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Appropriatezza in sanità pubblica: parliamone

di Giorgio Banchieri e Andrea Vannucci

La storia, spesso controversa, dell’incremento dell’appropriatezza nel sistema sanitario pubblico, che va riconosciuto è almeno in parte avvenuto. Utile per guardare ai mutamenti di oggi e domani e proseguire il cammino, che sarà ancora impegnativo, con nuove prospettive e nuovi strumenti.

12 GIU -

Definizione di “appropriatezza”
In letteratura scientifica la definizione base di “appropriatezza” viene ricondotta alla seguente: “Utilizzo corretto (basato sulle evidenze e/o esperienza clinica e/o buone pratiche) di un intervento sanitario efficace, in pazienti che ne possono effettivamente beneficiare in ragione delle loro condizioni cliniche”[1].

Quando si parla di appropriatezza clinica si fa riferimento alla capacità di un intervento sanitario preventivo, diagnostico, terapeutico, riabilitativo di rispondere al bisogno del paziente (o della collettività) con un bilancio favorevole tra benefici e rischi, sulla base di modalità e standard riconosciuti.

Le “buone pratiche
Nel concetto di appropriatezza clinica è quindi insito il concetto di applicazione delle buone pratiche e di aderenza a linee guida basate sulle evidenze.

Dell’espressione buone pratiche” non esiste una definizione univoca ed esaustiva[2], ma si può utilmente far riferimento a quella fornita da AGENAS[3], condivisa con il Ministero della Salute e con le Regioni e PP.AA.:

… sono buone pratiche per la sicurezza dei pazienti interventi/esperienze attuati dalle organizzazioni sanitarie che abbiano dimostrato un miglioramento della sicurezza dei pazienti (suddivisi per tipologia in “raccolta dati”, “coinvolgimento del paziente”, “cambiamenti specifici”, “interventi integrati”) che rispondono ai seguenti criteri:

Le Linee Guida di pratica clinica
Sono “… dichiarazioni che includono raccomandazioni, intese a ottimizzare l’assistenza ai pazienti, raccomandazioni che sono informate da una revisione sistematica delle evidenze e da una valutazione dei benefici e dei danni delle opzioni di cure alternative[4] e rappresentano il punto di riferimento più importante per gli operatori sanitari e per gli stessi pazienti, uno standard di qualità dell’assistenza e uno strumento essenziale per prendere molte decisioni di politica sanitaria.

Esse sono il frutto di una “revisione sistematica della letteratura con una valutazione esplicita della qualità delle prove e la formulazione di raccomandazioni la cui forza e direzione è basata su giudizi trasparenti”, e si differenziano dalle conferenze di consenso, dai position papers, dai percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali, dai protocolli tecnico-operativi, dai pareri di esperti come pure dai criteri di appropriatezza d’uso di tecnologie e dispositivi sanitari.

Nella pratica clinica, il giudizio di appropriatezza di un intervento sanitario deve prendere in considerazione da un lato il “profilo rischio-beneficio” dell’intervento, e quindi il livello di raccomandazione degli stessi in relazione alla qualità delle evidenze disponibili, dall’altro le “preferenze/aspettative” del paziente[5].

EBM e “appropriatezza”
Attualmente, la mancanza di un approccio Evidence Based rappresenta una delle maggiori minacce all’erogazione di trattamenti di qualità. Sebbene numerose evidenze riguardo ai trattamenti ottimali delle patologie siano state prodotte e diffuse attraverso la letteratura scientifica e le relative Linee Guida, l’aderenza ed il rispetto delle evidenze risulta variabile nell’ambito dei Sistemi Sanitari, soprattutto in termini di modalità di erogazione e tempestività dei processi di diagnosi e cura[6],[7].

Distaccandosi poi dal concetto di appropriatezza riferito all’intervento destinato al singolo paziente e valutando la situazione da una prospettiva più ampia, ci si rende conto dell’impossibilità di parlare di appropriatezza in un contesto di risorse esauribili senza far riferimento anche alla dimensione del costo, e quindi all’”appropriatezza organizzativa[8]. Questo vale tanto di più oggi in permanenza di un finanziamento tendenziale del FSN pari al 6,2% del PIL, dopo la fase transitoria della pandemia da SARS-COV-2.

“Inappropriatezza” e sprechi in sanità
Negli USA abbiamo un mercato sanitario privato pari al 16% del PIL. La stima degli sprechi alias “inappropriatezze” esistenti è tra il 21% e il 47,6% della spesa sanitaria globale.

