Il PD e la sanità. Quando un partito dimentica le ‘sue’ origini
di Roberto Polillo
Il Partito Democratico rinuncia a una parte importante della sua elaborazione teorica e concretamente realizzata nelle regioni storicamente di sinistra. Una scelta che appare incomprensibile e suicida per una forza politica che almeno a parole si dichiara alternativa alle destre.
10 MAG - Cesare Fassari ha ricostruito con molto rigore
il percorso in “discesa” del Partito democratico sui temi della salute, sui suoi principi di universalità e sulla sua natura di “bene pubblico” per eccellenza che i politici del centro sinistra non sembrano voler più preservare.
Un percorso che a me pare una vera deriva, un cambio di prospettiva che avviene paradossalmente in un momento di crisi profonda per il paese e i cui momenti scatenanti sono da tutti riconosciuti nella finanziarizzazione senza controllo della economia e nella debolezza dei nostri assets produttivi.
I grandi colpevoli di questa apocalisse senza escathon sono in ogni caso le politiche di stampo neo-liberiste e mercatiste i cui danni in sanità (e nei servizi di pubblica utilità) sono particolarmente evidenti proprio nelle regioni in cui l’offerta di erogatori privati è più forte (Lazio, Campania, Sicilia e Calabria).
E così il già debole programma elettorale per la sanità del PD (talmente vago da indurre al sospetto che la genericità fosse un effetto “schiuma” per occultare l’indicibile) diventa obsoleto, carta straccia nelle parole del Presidente del Consiglio Enrico Letta (in piena sintonia con il Ministro Lorenzin) che evidentemente a quel programma e agli uomini che lo hanno elaborato, come ricorda con precisione il Direttore di Quotidiano Sanità Fassari, non ritiene di dovere mostrare coerenza.
Questo abbandono inspiegabile di una linea politica che invece ha dato nel nostro paese frutti insperati come testimoniano la Toscana, l’Emilia e l’Umbria dove i servizi sanitari regionali possono competere (loro si e non il sistema Italia nel suo complesso, come sostiene invece il Ministro Lorenzin) a livello europeo non solo lascia increduli i tanti che da anni si occupano dei temi della salute, ma induce a ritenere che la scelta del Partito Democratico sia invece estremamente coerente con quanto fatto in altri campi.
Faccio riferimento in particolare alle politiche giovanili (di cui per motivi di spazio non tratterò limitandomi a ricordare la totale incomprensione da parte degli epigoni del PCI di quanto è avvenuto in questo campo dal ’68 in poi) e alla cultura popolare nella forma della televisione di massa tipica dei nostri tempi
In questo ultimo settore le scelte del Partito appaiono ancora più incomprensibili. Ricordo infatti che Antonio Gramsci il più importante intellettuale del ‘900 e fondatore del PCI aveva analizzato con molto rigore la cultura popolare e i suoi attori. Per Gramsci esistevano tre diversi protagonisti della cultura intesa come elaborazione, condivisione e trasmissione di valori: gli intellettuali organici al partito da lui definito il “moderno principe”, gli intellettuali tradizionali e indipendenti (il cui idealtipo era Benedetto Croce) e i “semplici” la gente comune che erano anch’essi portatori di una propria filosofia anche se priva di sistematicità e coerenza intrinseca. I semplici erano in particolare portatori di una ideologia che veniva trasmessa loro dalle classi dominanti proprio attraverso le forme della cultura popolare (il romanzo d’appendice e la letteratura minore) e tali forme letterarie , il cui straordinario valore Gramsci aveva intuito, erano il mezzo attraverso il quale la borghesia inculcando negli strati popolari la sua visione della società ne otteneva il “consenso” e ne esercitava l’egemonia.
Ora è universalmente noto che nella società contemporanea è il mezzo televisivo a svolgere tale funzione di trasmissione di valori. Ne consegue che avere consentito al Presidente Berlusconi il dominio monopolistico su tale settore (come testimoniato dalle dichiarazioni rese in Parlamento dall’On. Violante sulla intangibilità delle reti Mediaset e da Massimo D’Alema in veste di Presidente del Consiglio in visita agli stabilimenti televisivi del Biscione) è avere rinnegato in blocco l’insegnamento di Antonio Gramsci. E poiché i dirigenti di quel Partito non potevano non sapere, essendo stato il pensiero di Gramsci un must per i dirigenti ex comunisti, l’unica spiegazione che resta è che essi non abbiano ritenuto un fatto negativo che Berlusconi potesse esercitare in totale libertà e in regime di fatto monopolistico la sua “egemonia” culturale sui nostri concittadini.
Ritornando ai temi della sanità siamo dunque di fronte ad una coazione a ripetere in cui il Partito Democratico rinuncia a parte importante della sua elaborazione teorica e concretamente realizzata nelle regioni storicamente di sinistra. Una scelta che appare incomprensibile e suicida per una forza politica che almeno a parole si dichiara alternativa alle destre
Roberto Polillo
10 maggio 2013
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