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Rapporto Federalismo. Cittadinanzattiva Tdm: “Troppa attenzione ai conti e nessuna garanzia per i Lea”


Tagli lineari a risorse e servizi, aumento del prelievo in termini di tassazione e ticket ai cittadini e politiche sanitarie deboli sembrano le soluzioni che con più facilità sono state messe a punto da Governo e Regioni. Così il Rapporto 2013 dell'Osservatorio civico sul federalismo in sanità presentato oggi a Roma.

19 GIU - Nonostante l’obiettivo principale del nostro Servizio sanitario pubblico sia quello di garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale il diritto alla salute dei cittadini, il Sistema e le Istituzioni appaiano prevalentemente concentrati sul rigore dei conti e non altrettanto alla garanzia e all’effettività dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza sul territorio nazionale. Tagli lineari alle risorse e ai servizi, aumento del prelievo dalle tasche dei cittadini in termini di tassazione e ticket e politiche sanitarie deboli sembrano le soluzioni che con più facilità in questi anni sono state messe a punto da Governo e Regioni. E il tradizionale divario tra realtà del Nord e del Sud persiste in modo marcato, soprattutto nell’erogazione dei servizi.
 
E' questa la fotografia sul sistema salute scattata dal Rapporto 2013 dell’Osservatorio Civico sul federalismo in sanità, realizzato dal Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, con il contributo non condizionato di Bristol Myers Squibb, Pfizer e Sanofi Pateur MSD e presentata questa mattina al mnistero della Salute.
“Ora che si vedono passi in avanti sui conti, grazie soprattutto agli enormi sacrifici e rinunce fatti dalle famiglie e dai cittadini - ha commentato iTonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato - nella maggior parte delle Regioni deve esser data subito priorità alla questione garanzia dei LEA ed equità di accesso, accompagnata dall’alleggerimento del peso dei ticket e delle aliquote Irpef sui redditi familiari e da un intervento per contenere i tempi di attesa. Sono argomenti prioritari per i cittadini che attendono risposte concrete dal Patto per la salute attualmente in discussione”.

Ecco il rapporto in sintesi

L’Italia in Europa. Nel 2011 la spesa sanitaria pro-capite dell’Italia è stata pari a 3.012 euro, a fronte di una spesa sanitaria media OCSE di 3.322 euro e di livelli di spesa di Francia e Germania pari rispettivamente a 4.118 euro e  4.495 euro. L’Italia spende anche meno della Spagna (3.072 euro).
Nel periodo 2000-2009 il tasso medio annuo di crescita della spesa sanitaria pro capite dei Paesi OCSE è stato pari al 4,1% all’anno; tra il 2009-2011 il tasso medio annuo di crescita della spesa sanitaria pro capite è pari solo allo 0,2%.  Questa inversione è particolarmente visibile in Italia dove nel periodo 2009-2011 assistiamo ad una forte contrazione del tasso medio annuo di crescita della spesa sanitaria pro capite: -0,4%.
Al dato sulla spesa, si affianca il dato fornito dall’’OCSE e cioè “Il livello di prestazioni sanitarie erogate in Italia è sensibilmente inferiore alla quasi totalità degli altri paesi dell’area euro considerati”. In particolare “i livelli di prestazioni garantiti dalla spesa sanitaria pubblica in Italia sono inferiori del 73% a quelli tedeschi, del 64% a quelli olandesi, e del 48% a quelli francesi” .
 
La direttiva sulle cure transfrontaliere in Italia. Il decreto di recepimento in Italia è del 21 marzo 2014, 5 mesi dopo il termine ultimo fissato (decreto legislativo n. 38 del 4 marzo 2014). Il National Contact Point è stato attivato presso il  Ministero della Salute, è stato predisposto un video per i cittadini e delle FAQ per spiegare i contenuti del decreto. Solo tre Regioni presentano informazioni esplicite sulla direttiva (Basilicata, Valle d'Aosta e Umbria). La maggior parte invece presenta informazioni su come ricevere cure all'estero facendo riferimento più o meno esplicitamente all'utilizzo della TEAM in caso di cure urgenti o per cure necessarie durante viaggi/studio, in altri casi anche al rilascio del modello ex E 112 (ora S2).

Presenza delle indicazioni della direttiva e cure estero su siti web regionali


Regione

Riferimento per ricevere cure estero

Riferimento esplicito direttiva

Abruzzo

Si

no

Basilicata

Si

Si, banner National contact point

Calabria

No

No

Campania

Si

No

Emilia Romagna

Si

no

Friuli Venezia Giulia

No

No

Lazio

No

no

Liguria

No

no

Lombardia

Si

no

Marche

Si

no

Molise

No
n esplicito, richiamo legato

no

Piemonte

Si

no

PA Trento

Si

no

PA Bolzano

No

No

Puglia

Si

No

Sardegna

Si

Non esplicito*

Sicilia

No

No

Toscana

Si, team

No

Umbria

Si

Si, in home page

Valle d’Aosta

Si

si

Veneto

Non recuperato

Non recuperato





Fonte: Osservatorio civico sul federalismo in sanità – Cittadinanzattiva, Rapporto 2013
* non diretto, tramite re-indirizzamento alla pagina del sito del Ministero della Salute
 
 
 
La ricerca è stata effettuata nella settimana compresa tra il 10 ed il 17 maggio, visitando il sito istituzionale e cercando il canale – portale dedicato alla salute.
 
