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Emergenza urgenza e territorio. Positività e criticità dell'accordo Stato Regioni

di R.Polillo, A.Pagnanelli, S.Ribaldi

L'intesa del 7 febbraio scorso ha molti elementi positivi ma restano due zone d'ombra: la gestione extra ospedaliera dei malati cronici che sono la causa primaria dell'intasamento dei Pronto soccorso e la necessità di un maggior coordinamento nazionele delle politiche dell'emergenza

13 MAR - In data 7 febbraio scorso è stato raggiunto in sede di Conferenza Stato Regioni l’accordo concernente “Linee di indirizzo per la riorganizzazione della Emergenza-Urgenza in rapporto alla Continuità Assistenziale”. L’intesa nasce dalla necessità di limitare il numero di accessi impropri ai Pronto soccorso e Dipartimenti di Emergenza e propone quattro diverse linee programmatiche da attivare a livello regionale.
 
Il documento è stato già oggetto di valutazioni da parte di associazioni professionali e sindacali che hanno sollevato una serie di obiezioni. Anche questo nostro contributo è rivolto a valutare se le proposte contenute nell’accordo siano congrue rispetto agli obiettivi prefissati e ad indicare, nel caso fossero giudicate inadeguate, possibili soluzioni alternative. Per rendere più completa l’analisi saranno svolte alcune considerazioni sull’impatto che le patologie croniche (oggi assolutamente prevalenti non solo in Italia o negli altri paesi a capitalismo maturo, ma anche nei paesi in via di sviluppo) hanno sulle strutture sanitarie. Per le nostre valutazioni saranno presi in esame in modo particolare i dati relativi alla Regione Lazio che in linea con il dato nazionale del 2002 evidenziano una contrazione ( e non un incremento) del numero di accessi nei PS e DEA rispetto all’anno precedente. Infine i dati disponibili verranno utilizzati per simulare la reale utilità di mantenere un servizio di continuità assistenziale h 24.
 
I punti programmatici previsti dall’accordo
La necessità di definire tramite specifico accordo “Linee di indirizzo per la riorganizzazione della Emergenza-Urgenza in rapporto alla Continuità Assistenziale” scaturisce dalla constatazione (riportata in premessa al documento) che negli ultimi anni si è assistito ad un costante e progressivo incremento degli accessi ai Pronto soccorsi (PS) e ai Dipartimenti di emergenza (DEA). Il maggiore afflusso ha interessato in modo particolare le patologie di media e bassa criticità clinica che avrebbero potuto trovare una migliore risposta clinico assistenziale nell’ambito delle rete delle cure primarie laddove adeguatamente strutturate.
 
Per rispondere a tale necessità le parti firmatarie dell’accordo si ripropongono l’obiettivo di fornire indicazioni utili a favorire un armonico di tutti i servizi territoriali ed ospedaliero nell’ambito del emergenza- urgenza e nel settore delle cure primarie attraverso la realizzazione di quattro punti programmatici.
a) Adottare sistemi di ricezione delle richieste di assistenza primaria nelle 24 ore finalizzati ad assicurare la continuità delle cure e ad intercettare prioritariamente la domanda a bassa intensità centralizzando almeno su base provinciale le chiamate al servizio di continuità assistenziale condividendo con il sistema di Emergenza-urgenza le tecnologie e integrando i sistemi.
b) realizzare presidi multi professionali per le Cure primarie utilizzando strutture ospedaliere in dismissione e potenziando ambulatori e forme di aggregazione già esistenti ma soprattutto riorganizzando i punti di erogazione dell’assistenza territoriale nei distretti
c) realizzare all’interno dei pronto soccorsi e DEA percorsi separati clinico- organizzativi dei pazienti con codici di gravità Rossi e Gialli da quelli Verdi e Bianchi anche con invio di questi ultimi a team sanitari distinti ( bassa complessità non necessitante ricovero)
d) garantire per il paziente a bassa complessità assistenziale la continuità di cure attraverso percorsi agevolati che prevedano eventualmente prenotazioni per esami ed accertamenti adottando apposite procedure per l’invio alla rete delle cure primarie attivando collegamenti tra gli specialisti dell’ospedale e quelli del distretto.
 
Analisi dei punti e considerazioni critiche 
Il punto a) del documento, richiama la necessità di adottare sistemi di ricezione delle richieste di assistenza primaria nelle 24 ore che siano integrati con il sistema del 118, con l’obiettivo di assicurare la continuità delle cure e di intercettare prioritariamente, attraverso la CA, la domanda a bassa intensità (accessi impropri al PS/DEA definiti come codici bianchi) stante in già riferito incremento del numero di accessi impropri ai PS. Entrambe le soluzioni proposte sono, a nostro giudizio, inappropriate. E’ illogico pensare a una Centrale Operativa della CA, che riceve le chiamate telefoniche, distinta dal 118 col mantenimento di due canali per la richiesta di soccorso sanitario in quanto allo stato attuale i nostri sforzi sono rivolti all’esatto contrario: ovvero all'avvio di un percorso tendente all'introduzione del numero unico di soccorso 112 valido per l’insieme delle emergenze ivi comprese quelle di natura non sanitaria.
 
