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Cittadinanzattiva: "Federalismo ha fallito". Dal parto al cancro: la salute non è uguale per tutti


Un federalismo sanitario al capolinea che ha impoverito il servizio pubblico e i cittadini. Giudizio lapidario di Antonio Gaudioso oggi a Roma presentando il Rapporto 2012 dell’Osservatorio civico sul federalismo in sanità di Cittadinanzattiva. Tutte le criticità di una situazione con "differenze territoriali senza precedenti".

08 MAG - “Un federalismo al capolinea, che ha reso le regioni carnefici dei diritti, impoverito il servizio sanitario pubblico a vantaggio del privato e stremato i cittadini, creando differenze territoriali senza precedenti. E tutto questo mentre la direttiva europea approvata dal 2011 stabilisce che i cittadini della UE possono scegliere liberamente in quale stato curarsi, assistiamo nel nostro Paese a disparità di trattamento dei cittadini a seconda della regione di residenza e, addirittura, alla delibera con il cui il subcommissario campano alla sanità vieta di fatto ai propri residenti di curarsi fuori dal proprio territorio. Un tentativo anacronostico e anticostituzionale”. Così Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, ha presentato questa mattina il Rapporto 2012 dell’Osservatorio civico sul federalismo in sanità di Cittadinanzattiva.


L’Osservatorio civico, reso possibile grazie al contributo non condizionato di Bristol Myers Squibb e Pfizer, è stato attivato nel 2011 da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato  al fine di approfondire il tema del federalismo sanitario mettendo insieme il punto di vista del cittadino come utente finale del servizio con l’insieme dei dati di natura istituzionale e tecnica. Il Rapporto 2012 fa il punto su alcune aree tematiche: percorso materno-infantile, procreazione medicalmente assistita, prevenzione e vaccini, rete oncologica, assistenza territoriale, assistenza farmaceutica e un focus sul livello di trasparenza delle nostre regioni.


Percorso materno-infantile, le differenze maggiori non solo su cesarei ma anche su parto indolore e assistenza sanitaria ai figli di immigrati non in regola. Dei 158 punti nascita con meno di 500 parti l’anno censiti nel 2009, a luglio 2012 solo 20 sono stati chiusi, di cui 9 in Calabria. Parto indolore ed assistenza ai figli di immigrati irregolari i due versanti su cui il Rapporto 2012 mostra le differenze più salienti tra le regioni. Su 580 punti nascita esaminati (indagine Siaarti 2012), solo Valle D’Aosta e FVG erogano il parto in analgesia nel 100% dei casi, seguono il Trentino (86,7%) e la Toscana (84,2%).  All’opposto in Molise nessun centro eroga il servizio di epidurale da travaglio; la Sicilia lo esegue nel 6,2% dei punti nascita; Basilicata ed Abruzzo nel 14,3%. Ancora più variegata la copertura gratuita ed h24 del servizio di analgesia: in generale al Nord sono le strutture più grandi (con oltre 1000 parti l’anno) ad offrire l’epidurale gratuitamente h24, al Sud ciò avviene soprattutto nelle strutture piccole, Veneto e FVG le più virtuose.
Solo 6 regioni su 21 assicurano il medico di famiglia o il pediatra di libera scelta ai figli di migranti non regolarmente iscritti al Ssn: si tratta di Toscana, Umbria, P.A. Trento, Emilia Romagna, Marche e Puglia. Poco più della metà delle regioni (12: Campania, FVG, Lazio, Marche, Molise, PA Trento, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto) hanno emanato direttive regionali per garantire la continuità assistenziale di base agli stranieri irregolari; le altre 8 hanno demandato alle singole asl con differenze territoriali. In Basilicata l’unica risposta è offerta dal pronto soccorso.

Procreazione medicalmente assistita, ogni regione è un caso a sè. In questo ambito, l’assistenza è davvero la più diversificata. Si va dal Molise dove non esiste alcun centro di Pma, alla Lombardia con 63 centri. In generale è il Nord ovest l’area più fitta come numero di centri, ma è il Centro Italia quella che è cresciuta maggiormente come offerta in relazione alla domanda (vedi il Lazio con 54 centri). Nel 2010 su 357 centri di Pma, il 43,4% (155) sono pubblici o privati convenzionati, il restante 56,6% (202) sono privati: le regioni con una maggiore offerta pubblica sono la Liguria con il 100% anche se riferita a soli 2 centri, l’Emilia Romagna (11 centri pubblici su 17, ossia il 64%), Toscana (13/9, 62%); al contrario l’offerta è quasi esclusivamente privata in Sicilia (29/36, ossia il 84,7%), nel Lazio (43/54, 83%) e in Campania (30/41, 72,7%). Una struttura pubblica spende in media tra i 2.700 e i 3.000 euro per una fecondazione in vitro, mentre nei centri privati si va dai 3.000 agli 11.000. Inoltre Toscana, Piemonte, Veneto, FVG e P.A. di Trento hanno inserito le prestazioni di Pma nei Lea, con ticket o quota di compartecipazione, senza alcuna esclusione della popolazione interessata. Diverso anche il limite di età stabilito dalle diverse regioni sulla cui base le donne possono accedere o meno alla Pma: Abruzzo  e Campania non pongono alcun limite, 46 anni è il limite massimo imposto dal Veneto, 45 dall’Emilia Romagna, Lazio e Liguria lasciano invece alla discrezionalità dei singoli centri.