Spesa e finanziamento nelle Regioni Italiane. La spesa sanitaria regionale è molto eterogenea. Si passa da una spesa sanitaria pubblica pro capite della Provincia Autonoma di Bolzano pari a 2.274 euro nel 2012, ai 1.711 euro della Campania. I livelli di spesa pro capite più bassi coincidono nella maggior parte dei casi con le Regioni in piano di rientro del sud Italia. E’ evidente che il dato dimostra come sia sempre più importante il tema della qualità della spesa. Un trend di spesa analogo a quella pubblico lo ha la spesa privata pro capite. Anche qui notiamo livelli di spesa sanitaria più bassi nelle Regioni del centro e del sud in piano di rientro e livelli più alti nelle Regioni più virtuose. Si passa dai 738,5 euro della Provincia di Bolzano ai 238,1 euro della Campania. I livelli di spesa sanitaria privata pro capite più bassi siano rintracciabili in Regioni con PIL pro capite più basso, la maggior parte in piano di rientro.
Le Regioni in Piano di Rientro – 2013. I piani di rientro sono stati uno strumento piuttosto efficace sul fronte del disavanzo economico, molto meno sul fronte della riqualificazione dei servizi sanitari e quindi della garanzia dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Sul fronte del disavanzo sanitario possiamo notare infatti come questo si sia ridotto molto dal 2006 al 2012, passando dal 4,1% allo 0,9%.
Il disavanzo sanitario è quasi del tutto concentrato nelle Regioni con Piano di rientro, il Lazio in testa (seguito da Molise, Campania, Sardegna) con un disavanzo sanitario pro capite cumulato (2011-2012) di 2.562 euro. Al contrario con un avanzo pari a -171 euro vi è il Friuli Venezia Giulia.
Ticket in sanità, IRAP e IRPEF: quanto e come i cittadini contribuiscono alla sanità.

Nel 2012 le entrate per le differenti modalità di compartecipazione hanno subito un ulteriore aumento. Le entrate di tale tipologia sono state superiori ai 2,9 miliardi, di cui 1,5 miliardi per la specialistica e altre prestazioni e 1,4 miliardi per la farmaceutica. L’aumento rispetto al 2011 è superiore al 9%: +13,4% per la specialistica e altre prestazioni e +5,2% per i farmaci.
Notevoli le difformità territoriali. Facendo riferimento agli importi pro capite 2012 si passa dai 64 euro del Veneto ai 32 euro della Sardegna. Maggiore della media il contributo sui farmaci nelle regioni del centro–sud (fatta eccezione di Marche e Sardegna) con particolare riguardo alle Regioni in piano di rientro; superiore, invece, nelle regioni del centro-nord il dato procapite per le prestazioni specialistiche e di ricovero.
Le aliquote dell’Irap e dell’addizionale regionale all’Irpef sono mediamente più alte nel Mezzogiorno per effetto degli incrementi automatici nelle Regioni con disavanzi sanitari elevati. Si è in presenza di divari che nel primo caso arrivano quasi a 2 punti (+67%) e che per l’addizionale regionale superano 1 punto (+126%).
 