In Italia si stimavano alcuni anni fa circa 25 mld di Euro di sprechi su circa 112 mld del FSN (il 22% del totale della spesa diretta) e circa il 17% della spesa sanitaria globale, pubblica e privata (pari a 146 mld di Euro). Ad una prima lettura, nonostante che non siamo contenti, stiamo comunque meglio che negli USA e ancora una volta si constata come una gestione fortemente privatistica della sanità è meno performante di quella a maggioranza “pubblica”.

La “appropriatezza organizzativa”
Ripartiamo dalla definizione di “appropriatezza organizzativa” in letteratura che è la seguente “... erogazione di un intervento/prestazione in un contesto organizzativo idoneo e congruente, per quantità di risorse impiegate, con le caratteristiche di complessità dell’intervento erogate e con quelle cliniche del paziente”[9]

Quindi l’”appropriatezza organizzativa” attiene al “contesto operativoin cui viene erogata l’assistenza.

Come riportato nella definizione il contesto operativo “deve essere idoneo e congruente …”, con le caratteristiche di “… complessità clinica del paziente e della tipologia di intervento/assistenza da erogare …” in modo che il paziente ottenga una assistenza con identico beneficio e con un minore impiego di risorse.

Nell’ambito del “Progetto Mattoni SSN”, il mattone “Misura dell’appropriatezza” ha ampliato e approfondito molti aspetti teorici e operativi, fra cui le modalità di misurazione ed incentivazione dell’appropriatezza ospedaliera, delle prescrizioni farmaceutiche e specialistiche.

(http://www.mattoni.salute.gov.it/mattoni/paginaInternaMenuMattoni.jsp?id=10&menu=mattoni).

Nel 2007 nel documento del Comitato Scientifico del Progetto Mattoni SSN “Misura dell’Appropriatezza” si specificava che “l’appropriatezza organizzativa”, concerneva:

Venivano inoltre analizzati i sistemi di controllo analitici effettuati “ex-post”:

“Appropriatezza” e “clinical governance
La definizione di “appropriatezza clinica” e di “appropriatezza organizzativa” sono, a loro volta, riconducibili a quella di “Clinical Governance”[11]. Comparsa nel 1998 sulla rivista scientifica British Medical Journal: “… la Clinical Governance è un sistema attraverso cui le organizzazioni sanitarie sono responsabili del continuo miglioramento della qualità dei loro servizi e della salvaguardia di elevati standard di assistenza attraverso la creazione di un ambiente in cui possa svilupparsi l'eccellenza dell'assistenza sanitaria…”.

Il significato concettuale è l'utilizzo di una modalità di gestione in ambito sanitario basato su un nuovo modello di come fare le cose (nuove logiche operative): è quindi un nuovo modo di gestire e governare le attività che poggia su quattro aspetti fondamentali: la responsabilità, la trasparenza, il coinvolgimento e la partecipazione, l'etica e il valore del lavoro.

Tutte dimensioni della “qualità” che richiedono “competenze professionali, organizzative e tecnologiche” degli operatori sanitari, socio sanitari e sociali così come la partecipazione attiva dei pazienti, in una logica di “comunità”, che deve essere “proattiva” e “partecipante”.

Slow Medicine Italy”
In Italia il movimento “Slow Medicine Italy”, promosso da “Slow Food” e dall’allora SIQUAS VRQ, ha lavorato fin dall’inizio sull’assioma che cure appropriate e di buona qualità e un’adeguata comunicazione fra le persone sono in grado di ridurre i costi dell’organizzazione sanitaria e gli sprechi, promuovono l’appropriatezza d’uso delle risorse disponibili, la sostenibilità e l’equità dei sistemi sanitari e migliorano la qualità della vita dei cittadini nei diversi momenti della loro vita.

Una medicina “sobria, rispettosa, giusta” è il motto di “Slow Medicine Italy”, che sintetizza una idea di cura basata sulla “sostenibilità”, sull’”attenzione alla persona e all’ambiente”, sull’”equità” e sull’”appropriatezza delle cure”.

La “sobrietà” viene connotata con una frase: “fare di più non sempre significa fare meglio”. Questo in un contesto attuale in cui lo spreco di farmaci, trattamenti ed esami sembra rimane significativo.

Il “rispetto” ci ricorda che tutte le donne e gli uomini coì come gli altri esseri viventi e l’ambiente che ci circonda hanno diritto ad una ricerca continua della loro salute, prima di ogni altra cosa, e a politiche di rispetto della vita in tutte le sue forme e della singolarità di ogni persona e di ogni cultura di cui fanno parte.

