Determinanti sociali. Sono la nuova sfida per la sanità del futuro
Nel corso di un convegno tenutosi presso l'Iss, è stato analizzato lo stretto legame che intercorre tra le disuguaglianze nella salute e le condizioni sociali di riferimento. "E' da qui che bisogna ripartire per costruire una nuova visione organica e intersettoriale".
13 GIU - “Solo cogliendo gli aspetti causali rappresentati dai determinanti sociali si possono mettere in campo strategie efficaci di promozione, tutela e sviluppo della salute di tutti gli individui”. E’ questo l’approccio che ha animato il convegno “I determinanti sociali della salute: aspetti medici, economici e organizzativi”, tenutosi a Roma presso l’Istituto superiore di sanità.
Fattori come la casa, il lavoro, il reddito, l’istruzione e il contesto culturale di riferimento costituiscono le coordinate principali di cui tener conto nell’elaborazione delle politiche sanitarie. “Il contributo della sanita per la salute – ha osservato
Ruggero Di Biagi, consigliere Omceo Roma – è residuale rispetto al peso esercitato dai determinanti sociali”. E’ proprio da questa considerazione che bisogna quindi ripartire per elaborare piani d’intervento in grado di incidere in maniera significativa. “I dati strutturali e le condizioni di vita quotidiana costituiscono assi imprescindibili. Basti pensare al caso di Glasgow. Uno studio effettuato nella capitale scozzese, ha evidenziato che in periferia l’aspettativa di vita si ferma a 54 anni, mentre al centro arriva fino a 82 anni”. Una dinamica simile si può registrare nell’ambito della mortalità infantile, “strettamente legata al tasso di ricchezza della famiglia di provenienza”.
Un approccio che è stato al centro della ‘Prima conferenza mondiale sui determinanti sociali di salute’, che si è svolta dal 19 al 21 novembre 2011 a Rio de Janeiro. In quell’occasione, il discorso di apertura pronunciato da Margaret Chan, direttore generale dell’Oms, suscitò non poche sorprese in quanto sottolineò con veemenza l’importanza delle politiche di equità sociale come fattore centrale nella promozione della salute.
Il documento elaborato durante la conferenza in Brasile costituisce il pilastro su cui fondare una nuova visione delle politiche sanitarie e delineare uno sguardo più organico per gli operatori. In particolare, concetto ribadito anche durante il convegno all’Iss, le disuguaglianze nella salute hanno origine dalle condizioni sociali in cui gli individui nascono, crescono, vivono, lavorano e invecchiano. E’ per questo che è sempre più urgente dotarsi di una visione ampia e multisettoriale, che porti la sanità a interagire e a contaminarsi con altre discipline.
Più in generale i determinanti sociali dovrebbero venir modulati sulla base del contesto nazionale, così da tener conto dei diversi sistemi sociali, economici e culturali. Ci sono però alcune aree di intervento chiave che presentano caratteristiche di universalità: adottare una migliore governance per la salute e lo sviluppo; promuovere la partecipazione all’elaborazione e all’attuazione delle politiche; reindirizzare ulteriormente il settore sanitario verso la riduzione delle disuguaglianze nella salute; rafforzare la governance e la collaborazione globale; monitorare i progressi e aumentare la responsabilizzazione.
Si tratta di una mission complicata e ambiziosa, ancor più se si considera l’attuale quadro economico che impone tagli e sacrifici. Un contesto che però non “può giustificare tagli indiscriminati perché la sanità richiede investimenti ed è proprio da questo assioma che bisogna ripartire”, ha sottolineato
Roberto Lala, presidente dell’Ordine di Roma, salutando l’avvio dei lavori. E per invertire la rotta, soprattutto sotto un profilo culturale, è “necessario sfatare il luogo comune secondo cui il Ssn sia troppo costoso – ha precisato
Enrico Di Rosa, dirigente dell’Asl Rm E – I dati dimostrano come né la dinamica né il livello della spesa sanitaria debbano rappresentare motivi d’allarme per la finanza pubblica”.
Serve quindi un approccio nuovo e soprattutto “è essenziale riuscire ad affrontare i problemi tramite categorie più complesse – ha suggerito
Ivan Cavicchi, docente di sociologia delle organizzazioni sanitarie presso l’Università di Tor Vergata – Per esempio, in tema di prevenzione non è più sufficiente un approccio lineare e deterministico, ma bisogna ricontestualizzare anche alle luce delle influenze culturali e ambientali”. Altra sfida riguarda la capacità di andare oltre “la vecchia visione di interesse collettivo, inteso soltanto a livello di ordine pubblico e come contenimento epidemiologico”. Oggi si deve “parlare di dovere alla salute e non più soltanto di diritto”. Trasformazioni rapide e radicali si susseguono: in un contesto così dinamico e interattivo, comprendere l’importanza dei determinanti sociali è una sfida ineludibile.
13 giugno 2013
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