“Chiediamo che il Patto per la salute sia oggetto di confronto anche con le Organizzazioni di cittadini e pazienti affinché tenga conto anche delle seguenti priorità”, ha dichiarato Aceti:
1.         Ridurre il peso dei ticket destinando parte dei risparmi individuati nel Patto per la salute alla copertura dei 10 euro introdotti dal super-Ticket. In altre parole passare da 3 miliardi (gettito derivante dai ticket) a poco più di due miliardi. Non sono accettabili forme che si configureranno come nuove tasse sulla salute, o peggio ancora, sulla malattia. Nessun passo indietro sui diritti acquisiti, come ad esempio esenzioni per malati cronici e/o rari. L’Isee, così come calcolato oggi, è uno strumento iniquo per la modulazione della compartecipazione: il nuovo regolamento di calcolo, infatti considera “fonti di reddito” prestazioni assistenziali come ad esempio invalidità civile e indennità di accompagnamento.
2.         Garantire certezza sulle risorse economiche ed umane necessarie per offrire risposte eque ed appropriate al fabbisogno reale del nostro Servizio Sanitario Nazionale, anche mantenendo nell’SSN i risparmi derivanti da ri-organizzazione, efficientamento, lotta agli sprechi ed alla corruzione, semplificazione, appropriatezza.
3.         Rivedere i meccanismi che regolano i Piani di rientro, affinché da Piani di rientro dal debito, diventino Piani per la garanzia dei LEA: una reale occasione di accompagnamento verso la riqualificazione “vera” dei servizi e dell’offerta sanitaria delle Regioni che vivono situazioni di particolare difficoltà.
4.         Rivedere il sistema di valutazione delle performance delle Regioni, in particolare rispetto alla capacità di garantire l’effettività dei LEA. Praticamente, affiancare agli attuali indicatori economici, quantitativi, indicatori più sostanziali in grado di registrare le effettive dinamiche tra cittadini e Servizi Sanitari Regionali. Per far questo è necessario che siano presenti rappresentanti dei cittadini nel Comitato di Verifica dei LEA.
5.         Contemporaneità della riorganizzazione della rete ospedaliera con quella dell’assistenza territoriale, affiancando agli standard nazionali ospedalieri, quelli per “l’assistenza territoriale”. Non si può accettare che periodicamente si riduca l’offerta ospedaliera, lasciando inalterata o nebulosa l’assistenza territoriale. Per la prevenzione garantire che il 5% del fondo sia effettivamente dedicato a questo scopo, incentivando i programmi vaccinali e di screening, promozione corretti stili di vita.
6.         Prevedere una nuova governance a tutela dei principi fondanti del SSN: equità, universalità e solidarietà. Al Ministero della Salute, e non a quello dell’Economia e Finanze, la responsabilità sulle politiche pubbliche sanitarie. A tal fine sono necessari strumenti più efficaci che consentano al Ministero della Salute, anche attraverso un rafforzamento di enti vigilati come Agenas ed AIFA, l’esercizio del ruolo di garante dei LEA. Al governo centrale deve essere riconosciuta la competenza su fissazione e garanzia dei LEA.
7.         Innovare il governo della sanità, verso forme più avanzate di partecipazione, che prevedano accanto a Governo (Ministeri) e Regioni, un ruolo per cittadini e professionisti sanitari.
8.         Le patologie croniche e rare siano priorità nella programmazione sanitaria nazionale, che ancora è ferma al PSN 2006-2008, attraverso un Piano nazionale sulle cronicità uno sulle malattie rare, nonché messa a punto, adozione e implementazione su tutto il territorio nazionale dei PDTA.
 
La prevenzione vaccinale e gli screening organizzati. La quota percentuale del Fondo Sanitario destinata alla prevenzione in Italia è il 5%; di fatto, stando ai dati più recenti ed aggiornati disponibili, nel 2011 ne è stato impiegato solo il 4,2%. In termini di “investimenti in prevenzione” nelle Regioni è possibile rilevare che ai due estremi (chi spende di più e di meno) ci sono regioni a statuto speciale; sono in maniera evidente al di sopra della media nazionale (4,2%) Valle d’Aosta, Sardegna, Calabria, Umbria, ma anche Sicilia e Abruzzo; sono notevolmente al di sotto Friuli Venezia Giulia, PA di Trento, Lazio, Liguria e Puglia.
Nel 2011 tuttavia alcune di queste Regioni, che investono molto in prevenzione, non sono riuscite a rispettare i LEA correlati. E’ il caso ad esempio di Sicilia e Abruzzo, che nella valutazione rispetto al “mantenimento dell’erogazione dei LEA” sono risultate adempienti “con impegno su alcuni indicatori”, con il richiamo per la Sicilia a “bassa copertura vaccinale per influenza negli anziani e scarsa adesione ai programmi organizzati di screening”;  per l’Abruzzo “criticità: vaccinazioni per MPR ed antinfluenzale per anziani, screening e prevenzione veterinaria”. La Calabria mostra carenze sulla  vaccinazione Morbillo-Parotite-Rosolia, quella anti-influenzale nell’anziano e nell’adesione agli screening di primo livello in programma organizzato; Sardegna e Lombardia presentano un basso tasso di adesione alla vaccinazione anti influenzale nell’anziano e agli screening.
Il Piani nazionale Prevenzione è stato recepito dalla maggior parte delle Regioni nel 2012; fanno eccezione Puglia, Marche e Sardegna che hanno recepito il Piano con tempi più lunghi, nel 2013.

Vaccinazioni obbligatorie e facoltative infanzia. 8 regioni (Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Umbria, Marche, Lazio e Puglia ) hanno visto un calo di adesione vaccinale in caso di vaccinazioni obbligatorie, nonostante siano adempiente rispetto alla percentuale di copertura considerata accettabile (>95%). In Campania, nonostante sia una regione che ancora non rispetta i LEA, si rileva un miglioramento nell’ultimo anno (non nella vaccinazione antipolio).
Nel caso delle vaccinazioni Morbillo-parotite-rosolia, tra il 2010 si apprezzano miglioramenti nella copertura vaccinale MPR per PA di Trento, Veneto, Abruzzo, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna (unica regione che raggiunge il 95% - soglia per essere considerata adempienti rispetto al LEA nel 2011).
 