Oggi questo ci riporta alla visione e all’approccio “One Health”. (vedi i nostri articoli su “Quotidiano sanità”: “One Health in Italia” e “L’approccio “One Health” e le policy per la sua gestione”, 2023)

E La parola giusto” significa almeno due cose: la prima è l’uguaglianza di tutti i cittadini, tutte le persone, nei confronti del loro diritto alla prevenzione, cura e assistenza; la seconda è l’appropriatezza delle prescrizioni e dei trattamenti sulla base dell’EMB.

Il progetto Fare di più non significa fare meglio Choosing Wisely Italy
Il progetto più significativo sviluppato da “Slow Medicine” in Italia, a partire dal 2012, è stato Fare di più non significa fare meglio Choosing Wisely Italy” che ha l’obiettivo di favorire il dialogo dei medici e degli altri professionisti della salute con i pazienti e i cittadini su esami diagnostici, trattamenti e procedure a rischio di “inappropriatezza” per giungere a scelte informate e condivise.

Le società scientifiche/associazioni di professionisti che hanno aderito al progetto hanno individuato ciascuna una lista di almeno cinque test diagnostici o trattamenti[12], che in Italia venivano effettuati molto comunemente. Trattamenti che non apportano benefici significativi, secondo evidenze scientifiche di efficacia alle principali categorie di pazienti ai quali vengono generalmente prescritti e possono invece esporli a rischi. Attualmente l’elenco è disponibile sul sito di “Choosing Wisely Italy[13].

Ad oggi le pratiche assistenziali censite dalle 49 società scientifiche partecipanti al progetto non basate su EBM sono oltre 2.400 e molte sono ancora di uso diffuso.

Decreto ministeriale, detto “Lorenzin”, del 9 dicembre 2015 e nuovi LEA
Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 gennaio 2016, Il decreto elencava le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza di prestazioni di alcune specifiche branche specialistiche: Odontoiatria, Genetica, Radiologia diagnostica, Esami di laboratorio, Dermatologia allergologica, Medicina nucleare.

Pochi mesi dopo, il 15/07/2016 sono stati presentati i nuovi LEA ed è stato abrogato il “Decreto appropriatezza”. Niente sanzioni per medici e maggiore libertà prescrittiva, ma l'appropriatezza resta (?!).

Fu di fatto un dietrofront sul “Decreto appropriatezza”. La novità, prevista nei nuovi LEA, era la risultato di una concertazione tra Ministero della Salute e FNOMCeO.

Venne presentato anche un “Manifesto sull'appropriatezza”, realizzato dal Ministero della Salute e dalla FNOMCeO, diffuso poi in tutti gli studi medici, ospedali e sedi delle ASL per informare i cittadini sulla novità introdotte dai nuovi Livelli Essenziali di Assistenza … Ad anni di distanza osserviamo però che c’è ancora strada da fare … per una costante azione di recupero dell’”appropriatezza”.

Tornando su “appropriatezza” e sprechi in sanità
In sanità, tutti i processi che non migliorano la salute delle persone generano “sprechi”, anche se la loro esistenza è motivata da nobili motivazioni.

Secondo l’OCSE possono essere considerati sprechi:

Secondo l’OCSE circa il 20% della spesa sanitaria (2017) apporta un contributo minimo o nullo al miglioramento della salute delle persone. Gli sprechi si annidano a tutti i livelli (politica, management, aziende sanitarie, professionisti, pazienti).

Tutti sono chiamati a trovare soluzioni adeguate a ridurre gli sprechi attraverso due strategie:

Secondo l’OCSE si possono identificare tre macro categorie di sprechi:

cui si possono aggiungere:

Il sovra-utilizzo di prestazioni inappropriate, in particolare quelle diagnostiche, può essere imputato:

La Sanità del 21° secolo sarà dominata dai “pazienti” e dal concetto di “valore”
Questo perché i bisogni e la domanda stanno aumentando più velocemente delle risorse disponibili per soddisfarli. Le cause sono legate all’invecchiamento della popolazione, a nuove malattie e all’innovazione e allo sviluppo degli strumenti e delle tecnologie.

Nel contesto di un probabile incremento nel volume e nell’intensità delle attività cliniche, le conseguenze presumibili, di segno positivo e negativo, saranno:

Uno sguardo al domani
Se abbiamo ripercorso la storia, spesso controversa, dell’incremento dell’appropriatezza nel sistema sanitario pubblico, che va riconosciuto è almeno in parte avvenuto, lo abbiamo fatto anche per guardare ai mutamenti di oggi e domani e proseguire il cammino, che sarà ancora impegnativo, con nuove prospettive e nuovi strumenti.

