Progettare i luoghi della cura significa pensare agli spazi, alle circostanze, ai tempi nei quali si dovranno realizzare le attività professionali e tecniche necessarie a rispondere tempestivamente e nel modo più efficace al bisogno di salute delle persone.
La struttura ha un’influenza determinante sulla funzione dell’ospedale in quanto condiziona significativamente i processi clinico-assistenziali e di conseguenza l’impiego delle risorse sanitarie e la loro efficienza operativa.
Si tratta di un compito impegnativo, in quanto deve interpretare processi in continuo divenire per il variare della domanda di prestazioni, dello sviluppo tecnologico, delle linee guida professionali.
Strutture progettate secondo principi architettonici di avanguardia possono risultare non pienamente funzionali, quando non addirittura obsolete già al momento della realizzazione.
In questo non aiuta il tempo necessario, talora di alcuni decenni, nel passare dal progetto alla messa in esercizio.
Flessibilità e intensività
La “flessibilità” è una necessità, non può limitarsi ad un presupposto teorico, ma è requisito indispensabile. Progettisti, management ospedaliero e professionisti sanitari possono lavorare insieme per assicurare tutte le diverse ma necessarie declinazioni della flessibilità:
L‘intensività è la vocazione dell’ospedale, non solo del suo Pronto Soccorso e dell’Area Critica.
Intensività intesa non solo come modalità di risposta correlata alla gravità dei pazienti, ma anche come velocità nella diagnosi, nella scelta della strategia e nella messa in atto di cure appropriate e mirate.
Nella buona progettazione di un ospedale tutto viene studiato: dal modo di mettere in atto percorsi clinici individuali all’adeguatezza degli spazi fisici dove essi si attuano, con la finalità di assicurare cure efficaci e sicure, creando le migliori condizioni nelle quali la struttura contribuisce a mitigare la fatica degli staff o l’insorgenza di stati di burnout che sappiamo essere un rischio concreto per chi opera in questi contesti.
Per fare tutto ciò la sequenza documento d’indirizzo, gara, assegnazione non basta e deve essere previsto che progettisti e committenti cooperino fino al progetto esecutivo.
Così come sarebbe opportuno e utile per tutti fare attività di follow up dopo che il nuovo ospedale è entrato in funzione per verificare che i nuovi spazi e le nuove tecnologie siano effettivamente utilizzate come da premesse teoriche.
Agilità: la struttura dell’organizzazione ed il fattore umano
Progettare ospedali significa venire in contatto in modo più o meno soddisfacente ed utile, con il management e i professionisti sanitari, che ne saranno poi gli utilizzatori, e constatare pregi e limiti dell’organizzazione dell’ospedale.
Un limite diffuso, e quindi un ostacolo alla piena affermazione di quell’agilità in teoria ricercata, è un difetto di interoperabilità umana.
Si tratta di una realtà diffusa nelle aziende sanitarie (e non solo) ed è generata dalla struttura a silos che le caratterizza, frutto di una struttura “formale”, basata sulla gerarchia e sul potere delle posizioni (l’organigramma ne è la sua rappresentazione).
Questa caratteristica determina inevitabilmente condizioni di isolamento personale e informativo perché le informazioni, anche per muoversi orizzontalmente, devono prima scalare tutta la gerarchia verso l’alto per poi ridiscendere verso il basso.
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Il tempo richiesto per questo passaggio tra più livelli di persone, nel quale le informazioni vengono filtrate, modificate più o meno coscientemente, cambiate per scelta, le rende non più integre, spesso obsolete, e fa perdere loro di valore per chi le riceve.
Quando invece, grazie all’interoperabilità umana, le informazioni si muovono orizzontalmente rimangono inalterate, sono tempestive e utili per generare altre idee.
Quanto la dirigenza sanitaria ed amministrativa sia consapevole di questo stato di fatto non è molto chiaro, dati i molti segnali contrastanti che da loro provengono. Non si capisce se ciò che manca è la chiarezza d’idee o la propensione a non cambiare lo status quo.
In entrambi i casi però l’inadeguatezza è assicurata.
Se guardiamo a quanto accaduto durante la pandemia non è tanto alla “linea di comando” quanto alla struttura, cosiddetta “informale”, che dobbiamo il grado di risposta espressa dai servizi sanitari.
La struttura informale si associa al concetto di networking.
Rappresenta le vere relazioni tra le persone che operano in una comunità lavorativa.
Rappresenta chi parla con chi, chi chiede e chi risponde a.
La sua rappresentazione grafica è la stessa di quella dei social network.
Tale struttura non è definibile in maniera formale ed è difficile da governare con gli strumenti tradizionali, quindi genera diffidenza nel management ma sta di fatto che esiste, lo si voglia o no.
Se c’è consapevolezza delle dinamiche che si generano dalle due strutture appena descritte, delle loro diversità e contemporaneamente della loro coesistenza, manager e professionisti sensibili, capaci e volenterosi possono avviarsi nella direzione della concreta attuazione di un rinnovato approccio, quello della “creazione del valore”, l’unico da cui possono arrivare i risultati che contano.
Mentre la struttura formale è il dominio del concetto di posizione, la struttura della creazione del valore è il dominio dell’effettivo ruolo lavorativo, con relativo grado di conoscenza e sapere annessi, come generatori di valore.
Se noi ricerchiamo negli ospedali la capacità di essere preparati e pronti a rispondere alle rapide variazioni di domanda, soprattutto quelle improvvise, allora è necessario essere consapevoli che tre sono i tipi di leadership aziendale che possiamo trovare:
Chi progetta non può modificare ma deve conoscere questi elementi perché è opportuno che ci sia coerenza tra struttura fisica e struttura organizzativa.