Vaccinazione HPV
L’offerta attiva e gratuita della vaccinazione anti-HPV nelle Regioni presenta diversità nel mantenimento della gratuità per le ragazze che non si siano presentate per l’inoculazione nell’anno di età fissato dalla Regione. Il diritto rimane tale fino a 15 anni in Lombardia, in alcune regioni (es. Piemonte, Liguria) è illimitato nel tempo; in altre viene mantenuto fino a 25 anni di età.
Da notare che la Regione Emilia-Romagna ha esteso l’offerta vaccinale anche alle persone HIV positive, senza operare distinguo relativamente al sesso (si riferisce sia a maschi, sia a femmine).
Vaccinazioni età adulta
Nessuna Regione nel 2011 ha raggiunto il 75% degli anziani con la vaccinazione anti-influenzale. E’ importante notare che dal 2010 al 2011 l’obietto assegnato alle Regioni è passato dal 70% al 75%.
Le Regioni che hanno visto un incremento dal 2010 al 2011 sono solo 6 (Valle d’Aosta, Lombardia, PA Trento, Emilia Romagna, Campania e Calabria); le restanti 15 presentano una riduzione in termini di copertura con vaccinazione della popolazione ultrasessantaquattrenne (la Regione che ha avuto la flessione più significativa è il Molise che passa dal 65,6% al 60,45%).
Screening oncologici organizzati
Le Regioni che presentavano situazioni critiche non sono riuscite a migliorare le loro perfomance; rappresenta una eccezione in questo senso il Molise, che tra il 2010 e il 2011 ha visto un miglioramento del “punteggio”, passando da 5 a 7. Tra le Regioni che non rispettano questo LEA restano stabili in negativo Liguria, Abruzzo, Calabria e Sicilia; vedono qualche miglioramento, anche se debole, Lazio e Campania; unica a vedere un peggioramento è la Puglia.  Vedono un miglioramento Provincia autonoma di Trento e Veneto (da 9 a 15), Emilia Romagna (da 13 a 15), Toscana e Umbria (da 11 a 13), Friuli Venezia Giulia (da 9 a 15), Marche (da 7 a 9).
Aumenta il numero di lettere di invito alla popolazione e aumentano anche il numero di esami effettuati: è stata superata la soglia dei cinque milioni di esami (5.017.184). 
Rispetto allo screening cervicale nel 2012 aumenta la copertura effettiva rispetto al 2011 del 10,5%: si passa da 368.000 inviti a poco meno di quattro milioni di donne raggiunte. L'aumento riguarda prevalentemente il sud che invita 7 donne su 10. Al nord e al centro le donne regolarmente invitate sono più di 9 su 10;  al sud si assiste ad un drastico calo circa 3 donne su 10. In Piemonte ed in Emilia Romagna lo screening è stato allargato anche alla popolazione femminile di età superiore a 70 anni e compresa tra 45 e 49 anni.

Tempi di attesa, intramoenia e costi. Le segnalazioni dei cittadini al Tribunale per i diritti del malato sulle liste d’attesa
I cittadini di Abruzzo, Marche, Veneto e Umbria segnalano il problema delle liste d’attesa come quello più rilevante. I cittadini della Basilicata, Calabria, Lazio e Liguria, Lombardia, Molise e Valle D’Aosta hanno invece segnalato il problema delle liste d’attesa al secondo posto. Migliore è la posizione del Piemonte, i cui cittadini hanno segnalato il problema delle liste d’attesa solamente al quinto posto rispetto agli altri ambiti.
Andando a vedere cosa accade nel Monitoraggio LEA, quasi tutte le Regioni risultano adempienti rispetto a tre indicatori: liste d’attesa, sistema CUP, implementazione PDT. Permangono situazioni critiche su alcune regioni: Calabria, Campania e Lazio risultano inadempienti sia nell’indicatore relativo alle liste d’attesa sia per l’indicatore implementazione PDT; Molise Piemonte Toscana e Umbria sono state considerate adempienti ma con impegno per quanto riguarda l’indicatore liste d’attesa, solo la Toscana anche per l’indicatore implementazione PDT. Nessuna regione risulta inadempiente nell’indicatore Sistema CUP.