La prevenzione vaccinale, smentita nei fatti. A livello di UE, l’Italia è la nazione che destina meno risorse del Ssn alla prevenzione, ossia lo 0,5% rispetto al 2,9% della media dei paesi europei. Sul versante vaccini, il Piano nazionale 2012-2014 prevedeva, fra gli obiettivi delle regioni, la completa informatizzazione delle anagrafi vaccinali: ad oggi l’83% delle Usl si è dotato di un registro informatizzato, ma solo 6 regioni (Valle d’Aosta, FVG, Umbria, Molise, Puglia e Basilicata) e le due province autonome di Trento e Bolzano hanno un software unico su tutto il territorio regionale; 7 regioni Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Campania) hanno software diversi nelle varie asl; le restanti regioni hanno alcune aree non informatizzate; unica eccezione in negativo è la Calabria, dove non esiste alcun registro vaccinale informatizzato. Nelle 8 realtà a completa informatizzazione, solo 5 regioni sono in grado di produrre una lista dei ritardi nella vaccinazione e sanno gestire i target ad alto rischio e solo 6, ad esempio, riescono a gestire lo stoccaggio dei vaccini.
A livello di copertura vaccinale, solo l’Umbria nel 2010 raggiunge l’obiettivo Oms del 95% (precisamente la regione è al 95,4%) di copertura del vaccino Mpr (morbillo-parotite-rosolia) nei bambini a 24 mesi; poco al di sotto la Lombardia (94,67%, pur inflessione rispetto al 95% del 2009); 11 regioni si attestano o superano di poco il 90%; al di sotto del 90% Sicilia, Campania e Calabria.
Differenti anche le modalità di coinvolgimento e responsabilizzazione della popolazione, in una ottica di consenso informato e adesione consapevole. Si va dai casi virtuosi di Toscana ed Emilia Romagna che hanno previsto anche modalità di obiezione di coscienza dei genitori, al Veneto in cui è stato superata l’obbligatorietà della vaccinazione, a Lombardia, Piemonte e Sardegna in cui è stata solo eliminata la sanzione amministrativa in caso di rifiuto delle vaccinazioni obbligatorie. Le altre regioni lasciano un pò al caso e al libero arbitrio dei genitori.
Una nota sul nuovo vaccino gratuito dell’Hpv (papilloma virus): se nel 2007 si era fissato di raggiungere la copertura del 95% entro il 2012 alla luce delle difficoltà incontrate, il Piano nazionale del 2012-2014 ha abbassato l’obiettivo al 70% che a giugno dello scorso anno era quello massimo raggiunto dalle 8 regioni più virtuose (Valle d’Aosta, veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Molise, Basilicata, Puglia).

Cure oncologiche, il regno della mobilità sanitaria e delle risorse “a tempo”. Il primo dato allarmante è il peggioramento registrato in molte regioni nei programmi di adesione allo screening per il cancro alla mammella, alla cervice uterina e al colon retto: nel 2010 solo Emilia Romagna, Piemonte, Umbria hanno mantenuto una buona copertura di adesione; Lombardia, Abruzzo, Molise e Basilicata hanno registrato trend al ribasso; le altre sono rimaste su livelli troppo bassi.
Le  segnalazioni al Tdm da parte di cittadini con tumore hanno mostrato, nel corso del 2012, difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie maggiori nelle aree del Sud e soprattutto per le lunghe liste di attesa: dicono di aver avuto difficoltà di accesso alle cure oncologiche il 74% dei meridionali, rispetto al 33% degli abitanti del Centro e al 22% del Nord. Nella tabella (Capitolo 6, Tab. 9) i tempi minimi e massimi di attesa per alcuni interventi oncologici programmati.
Come mostrano anche i dati del Ministero, in ambito oncologico è molto sviluppato il cd fenomeno della migrazione sanitaria: per prestazioni ospedaliere si fugge prevalentemente da Calabria, Basilicata, Abruzzo, Molise, PA di Trento e Valle d’Aosta; per la chemioterapia, è soprattutto il Veneto la regione da cui si fugge di più, mentre un indice di  attrazione molto forte lo registra il FVG.
Anche l’accesso ad alcuni farmaci di ultima generazione per la cura dei tumori mostra diverse realtà all’interno del Paese: su 18 specialità farmaceutiche prese in esame, il Molise non ne eroga 7, la Valle d’Aosta 5, la Basilicata 4. Inoltre, regioni come Emilia Romagna, Molise, Umbria e Veneto pongono limitazione aggiuntive rispetto a quanto previsto dall’Aifa per l’uso di tali farmaci, ed ancora alcune, Puglia, Emilia Romagna, Umbria e Veneto ne consentono l’accesso solo dietro richiesta motivata da parte del medico prescrittore. Piuttosto diffusa, inoltre, la sensazione fra i cittadini che l’accesso ad un farmaco costoso sia più facile ad inizio anno, che non alla fine quando le asl per problemi di budget sembrano porre più limiti: il 29,5% dei pazienti, secondo una recente ricerca Censis-Favo, segnala questo aspetto.