“Appropriatezza clinica” e “Health literacy”
L'appropriatezza clinica e la “health literacy” sono due concetti strettamente correlati che contribuiscono a migliorare la qualità dell'assistenza sanitaria e il coinvolgimento dei pazienti nella gestione della propria salute.

Se l’appropriatezza clinica si riferisce all'adeguatezza e alla pertinenza delle cure fornite ai pazienti in base alle loro esigenze e alle migliori evidenze disponibili, la “health literacy” si riferisce alla capacità di una persona di ottenere, comprendere e utilizzare le informazioni relative alla salute per prendere decisioni informate e gestire la propria salute perché sarà diventata capace di ascoltare, leggere e comprendere le indicazioni mediche, valutare criticamente le informazioni e saper comunicare con i curanti.

Una persona con un buon grado di “health literacy” è più propensa a partecipare attivamente alla gestione della propria salute, facendo domande, cercando informazioni affidabili e prendendo decisioni informate. Il coinvolgimento attivo dei pazienti aumenta la probabilità di scelte appropriate.

La ”health literacy” aiuta i cittadini a valutare criticamente le informazioni sulla salute provenienti da varie fonti, come la rete o i media. Una valutazione critica è essenziale per distinguere informazioni accurate da quelle errate o fuorvianti, evitando di cadere in terapie o cure non appropriate

Un buon grado di “health literacy” facilita la comprensione delle istruzioni mediche, del dosaggio dei farmaci, della loro modalità di assunzione ed effetti collaterali possibili, aumentando l'aderenza al trattamento, che è un fattore cruciale per l'”appropriatezza clinica”.

Pertanto, promuovere la “health literacy” tra i pazienti è un aspetto fondamentale per garantire l'”appropriatezza clinica” e favorire risultati di salute positivi. Ciò può essere fatto attraverso strategie educative, materiali informativi chiari e accessibili e una comunicazione aperta e collaborativa tra medici e pazienti.

Appropriatezza clinica” e alfabetizzazione digitale
Anche l'”appropriatezza clinica” e l'alfabetizzazione digitale sono due aspetti che possono lavorare insieme per garantire cure mediche appropriate e consapevoli nell'era della sanità digitale, perché buoni livelli di alfabetizzazione digitale determinano competenza e capacità di utilizzare le tecnologie digitali in modo efficace e consapevole.

Nell'ambito della salute l'alfabetizzazione digitale riguarda la capacità di accedere alle informazioni sulla salute online, comprendere e valutare le risorse digitali e utilizzare le tecnologie per gestire la propria salute e può promuovere “appropriatezza” se le istituzioni politiche e scientifiche preposte alla tutela e alla produzione della salute saranno presenti e non lasceranno il campo ad iniziative e soggetti che seguono altre logiche.

L'alfabetizzazione digitale può contribuire all'”appropriatezza clinica” in diversi modi:

“Appropriatezza clinica” ed intelligenza artificiale
Infine, se l'”appropriatezza clinica” è una misura dell'adeguatezza e della pertinenza dei trattamenti medici rispetto alle condizioni specifiche dei pazienti e vogliamo garantire che i pazienti ricevano le cure, basate sulle migliori evidenze disponibili e tenendo conto delle loro caratteristiche individuali, l'intelligenza artificiale (IA) può svolgere un ruolo importante.

L'IA ha la capacità di analizzare grandi quantità di dati medici, come record elettronici dei pazienti, dati di imaging, risultati di test di laboratorio e studi scientifici. Utilizzando algoritmi avanzati, l'IA può identificare modelli e tendenze che possono aiutare i medici a prendere decisioni migliori e più informate sulla diagnosi e il trattamento.

Ecco alcuni modi in cui l'IA può contribuire all'”appropriatezza clinica”:

Importante ricordare però che l’IA può fornire informazioni e raccomandazioni, ma spetterà sempre ai clinici valutare le informazioni fornite e prendere decisioni considerando il contesto specifico del paziente.

Conclusioni
Se quindi l’”appropriatezza clinica” è una dimensione della qualità che fa riferimento alla validità tecnico scientifica, all’accettabilità e alla pertinenza delle prestazioni sanitarie, gli strumenti, le opportunità e le azioni per accrescerne i potenziali benefici sono oggi molteplici e potenti.