Monitoraggio trasparenza tempi attesa
Dal monitoraggio dei tempi di attesa delle aziende sanitarie e ospedaliere di Sicilia, Veneto, Lazio, Abruzzo, Basilicata, Marche, Molise, Calabria e Campania è emerso che Lazio, Marche e Campania mostrano un rapporto tra numero di “aziende sanitarie analizzate/presenza sezione liste d’attesa sul sito” sfavorevole. La maggior parte dei siti presenta il banner in homepage che agevola l’individuazione della sezione dedicata alle liste d’attesa. Per quanto riguarda l’indicatore della comprensibilità delle informazioni, possiamo affermare che i siti che abbiamo visitato appaiono quasi tutti adeguatamente accessibili. Anche per quanto riguarda la semplicità di consultazione il giudizio è lo stesso. La ricerca ha messo in luce alcune situazioni paradossali come ad esempio quella del Veneto. In quasi tutti i siti delle strutture sanitarie sono state previste pagine, anche facilmente raggiungibili, ma contenenti informazioni fortemente specifiche, sicuramente perfette dal punto di vista dei requisiti di legge, ma non fruibili da parte del cittadino.
Libera professione intramuraria
A fronte dei lunghi tempi di attesa esiste la possibilità di ottenere le prestazioni in intramoenia. La relazione 2011, mostra che in media, riguardo a 10 prestazioni (visita cardiologica, oculistica, ortopedica, otorinolaringoiatrica, Rm della colonna e del cervello, Tac di capo, addome superiore, inferiore e completo), riescono ad essere erogate per il 98% entro i 60 giorni e per il 93,3% entro un mese; addirittura, la stragrande maggioranza di esse, il 79,4%, viene effettuata entro 15 giorni. Prestazioni immediate si verificano nel 6,1% dei casi.
La diffusione dell’intramoenia allargata è presente in tutte le Regioni/Province Autonome, ad eccezione della Toscana e della P.A. di Bolzano; in questi due contesti i professionisti esercitano la libera professione all’interno degli spazi aziendali o comunque in spazi esterni con diretta ed integrale responsabilità dell’Azienda. Unicamente in 3 aree (Veneto, Umbria e PA Trento) tutte le Aziende prevedono che le prestazioni erogate in intramoenia allargata vengono prenotate attraverso il servizio dedicato; mentre solo nella Provincia Autonoma di Trento tutte le Aziende riscuotono direttamente gli onorari delle prestazioni erogate in intramoenia allargata.
Tutte le regioni e PA, ad eccezione di Umbria e Molise, effettuano controllo e monitoraggio dell’attività libero professionale per garantire che non vada a detrimento dell’attività istituzionale.

Procreazione medicalmente assistita. Solo alcune Regioni hanno inserito esplicitamente la PMA nel proprio sistema con delibere ad hoc: Toscana (dal 2000), Piemonte, Veneto, Friuli V. G., P. Trento, P. Bolzano, Valle  d’Aosta. In Puglia e Sicilia si è preferito stabilire un sostegno alle coppie di carattere economico ma le prestazioni non sono inserite nel servizio sanitario regionale. In Lombardia e Emilia Romagna vengono erogate le prestazioni senza deliberazione esplicita, includendo in gruppi di altre prestazioni.

Costi per le coppie
Lombardia: ticket ambulatoriale; Toscana:  ticket di 500 euro;  Emilia Romagna: ticket ambulatoriale per fascia di reddito; Lazio:  dai 2.000 euro nell’Ospedale Pertini di Roma, al ticket ambulatoriale in altre strutture; Veneto e Piemonte: dai 700 ai 1500; Puglia, Sicilia: compartecipazione alla spese con costi dai 1000 ai 1700;  Calabria: a totale carico della coppia.
In Campania, si è generato un nuovo DRG il 461 “Intervento chirurgico con diagnosi di altri contatti di servizio sanitaria”) per un costo di euro 2.797,13. In Lombardia si utilizza un doppio DRG il 359 “interventi sull’utero e annessi non di carattere oncologico” più il DRG 365 “Altri interventi sull’apparato femminile” con un costo di euro 3.075,00. Nel Veneto e nel Lazio, si adotta il DRG 359 “interventi sull’utero e annessi non di carattere oncologico” (il costo è del tutto variabile e si aggira sui 2.500 euro). In Toscana, si è generato il sistema inserendo la dizione “Fecondazione in vitro” attraverso il nomenclatore ambulatoriale con uno dei costi più bassi in assoluto (euro 1.870).
La compensazione per le persone che si spostano per avere prestazioni di PMA avviene attraverso il TUC 2011: non essendo inserite le prestazioni legate alla PMA nei LEA nazionale, si utilizzano i codici DRG 359 o 359 e 365 o entrambi (a rischio di non appropriatezza). La regione di residenza dunque sostiene i costi per le coppie che migrano in strutture pubbliche o private convenzionate di altre Regioni; quelle che non hanno previsto sostegni alle coppie pagano di più in sede di compensazione.

