale della vendita di queste sostanze: per la maggioranza dei giovani italiani il consumo di cannabis dovrebbe essere “legalizzato”, al pari di quello di alcool e di tabacco. A differenza del caso delle altre droghe, cocaina, eroina e ecstasy, laddove un rigido sistema di divieti e di contrasto alla vendita deve essere mantenuto. Sono giudizi che fanno riflettere giacché sono lo specchio della relativa facilità con cui già oggi la cannabis può essere reperita sul mercato illegale: come dichiara il 70% dei giovani italiani, procacciarsi queste sostanze in 24 ore è cosa abbastanza facile. Entrare in possesso di cocaina, è facile per il 31% dei giovani, persino più semplice dell’ecstasy (24%).
  
Fumo. Italia tra i Paesi Ue più virtuosi. Ma il numero di fumatori è in aumento. Nell’arco di poco più di dieci anni, dall’introduzione dei divieti di fumo nel lontano 2005, l’Italia è divenuto uno dei Paesi europei più virtuosi quanto ad abitudine al fumo. Meglio di noi solo finlandesi e svedesi, Paesi che però hanno una lunga tradizione nell’uso del tabacco da masticare, senza combustione. A ben vedere, tenendo conto anche di queste diverse forme di dipendenza dal tabacco, l’Italia scala tutta la classifica europea e guadagna la palma del Paese a più bassa incidenza di dipendenze dal tabacco, a pari merito con l’Irlanda, primo Paese a introdurre i divieti di fumo nei luoghi pubblici, “bruciando” di un solo anno l’Italia. Proprio mentre si celebra questo primato, nel 2014 torna a salire il numero dei fumatori. Come documenta l’indagine annuale realizzata da Doxa per conto dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2014 l’incidenza dei fumatori sulla popolazione adulta sale al 22%: i fumatori in Italia sono 11,3 milioni, circa 600 mila in più rispetto al 2013. I nuovi fumatori sono soprattutto donne. Sì, perché l’abitudine al fumo torna a crescere solo tra le donne, dove rimbalza dal 15,3% al 18,9%, invertendo una tendenza che aveva visto una costante diminuzione della prevalenza del fumo nel genere femminile sin dal lontano 2009: si tratta di un milione di fumatrici in più, in un solo anno, per un totale di 5,1 milioni di fumatrici.
 
Tra gli uomini, invece, il numero di fumatori è in diminuzione, sebbene l’incidenza del fumo sulla popolazione adulta rimanga superiore a quella delle donne: sono 6,2 milioni i fumatori maschi, il 25,4% della rispettiva popolazione adulta. Si assestano le vendite di sigarette, che totalizzano 74,4 milioni di chili, consegnando all’Erario 13,5 miliardi di euro di tasse tra Iva e imposta di consumo. Crescono le vendite di trinciati per sigarette, materia prima per le sigarette fatte a mano, che rispondono essenzialmente ad una domanda di prodotto più a buon mercato, diffuse soprattutto tra i più giovani e tra i residenti delle regioni dell’Italia centrale. Secondo l’indagine Doxa, a consumare abitualmente o occasionalmente sigarette “fatte a mano” è oramai un fumatore su cinque, in forte crescita rispetto agli anni recenti. In conseguenza delle ristrette economiche cagionate dalla lunga crisi, un fumatore ogni sei ha deciso di fumare sigarette meno costose, ed una quota pressoché equivalente di fumatori è riuscita a fumare di meno. Non mancano i casi di chi, anche a causa del maggiore stress, ha fumato di più, ma sono una minoranza. Sembra tramontata anche l’era della sigaretta elettronica, stroncata soprattutto dall’aumento della tassazione e dei prezzi in conseguenza dell’equiparazione alle sigarette tradizionali (peraltro recentemente dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale). Il consumo abituale o occasionale di sigarette elettroniche riguarda oramai circa 800 mila persone, in forte calo rispetto agli oltre 2milioni di utilizzatori del 2013. Una spigolatura. Il 62% delle case degli italiani è “smoke free”: l’accensione della sigaretta all’interno delle mura domestiche non è consentito neanche agli ospiti. La guerra al fumo non conosce battute d’arresto: un decreto legge allo studio vorrebbe l’introduzione di immagini “shock” sui pacchetti e l’estensione dei divieti di fumo alle autovetture, in presenza di minori.
 
Alcol. Tra quelli che bevono meno nella Ue.Gli Italiani non sono tradizionalmente un popolo di bevitori: solo il 63% dichiara infatti di bere alcolici. La restante parte della popolazione si considera astemia, cioè dichiara di non bere da oltre un anno alcuna bevanda alcolica. Bevono meno di noi in Europa solo i portoghesi, con un 42% di astemi, a fronte di una media europea del 24%. Danesi e svedesi sono i più forti bevitori: oltre il 90% della popolazione ha assunto alcolici nell’ultimo anno. In Italia, il consumo di alcolici è più diffuso tra gli uomini che tra le donne, nelle regioni del Nord-est, nei grandi centri e nelle aree metropolitane. Beviamo poco ma beviamo con frequenza giornaliera: più di un italiano su 5 consuma alcolici ogni giorno. Cresce però la quota dei consumatori occasionali e il consumo fuori dai pasti, a segnalare come l’assunzione di bevande alcoliche, si sposta dalla tavola domestica alle occasioni di socializzazione extradomestiche, soprattutto per i più giovani.
 
Il consumo occasionale cresce all’aumentare del titolo di studio; il consumo giornaliero è invece più elevato in presenza di un titolo di studio di licenza elementare o di media inferiore. Cosa beviamo? La bevanda alcolica più gettonata rimane il vino, consumato da metà degli italiani e nell’85% dei casi la bevanda alcolica dei bevitori abituali. Cresce nei consensi la birra, consumata quotidianamente da oltre 4 italiani su 100. Aperitivi, amari e superalcolici sono invece consumati occasionalmente da 4 italiani su 10. Nell’ultimo anno le vendite presso i punti vendita della distribuzione moderna hanno totalizzato oltre 4 miliardi di euro, in progresso di circa l’1%. In calo quelle di vino comune, in parte compensate dal progresso di quelle di vini certificati, doc e docg. Crescono anche le vendite di birra, sostenute però solo dall’aumento dei prezzi, giacché le quantità vendute, misurate dai volumi, sono in calo. Scendono le vendite di aperitivi, penalizzate dalla ripartenza del fuori casa, mentre non si rinuncia a champagne e spumanti. Si brinda evidentemente di più e questa è comunque una buona notizia.

04 settembre 2015
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