Realtà che cambiano
Molte cose stanno mutando e possiamo affermare che, nell'era della salute digitale, gli ospedali hanno un disperato bisogno di ulteriori cambiamenti.
Non si deve pensare né che con l'adozione delle tecnologie della salute digitale gli ospedali diventeranno obsoleti né che diventeranno in pratica delle realtà virtuali.
Tutt'altro, tali istituzioni saranno ancora necessarie per decenni.
Le persone avranno ancora bisogno di cure acute e si rivolgeranno agli ospedali per queste esigenze nonché per procedure invasive e per analisi approfondite che richiedono attrezzature e professionisti specializzati che possono solo negli ospedali trovare spazi appropriati.
Tuttavia, i ruoli degli ospedali saranno diversi in futuro.
Gran parte della routine, i controlli e le visite in cui non è necessario partecipare di persona saranno spostate “on line” grazie alla telemedicina. ai teleconsulti e agli algoritmi dell’intelligenza artificiale. Ciò libererà tempo e risorse per il personale medico e consentirà di concentrarsi sui casi che richiedono cure più tempestive o manovre invasive.
Il Point of Care
Chiunque sarà interessato a progettare, o anche solo comprendere, il futuro degli ospedali nello specifico o dell'assistenza sanitaria in generale deve sforzarsi di capire i mutamenti del concetto di “punto di cura”, perché è ciò che già sta determinando i maggiori cambiamenti.
Il punto di cura (POC) è definito come "il luogo in cui vengono ricevute/erogate cure sanitarie".
Nei secoli il POC si è spostato in modo significativo dal capezzale dei malati agli ambulatori dei medici e agli ospedali. Negli ultimi decenni, e soprattutto negli ultimi anni grazie ai servizi di telemedicina, è in atto il percorso inverso.
Il POC si è esteso al di fuori degli spazi fisici delle strutture sanitarie e ora include i pazienti, ovunque si trovino. Una dei punti chiave delle tecnologie sanitarie digitali è che possono democratizzare l'accesso alle cure perché sono in grado di operare una revisione del concetto tradizionale di POC che consente ai pazienti di diventare più proattivi nella gestione della loro salute.
La nuova realtà dei POC nell'era della salute digitale consisterà in due componenti, entrambe partecipate dai professionisti dell’ospedale, una si svilupperà fuori dalle mura degli ospedali e l’altra al loro interno: l'assistenza acuta e le esigenze chirurgiche.
Per quanto riguarda lo spostamento del POC fuori dai confini degli ospedali, questo approccio è stato già in parte avviato dalla Medicina d'Emergenza Urgenza, nelle ambulanze dove i primi soccorritori eseguono procedure salvavita.
Il personale sanitario che opera su questi mezzi, sempre più dotati di nuove tecnologie, come gli strumenti per la telemedicina e i dispositivi diagnostici portatili, è in grado di connettersi con il luogo dell’eventuale ricovero, anticipando le fasi iniziali del percorso clinico oppure risolvendo situazioni che in passato sarebbero state motivo di ospedalizzazione grazie all’uso del teleconsulto.
Questo accade, ma non sistematicamente, già adesso e, senza arrivare all’esperienze di ospedali virtuali come già in altri paesi esistono e seguono a distanza migliaia di pazienti, è un esempio di come la disponibilità di una nuova tecnologia può modificare il modo di curare, evitare ricoveri per patologie altrimenti trattabili in piena sicurezza, alleggerire gli afflussi nei pronti soccorsi.
La progettazione dei futuri ospedali dovrebbe tenere conto di tali concetti e predisporre spazi ospedalieri specificamente configurati e funzionalmente dedicati perché l'assistenza remota è una strada promettente da percorrere.
Con l'avvento del Internet of Medical Things, che comprende un’infrastruttura di dispositivi medici, applicazioni software, sistemi sanitari e servizi, le cure possono essere efficacemente portate oltre le mura dell'ospedale, semplicemente perché ci sono pazienti che non hanno bisogno di ricovero in ospedale, ma piuttosto di monitoraggio.
Da qui nasce il concetto di "reparti virtuali".
Queste ultime sono soluzioni che supportano i pazienti con monitoraggio e trattamento a distanza nelle proprie case attraverso digitale remoto.
Con il monitoraggio in tempo reale e la comunicazione bidirezionale, i pazienti possono contattare i medici ospedalieri e questi ultimi possono intervenire tempestivamente in caso di segni di deterioramento.
Questo modello rende realmente possibile l’integrazione con le cure territoriali, magari direttamente con l’infermiere di famiglia che andrà in visita e eseguirà procedure per le quali sarà opportunamente formato, come medicazioni per ferite e anche terapie endovenose. Perché anche qui, intendo riferirmi al potenziale operativo e al ruolo professionale degli infermieri, qualcosa dovremo cambiare.
Questo nuovo ruolo dell’ospedale, i cui sanitari possono, se vogliono, proiettarsi fino al domicilio dei pazienti, dovrebbe essere seriamente considerato e armonizzato con quello di altre strutture come le Case e gli Ospedali di Comunità perché potrebbe contribuire a mitigare la probabile scarsità numerica del personale sanitario del territorio, MMG compresi.
Considerazioni sintetiche su ciò che è indispensabile
Andrea Vannucci
Socio ASIQUAS, docente Università di Siena, membro CD Accademia Nazionale di Medicina