“Classificazione delle regioni”
Virtuose (inseriscono la PMA nel proprio Servizio Sanitario): Toscana, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, PA Trento, PA Bolzano, Valle d’Aosta, Umbria. Costi variabili da 500 a 1000 euro.
Parzialmente virtuose: Emilia Romagna e Lombardia
Regioni in ritardo: Liguria, Marche, Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Sardegna, Molise*.
Regioni in situazione paradossale: Lazio e Sicilia
 
Riordino dell’Assistenza territoriale AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali). Le Regioni hanno avviato le attività in tempi diversi rispetto alle AFT. Differenze sono state rilevate nella terminologia utilizzata, ma gli obiettivi risultano omogenei: distribuzione capillare sul territorio; presa in carico di soggetti con cronicità o fragilità; garanzia delle prestazioni anche in situazioni di forte disagio finanziario. Rispetto alla diffusione al livello regionale: 7 regioni le hanno avviate o si muovono verso sperimentazioni di associazionismo complesso; 2 regioni avevano già aggregazioni assimilabili (Nuclei di Cure Primarie); 5 regioni non hanno indicato nei documenti una chiara valutazione; 7 regioni non le hanno menzionate o pianificate.
La Lombardia si è dotata di CreG (Chronic related Group), che prevedono una tariffa applicata alla cura territoriale di una malattia cronica, con la definizione di un nuovo modello di presa in carico del paziente, la continuità del percorso assistenziale e la valutazione periodica.
La Puglia sta organizzando la rete di assistenza territoriale tramite l’istituzione di Centri Polifunzionali Territoriali, ad oggi in numero di 2.
L’Emilia Romagna ha istituito 216 Nuclei di Cure Primarie a partire dal 2008 e ha assimilato i nuclei delle AFT previste dall’ACN del 2009. La Provincia Autonoma di Trento ha previsto l’istituzione di 25 AFT entro il 2017.  Il Veneto ha previsto il passaggio da UTAP a AFT, ipotizzandone la costituzione di 20 entro la fine del 2014. Il Piemonte identifica il Centro di Assistenza Primaria (CAP) come forma organizzativa del nuovo sistema di cure primarie, intorno al quale devono ruotare le AFT.
 
Unità di cure complesse (UCCP) e Case della salute
10 regioni le hanno già realizzate o hanno progetti in corso; 3 regioni non hanno indicato nei documenti una chiara valutazione; 8 regioni non le hanno menzionate o pianificate. E’ importante sottolineare che i servizi sanitari e socio – sanitari presentano diversità di carattere organizzativo-gestionale, nonostante medesimi obiettivi: strutture polifunzionali e multi professionali, con assistenza h24 e integrazione delle attività svolte a livello distrettuale. 

Assistenza domiciliare integrata
Stando ai dati ISTAT, la percentuale di anziani trattati in ADI risulta in crescita anche nel 2012, anno in cui ha raggiunto l’84%. Per quanto concerne la situazione regionale, a fronte di una media nazionale del 4% (in leggero calo rispetto al 4,12% del 2011), rimangono indietro la Campania (2,8%, anche se si riscontra un lieve aumento rispetto ai 2,42 punti percentuali dell’anno precedente), le Marche (3% nel 2012 contro 3,43% nel 2011), il Piemonte (2,0%), la Puglia (2,3%) e la Toscana (2,0%).
 
I percorsi di cura e presa in carico per le persone affette da patologia cronica. La maggior parte delle Regioni risulta adempiente nell’implementazione dei PDT; solamente la Calabria, la Campania ed il Lazio non hanno fornito (o hanno fornito solo in parte) le informazioni richieste dal Questionario LEA 2011 o non hanno concluso il lavoro di implementazione delle Linee guida cliniche attraverso i PDT.
La Regione Toscana effettua il monitoraggio sia in ambito ospedaliero che territoriale e le attività riguardano, a seconda della patologia, varie strutture sanitarie della Regione stessa. I dati pervenuti non sono però soddisfacenti: pertanto la Regione viene considerata adempiente con impegno a trasmettere chiarimenti circa la qualità dei dati del monitoraggio dei PDT complessi.
Una nota di riguardo per la Sicilia: è l’unica Regione che in ogni distretto delle ASP risulta aver costituito il registro dei pazienti cronici.

I percorsi assistenziali per le patologie croniche infiammatorie intestinali
Per le patologie croniche infiammatorie intestinali,  molte Regioni (13 su 21) presentano ampi spazi di vuoto normativo, non avendo previsto e non prevedendo al momento alcuno strumento, percorso, piano clinico che possa migliorare la qualità della presa in carico e dell’assistenza per i pazienti affetti da questo tipo di patologie.
In particolare hanno emanato linee guida: Campania, Emilia Romagna, Lazio, Piemonte, Veneto. Il Lazio all’interno del Decreto 73/2009 “Razionalizzazione uso farmaci biologici”.
Due Regioni in particolare, il Piemonte e la Sicilia, hanno adottato e realizzato strumenti efficaci per le MICI.