Non condivisibile neanche l’idea che la CA possa intercettare validamente la domanda inappropriata. Da un lato non risulta che gli accessi ai PS siano aumentati; anzi i dati diffusi dal Ministero della Salute, attraverso il sistema di rilevazione EMUR, ci dicono che dal 2011 al 2012 il numero di accessi al PS/DEA sono sensibilmente calati con una diminuzione di circa 1 milione ( dai 14.479.595 del 2011 ai 13.433.427 del 2012). Né è dato rilevare un aumento dei codici bianchi la cui percentuale continua ad essere dell’ordine del 5% 
Dall’altro una analisi sul numero di accessi dei PS/DEA della regione Lazio e della percentuale di codici bianchi dimostra che il ruolo della CA è assolutamente trascurabile. Illustriamo il nostro ragionamento
 
Sulla base dei dati del I semestre del 2012 possiamo calcolare che tra le 22 e le 8 gli accessi di Codici Bianchi a tutte le strutture di Emergenza del Lazio non superino le 100 unità. Si tratta dunque di un numero di codici bianche per struttura che non supera le dita di una mano. Essi pertanto non rappresentano un problema reale ed il rapporto costi/benefici consente di mettere definitivamente in soffitta l’ipotesi di Studi Medici aperti h24. Questi dati e lo storico delle richieste di intervento della CA nelle diverse fasce orarie pone invece il problema di modulare l’offerta sul dato della domanda, prevedendo ad esempio, come proposto in Toscana, una riduzione accentuata dell’offerta dalle 24 alle 8.
 
Per quanto riguarda il punto  b) concordiamo totalmente sulla necessità di un reale potenziamento delle cure primarie attraverso l’attivazione di forme aggregative avanzate dei medici di base e delle altre figure professionali del distretto (AFP,UCCP, Case della salute). Tale riorganizzazione delle cure primarie, tuttavia, non può scaturire dalla necessità di ridurre il numero di accessi impropri ai PS/DEA ( la cui utilità è nulla come abbiamo già argomentato) , ma da considerazioni di tipo epidemiologico: è infatti l’attuale e profondamente mutato quadro demico a richiedere un nuovo e più appropriato setting assistenziale e quindi un profondo cambiamento nel modello di erogazione dei sevizi ancora eccessivamente ospedalocentrico.
 
L’ampliamento dell’orario di apertura degli studi della MMG rappresenta un obiettivo da perseguire in nome del criterio di accessibilità ai servizi sanitari, ma questo va fatto senza illudersi che comporti una riduzione al Pronto Soccorso, come dimostrato dall’analoga esperienza che si sta spegnendo nel Regno Unito, né attraverso imposizioni centralistiche che non prevedano la necessità di un modello da contestualizzare fortemente alle singole realtà. Diverse infatti sono le funzioni che queste nuove articolazioni della Medicina Generale potranno avere nelle grandi aree urbane, ricche di Ospedali, e nei piccoli centri dove in effetti potranno intercettare una domanda che oggi non trova risposta o che affluisce agli Ospedali, magari con disagi per l’utenza.
Queste forme organizzative non possono essere altro se non il riordino dell’ attuale modo d’essere della Medicina Generale, perché lo stato della casse regionali rende impensabile introdurre una ulteriore articolazione intermedia per complessità tra lo studio del MMG e l’Ospedale.
 
La situazione demo-epidemiologica del paese
E’ ormai un dato largamente acquisito che a seguito della avvenuta transizione epidemiologica si sia ormai consolidato un passaggio da un quadro epidemiologico di forte prevalenza delle malattie ad andamento acuto ad un altro in cui nettamente prevalenti sono le patologie ad andamento cronico e le pluripatologie. E altrettanto condivisa è la consapevolezza che per la gestione di tali patologie centrale è il momento della presa in carico dei pazienti e quindi della continuità delle cure.
 
Da questo ne consegue la necessità di un cambio di paradigma del pilastro cognitivo –culturale del campo istituzionale (in molte regioni rimasto una pura dichiarazioni di intenti) con il passaggio da una medicina dell’attesa (incentrata sull’assistenza ospedaliera) a una medicina della iniziativa (incentrata sulle cure primarie) i cui elementi fondanti sono: pro-attività degli interventi, presa in carico del paziente per tutto il suo percorso assistenziale e lavoro in team dei diversi operatori coinvolti. In tale prospettiva la presa in carico del paziente cronico e la definizione di specifici protocolli assistenziali è finalizzata ad un duplice obiettivo: da un alto fornire una assistenza “tagliata” sulle necessità del paziente (in linea con le nuove tendenza della medicina personalizzata) dall’altro impedire o limitare attraverso l’adesione a misure di prevenzione e promozione della salute episodi di riacutizzazione delle patologie di base con conseguente danno incrementale e accesso (improprio nella misura in cui potenzialmente evitabile) all’Ospedale.
 