Assistenza territoriale, l’eterna incompiuta. Nel 2011 la spesa complessiva per la medicina generale convenzionata è stata di 6 miliardi e 624 milioni di euro. La Lombardia è stata la regione che ha speso di più (901 milioni), il Molise quella che ha speso di meno (51 milioni), il Lazio la regione che ha incrementato maggiormente la spesa (+5,6%, dai 576,94 del 2010 ai 609,29 del 2011).
L’Emilia Romagna è la regione virtuosa nella percentuale di anziani trattati in assistenza domiciliare integrata: nel 2010 ne ha trattato l’11,6%, in costante aumento rispetto al 2008; seguono l’Umbria con il 7,67%, il Veneto (5,55%) e la Basilicata (5,03%), tre regioni che, a differenza dell’Emilia Romagna, non hanno però migliorato di molto gli sforzi in tal senso; in peggioramento Piemonte, Marche e Puglia che, con l’1,9%, si colloca in fondo alla classifica di over65 trattati in ADI. Inoltre, è il Trentino Alto Adige la regione che ospita il maggior numero di cittadini in presidi residenziali socio-assistenziali (RSA) con un valore di 431,3 su 100mila residenti tra i 18 e i 64 anni; i valori più bassi si registrano invece in Lazio (147,1), Puglia (133,6) e Campania (98,6), tre regioni sottoposte a Piani di rientro.

Assistenza farmaceutica, e i cittadini pagano. Dal 2007 al 2011 l’incidenza dei ticket sulla spesa farmaceutica è passata da 539 a 1337 milioni di euro, con un incremento del 34% tra 2010 e 2011. Allo stesso tempo la spesa farmaceutica a carico del SSN è calata del 4,6%. Nel 2011 un cittadino ha speso in media, in termini di ticket sui farmaci, 21,88 euro, con differenze notevoli: si va dai 7,48 euro della PA di Trento, agli 11,48 della Toscana, 13,36 dell’Emilia Romagna, 23,11 della Calabria, 23,31 del Lazio, 24,10 di Lombardia e Veneto, 27,63 della Puglia, fino ad arrivare ai 29,50 della Campania e 31,96 della Sicilia.
Altrettanto variegati i tempi di attesa per la disponibilità nei prontuari regionali dei farmaci ospedalieri: si va dai 530 giorni del Molise ai 217 della Puglia.

Trasparenza, in fondo all’Europa. Una analisi europea sulla qualità di governo messa a punto nel 2012 dall’Università svedese di Gothenburg, ha fotografato la situazione dei 27 paesi europei in termini di qualità delle amministrazioni, rispetto delle regole dello stato di diritto, incidenza della corruzione e capacità di dar voce e rendere conto ai cittadini. Ebbene, l’Italia si colloca al 25° posto (su 27) per le prime tre aree, 24° per la quarta e 20° nell’ultimo aspetto. A livello di singole regioni italiane, inoltre, il Sud ed in particolare Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, si collocano al livello, davvero problematico, delle regioni interne dell’Europa orientale; inoltre le regioni più avanzate, considerate nel nostro contesto virtuose, come Toscana, ER e Lombardia, restano molto lontane dalle regioni europee meglio amministrate, non solo quelle dell’area scandinava, ma anche dalle più vicine regioni francesi e tedesche.

Tre proposte ineludibili

Dal taglio lineare alla programmazione: basta al ripianamento dei bilanci con tagli lineare di fine anno ad effetto retroattivo. Chiediamo piuttosto l’approvazione del Piano nazionale sanitario e il nuovo Patto per la Salute.

Accountability per operatori, trasparenza per i cittadini. Il controllo sociale è una leva fondamentale per il cambiamento del management della sanità. Trasparenza delle scelte, della capacità di amministrare e programmare e capacità di comunicare adeguatamente.

Valutazione e partecipazione civica. I cittadini devono avere voce in capitolo nel monitoraggio dei Lea, negli organismi indipendenti di valutazione e nella gestione delle politiche del farmaco.
 

08 maggio 2013
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