Le malattie reumatiche
L’Italia è tra i Paesi in cui risulta maggiormente elevata la condizione di disabilità delle persone affette da Artrite Reumatoide: il 24,1 % dei pazienti vive in una condizione di disabilità severa contro il 8,7% dell’Irlanda, il 9,5% degli Stati Uniti, il 10% dell’Olanda e il 3.9% della Francia.
Solo al termine del 2008 alcune Regioni hanno messo a punto interventi operativi mirati per l’implementazione di percorsi diagnostico-terapeutici che coinvolgano la medicina primaria e quella specialistica per le patologie reumatiche (con particolare riferimento all’Artrite reumatoide, malattia più frequente e più studiata di questo gruppo). In particolare nella programmazione regionale è stata conferita rilevanza a queste patologie da Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto.
Ancora meno sono le regioni che hanno messo in campo la definizione di percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA). Tra di esse sono da menzionare Puglia e Lombardia. Anche il Piemonte nel 2013 ha adottato un “Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale in Reumatologia - l’Artrite reumatoide diagnosi precoce” ma non si tratta di un documento implementato.

Patologie Cardio-cerebrovascolari
Lo sviluppo delle reti assistenziali nei territori regionali presenta differenze nei modelli organizzativi e nella capacità di rispondere ai bisogni effettivi delle persone; talvolta le differenze sono tali non solo tra Regioni, ma anche tra territori di una stessa Regione.
Alcune Regioni hanno iniziato molti anni addietro ad attivare ed organizzare le reti cardiovascolari e cerebrovascolari (per es. l’Emilia Romagna, il Veneto, la Toscana); altre, come ad esempio la Puglia, il Lazio, la Sicilia, si sono messe in marcia più lentamente.
Nelle regioni del nord le reti per la cura delle patologie cardiovascolari e cerebrovascolari risultano avviate. Al centro, Toscana ed Emilia Romagna presentano reti avviate; nella Regione Lazio la rete per l’emergenza cardiologica e la rete ictus risultano ancora parzialmente avviate; in Abruzzo – in particolare a causa delle restrizioni causate dai piani di rientro - dall’indagine FIASO risulta formalmente approvata, ma non avviata. Nelle Regioni del sud si può osservare una situazione opposta a quella presentata per le Regioni del nord: in questa area del Paese soltanto la Regione Basilicata sta implementando la rete per l’infarto, quella per l’ictus, e sta avviando la rete per lo scompenso cardiaco. In Puglia la rete dell’infarto si sta avviando, in Calabria, Sicilia e Campania, lo studio FIASO riporta “reti annunciate”, ma non avviate.
 
Il caso dell’Epatite C: l’accesso all’innovazione. Sono occorsi due anni per completare l’inserimento dei farmaci per la cura dell’Epatite C in Triplice terapia in tutti i prontuari regionali: l’Agenzia europea del farmaco ha dato il via libera alla commercializzazione in Europa al luglio 2011 e solo a maggio 2013 l’Emilia Romagna, ultima regione in Italia, li ha inseriti nel proprio prontuario.
Le variabilità regionali si sono registrate anche nei criteri con cui le Regioni hanno individuato i Centri prescrittori: ne sono evidenza i tempi e i criteri attraverso i quali i centri abilitati sono stati selezionati e abilitati. Rispetto ai tempi per la definizione delle realtà sanitarie abilitate a prescrivere e gestire la triplice terapia il Veneto ha provveduto nel mese di dicembre 2012; l’Umbria, Lombardia, Liguria e Toscana hanno deliberato nel gennaio 2013; Sicilia e Marche nel mese di aprile; l’Emilia Romagna a maggio dello stesso anno.
Il numero di Centri abilitati alla prescrizione in triplice terapia sono 353, inferiore di oltre un terzo rispetto al totale dei Centri per la cura dell’epatite esistenti sul territorio nazionale. Le differenze sono consistenti: ad esempio, in due Regioni con popolazione sostanzialmente analoga, come Lazio e Campania, si ha un Centro ogni 407.000 abitanti nel primo caso rispetto ad uno ogni 116.000 abitanti nel secondo. Marcata resta la disomogeneità dei centri/reparti per abitanti e Kmq: si va da un rapporto di 65.000 abitanti per Centro (in Valle d’Aosta) ad un massimo di 509.000 abitanti per Centro (nella provincia autonoma di Bolzano).Solo 9 regioni hanno previsto appositi PDTA (Emilia romagna, Lazio, Marche, Sicilia, Veneto, Umbria, Basilicata, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia) ed hanno definito criteri differenziati tra le Regioni per l’eleggibilità alla triplice terapia. (vedi fig. 7, pag. 372).
 