In tale visione la medicina proattiva consentirebbe un “guadagno” di salute e di vita in autonomia e un risparmio di risorse secondario non a misure di razionamento ma di una maggiore appropriatezza. 
In questo quadro il reale contributo che dalla Medicina generale può venire a supporto sia del Pronto Soccorso che dell’intero Ospedale stà proprio nella gestione proattiva delle patologie croniche. Meno accessi al Pronto Soccorso e meno ricoveri ci sarebbero se queste fossero gestite non più come somma di eventi acuti, ovviamente a carico dell’Ospedale, ma come insieme di attività di prevenzione, di diagnosi e terapeutiche pianificate e coordinate da un case manager collocato sul territorio e rappresentato dal Medico di Medicina Generale o comunque a lui collegato.
 
Per quanto riguarda il punto c), l’obiettivo di differenziare i percorsi per differente urgenza, perché questo oggi individua il Triage, appare ragionevole ma si scontra con la vetustà delle strutture legate ancora ad una funzione del Pronto Soccorso che era quella di valutazione, stabilizzazione e destinazione del paziente, mentre oggi questi servizi si sono trasformati, nel Lazio ma non solo, in luoghi di stazionamento e cura.
Premesso che è errato dire che tra i codici verdi è bassa la percentuale di ricovero, per un pieno raggiungimento dell’obiettivo di separazione dei percorsi, dovremmo ripensare il Triage che dovrebbe selezionare i pazienti non solo in base al criterio dell’urgenza, ma anche a quello del prevedibile assorbimento di risorse: un paziente poco urgente ma che dovrà essere sottoposto ad accertamenti strumentali e di laboratorio ripetuti trova probabilmente collocazione più opportuna nell’area dei Gialli più che in quella dei Verdi/Bianchi!
 
Il punto d) è largamente condivisibile ed è forse lo strumento principe per cambiare radicalmente il modo di lavorare del Pronto Soccorso, incrementare l’appropriatezza dei ricoveri e per seminare la cultura della presa in carico e della pianificazione degli interventi come viatico per una assistenza basata sui Percorsi Clinico Assistenziali. Lo standard da rispettare è che nessun paziente esca dal Pronto Soccorso con un consiglio o una prescrizione lasciandolo solo davanti alla nebulosa dei Centri di Prenotazione: ad ogni paziente va fornita una risposta globale che significa dove e quando eseguire un accertamento e da chi far valutare l’esito. Questo consente di evitare spesso di ricorrere al ricovero come risposta non solo costosa, ma anche inappropriata per le condizioni del paziente, senza voler tener conto di una serie di rischi legati alla permanenza in Ospedale.
 
Considerazioni conclusive
Nel complesso il Documento Stato Regioni presenta numerosi punti positivi, sconta però almeno due parzialità. La prima riguarda il ruolo della gestione extra-ospedaliera delle patologie croniche che è l’unica soluzione al problema dell’uso improprio dei PS. La seconda è invece relativa al Sistema di Emergenza che ha bisogno di una manutenzione più ampia, costituita da un riferimento nazionale capace di valorizzare e diffondere le best practices, ma con una larga autonomia delle Regioni dove molto marcate sono le differenze per capacità di progettazione, realizzazione e valutazione.
Rimangono infine due ultime considerazioni relative al Lazio.
 
La prima è in relazione al fatto che la criticità dei servizi di Pronto Soccorso è costituita in primo luogo dalla difficoltà a ricoverare laddove il numero di letti per acuti è superiore alla media nazionale, ma certamente è mal utilizzato, segnato com’è da due elementi negativi: strutture private accreditate e classificate, quelle religiose, in gran parte svincolate dall’obbligo di dare risposta al bisogno di ricovero di quanti giungono nei Pronto Soccorso, ed un gran numero di letti Universitari, con elevata inappropriatezza in particolare dei DH/S, che insieme alle Aziende Ospedaliere ed agli IRCSS per la scarsa efficienza finiscono per determinare oltre l’80% del disavanzo regionale del 2011.
 
La seconda riguarda invece la carenza quasi totale di attività di governance  del sistema delle Reti di Specialità: trattandosi di un sistema complesso in cui difficilmente a priori si possono prevedere tutte le possibili criticità, è necessario creare una struttura,  anche leggera, di  monitoraggio ed intervento rapido capace di risolvere le situazioni di difficoltà che, come tipico delle attività di emergenza, non  fanno differenza tra notte e giorno o fra feriali e festivi.
 
Sono questi i problemi che rendono a nostro giudizio difficile la costruzione di un vero sistema integrato tra ospedale e territorio in grado di realizzare quella continuità delle cure che è universalmente riconosciuto come problema centrale dell’assistenza sanitaria. Serve dunque una reale ri-programmazione dei servizi e delle loro intersezioni e collegamenti che va ben oltre quanto ottenibile attraverso il sistema di C.A. che deve essere in parte riconvertito verso la medicina di iniziativa.
 
Roberto Polillo
Adolfo Pagnanelli
Sergio Ribaldi

13 marzo 2013
© Riproduzione riservata


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