Quei batteri che controllano la mente
di Maria Rita Montebelli
Secondo una review appena pubblicata i nostri gusti alimentari sarebbero influenzati dai batteri intestinali, che ci utilizzerebbero per i loro propositi. Negli ultimi tempi sempre più numerose sono le evidenze di una stretta relazione tra stato di salute o di malattia e composizione del microbioma intestinale.
21 AGO - Un’irrefrenabile voglia di lasagne? Impazziti per la cioccolata? A dettare in modo imperioso i nostri gusti culinari o il senso di fame, potrebbe non essere la gola o la pubblicità, ma la flora batterica che tutti alberghiamo in numero copioso nell’intestino. È la conclusione alla quale giungono gli autori di una revisione della più recente letteratura scientifica sull’argomento, appena pubblicata su
BioEssays.
I batteri intestinali -secondo gli autori dello studio- influenzerebbero le nostre scelte alimentari in base al contenuto di nutrienti che consentono loro di crescere più agevolmente. Alcune specie batteriche preferiscono i cibi grassi, altre i carboidrati e in qualche modo, ancora tutto da scoprire, trasmettono i loro
desiderata al nostro cervello, che prontamente esaudisce i loro ‘comandi’.
Il microbioma intestinale potrebbe influenzare le nostre scelte alimentari, attraverso il rilascio di molecole-segnale nell’intestino che, essendo strettamente collegato ai sistemi immunitario, endocrino e nervoso, non tarda a farle arrivare nella stanza dei bottoni, il cervello appunto.
Secondo alcune ricerche, i batteri intestinali controllerebbero i nostri gusti attraverso il nervo vago, il più lungo dei nervi cranici, che connette qualcosa come 100 milioni di cellule nervose dal tratto digerente al tronco cerebrale.
“I batteri – afferma
Athena Aktipis, Dipartimento di Psicologia dell’Arizona State University - riescono a manipolare il nostro comportamento e l’umore alterano i segnali nervosi che viaggiano lungo il nervo vago, o modificando i recettori del gusto, o producendo tossine che ci fanno sentire male o ancora rilasciando molecole che fungendo da ‘segnali di ‘ricompensa’, ci danno un senso di appagamento”. E’ stato dimostrato che nei topi, alcuni batteri possono ingenerare uno stato d’ansia, mentre nell’uomo, il consumo di probiotici contenenti
Lactobacillus casei, secondo i risultati di un altro studio, può migliorare il tono dell’umore.
“I batteri intestinali – commenta
Carlo Maley, direttore del
Center for Evolution and Cancer dell’Università della California di San Francisco, autore del lavoro - strumentalizzano i nostri gusti alimentari per soddisfare i loro bisogni, alcuni allineati con i nostri obiettivi alimentari, altri decisamente lontani”.
La buona notizia è che l’influenza può essere reciproca; modificando opportunamente la dieta, è possibile alterare la composizione del microbioma intestinale, già dopo appena 24 ore.
“La nostra dieta – spiega
Maley - può avere un impatto importante sull’ecosistema intestinale, che evolve molto rapidamente, anche nell’arco di minuti”.
Per verificare le loro teorie, gli autori della
review stanno già progettando future linee di ricerca. Si potrebbe ad esempio trapiantare in alcuni volontari un microbioma contente batteri in grado di metabolizzare le alghe e osservare se questo spinge i riceventi a consumare cibi contenenti alghe.
Alcune ricerche hanno dimostrato che determinate specie batteriche presenti nel microbioma intestinale potrebbero avere un ruolo causale nell’obesità. Anche in questo caso, future linee di ricerca prevedono la manipolazione del microbioma attraverso modifiche dietetiche, trapianti fecali, ingestione di probiotici selezionati e somministrazione di antibiotici mirati a sopprimere solo la flora batterica obesogena.
“La manipolazione del microbioma – conclude la
Atkins – potrebbe aprire una serie di possibilità inedite nella prevenzione di numerose patologie, dall’obesità, al diabete, ai tumori del tratto gastro-intestinale. Abbiamo appena iniziato a scalfire la superficie dell’importanza che riveste il microbioma per la salute”.
La
review pubblicata su
BioEssays è stata finanziata da
National Institutes of Health,
American Cancer Society, dalla ‘Bonnie D. Addario’
Lung Cancer Foundation e dall’
Institute for Advanced Study di Berlino.
Maria Rita Montebelli
21 agosto 2014
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