Acquisizione di beni e servizi: il caso dei farmaci biologici e biosimilari. 13 su 21 Regioni/Province Autonome sono dotate di Centrali di acquisto. Non sempre la catalogazione presentata risponde alla reale situazione sul territorio dal momento che all’infuori di alcune Centrali collaudate e pienamente funzionanti, quali gli ESTAV, l’Intercent-ER, la stessa SO.RE.SA e la SUA, le restanti hanno un’attività tendenzialmente focalizzata all’aggregazione di prodotti merceologici molto limitati, in particolare farmaci e vaccini. La ragione va ricercata sia nella continua ristrutturazione delle strutture di acquisto, vedi le Regioni Piemonte, Liguria, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Puglia e Basilicata sia in difficoltà organizzative, per cui continuano a convivere Unioni di acquisto con ASL Capofila o si ritorna alle singole Aziende come il caso della Regione Umbria.
Le quattro Centrali (Estav, Intercent- ER, SO.RE.SA e SUA) sono anche quelle che concretamente sviluppano un livello di aggregazione della domanda a livello regionale, mentre le restanti, pur avendo istituito Centrali di acquisto stentano a decollare e di conseguenza mantengono in genere tre livelli aggregativi: regionale, limitata quasi sempre alla gara farmaci, area vasta o provinciale e aziendale.
Con riferimento alle aree di intervento, le forme di centralizzazione in genere coinvolgono solo la funzione di approvvigionamento, soltanto in qualche Regione, come ad esempio la Toscana, è possibile osservare un ampliamento della sfera di intervento anche alla gestione di servizi tecnico-amministrativi di supporto all’attività sanitaria, come la gestione del personale e la logistica.
Da un’analisi condotta su 140 bandi, oltre ai programmi annuali di acquisto delle diverse Regioni, in particolare i piani operativi delle Regioni sottoposte a Piani di rientro  è, inoltre, emerso che l’aggregazione dei farmaci rispetto ad altri beni e servizi ha una incidenza percentuale molto elevata.

Gli orientamenti regionali sui farmaci biologici e biosimilari
E’ stato difficile reperire informazioni; scarsa l’attenzione verso la comunicazione rivolta al cittadino che non sia addetto ai lavori e la poca trasparenza delle amministrazioni.
Esistono inoltre difformità di interventi e interpretazioni da regione a regione.
Ci sono Regioni che hanno emanato le proprie linee guida, e tre - Veneto, Emilia Romagna e Toscana - che hanno pubblicato anche documenti tecnici di valutazione scientifica dei diversi biosimilari, al limite opposto c’è, ad esempio, l’Abruzzo per il quale non è stato possibile trovare nessun riferimento nelle normative regionali circa la modalità di prescrizione dei biosimilari.
 
 
La trasparenza e le norme anti-corruzione. Nell’ultimo rapporto PiT Salute del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva l’accesso all’informazione e alla documentazione rappresenta la quinta area critica su cui si concentrano le segnalazioni dei cittadini (12%). Questo dato può essere letto come l’effetto nella vita quotidiana della mancanza di politiche pubbliche concrete sulla trasparenza: per una “persona comune” trasparenza vuol dire, ad esempio, identificare con chiarezza e in maniera univoca l’iter da seguire per accedere ad un servizio o ad una prestazione; o poter visionare la propria cartella clinica durante un ricovero, etc. È la mancanza di trasparenza che crea il terreno ideale per costruire barriere alte nella fiducia fra i cittadini e le amministrazioni.
 
Stando al lavoro svolto da Agenas, Libera e Gruppo Abele nelle 240 aziende sanitarie italiane si è osservata l'attuazione da parte delle aziende sanitarie delle nuove leggi sulla trasparenza e l’anticorruzione. In pratica, le Asl sono state classificate in base a un punteggio che misura il livello di applicazione della legge 190/2012 sulla lotta alla corruzione e del decreto legislativo 33/2013 sulla trasparenza nella Pa.
Analizzando i dati a livello regionale si scopre che a fronte di regioni largamente adempienti - con punteggi superiori al 90%: Piemonte (97%); Friuli (96%); Toscana (95%); Abruzzo (94%); Veneto (93%); Emilia Romagna (93%); Lombardia (92%) - ci sono regioni che in materia di trasparenza lasciano a desiderare. E' il caso della Campania (45%), della Calabria (51%) e delle Marche (60%).
 
In merito alle informazioni disponibili on-line sui siti delle aziende sanitarie vi erano: 211 piani di prevenzione della corruzione e 174 programmi per la trasparenza e l'integrità, rispettivamente l'87,2% e il 71,9% del totale. Nel 93,9% dei piani è citata la presenza di un gruppo multidisciplinare a supporto del responsabile anticorruzione. E ancora. Nel 93,9% si rileva la presenza di cronoprogrammi delle diverse attività da affrontare nel breve e medio periodo. Il 91,8% dei piani prevede inoltre percorsi formativi per i dipendenti coinvolti nei vari processi, al fine di dotarli degli strumenti necessari per una giusta attenzione al fenomeno corruttivo.

19 giugno 2014
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