Nel concetto di “appropriatezza clinica” è insito il concetto di applicazione delle buone pratiche e di aderenza a Linee Guida basate sulle evidenze. Entrambe oggi possono accrescere il loro potenziale se aggiungiamo la possibilità di usarle in modo sempre più mirato e personalizzato sul singolo paziente. Questo dovrebbe essere tanto più vero in un sistema sanitario “pubblico”, “universalistico” ed “equo” come il nostro SSN.

Abbiamo raccontato la storia e le prospettive dell’appropriatezza ma, a questo punto, è giusto anche tenere a mente che come in tutte le sfide impegnative ci sono e ci saranno “zone grigie” nelle gestioni aziendali, che non aiuteranno nell’uso “appropriato” delle risorse disponibili. Ci sono e ci saranno difficoltà “politiche” di “trasparenza” nelle scelte tendenziali dei “poteri forti” del nostro Paese relativamente alle politiche sanitarie e alle policy della salute.

Ci sono e ci saranno organizzazioni sindacali e professionali che si chiudono nel loro “particolare” mancando in un confronto su una visione di insieme della sanità “pubblica” e nel contributo ad un pensiero riformatore adeguato ai tempi.

Abbiamo il PNRR che potrebbe essere l’ultima affermazione di una policy e d’investimenti nella direzione di una sanità “pubblica”, ma sappiamo che ci sono già dei rischi di correzione che potrebbero ridimensionare lo sforzo di far crescere l’assistenza territoriale.

Con la globalizzazione il nostro Paese è cambiato, come tutti i Paesi sviluppati o presunti tali. Scompaiono i “corpi intermedi”, si semplifica la gestione politica con l’assioma della “società liquida”, manca una coscienza diffusa dei propri doveri e dei propri diritti. Il rischio è una forte disgregazione sociale e una pauperizzazione diffusa. La privatizzazione strisciante della sanità si inserisce in queste tendenze. Attenzione però che “quando tutto sarà privatizzato … perderemo tutto”, ovvero i diritti costituzionali e lo stato sociale. A chi conviene? I segni di una disgregazione sociale del Paese ci sono già tutti …

Giorgio Banchieri
Segretario Nazionale ASIQUAS, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma

Andrea Vannucci
Socio ASIQUAS, Professore a contratto DISM Università di Siena, socio Accademia Nazionale di Medicina, Genova

Note:

[1] Arah OA, Westert GP, Hurst J, Klazinga NS. 2006. A conceptual framework for the OECD Health Care Quality Indicators Project. Int J Qual Health Care 18 Suppl 1:5-13.

[2] Labella B, Caracci G., Tozzi Q. e De Blasi R: L’Osservatorio Buone Pratiche di AGENAS. In Monitor (Trimestrale dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) Anno XI numero 31 2012 pag 21-34

[3] Tozzi Q., Caracci G., Labella B.: Buone pratiche per la sicurezza in sanita. Il Pensiero Scientifico Editore (febbraio 2011) pag. 41.

[4] Consensus report, Institute of Medicine. Clinical practice guidelines we can trust. March 23, 2011.

[5] Di Stanislao F e altri, “La qualità nell’integrazione tra sanità e sociale”, ASIQUAS, Roma, 2013 pagg. 246

[6] Jollis JG, Granger CB, Henry TD, Antman EM, Berger PB, Moyer PH, Jacobs AK. 2012. Systems of care for ST-segment-elevation myocardial infarction: a report From the American Heart Association’s Mission: Lifeline. Circulation Cardiovascular quality and outcomes 5(4), 423–8. doi:10.1161/CIRCOUTCOMES.111.964668

[7] Jernberg T, Johanson P, Held C, Svennblad B, Lindback J, Wallentin L. 2011. Association between adoption of evidence-based treatment and survival for patients with ST-elevation myocardial infarction. JAMA 305(16), 1677–84. doi:10.1001/jama.2011.522

[8] Di Stanislao F e altri, “La qualità nell’integrazione tra sanità e sociale”, ASIQUAS, Roma, 2013 pagg. 246

[9] Ministero della Salute: Manuale di formazione per il governo clinico: monitoraggio delle performance cliniche. Roma, dicembre 2012

[10] Di Stanislao F e altri, “La qualità nell’integrazione tra sanità e sociale”, ASIQUAS, Roma, 2013 pagg. 271

[11] G. Scally e L.J. Donaldson, British Medical Journal, 1998.

[12] Brody H. Medicines ethical responsibility for health care reform: the Top Five list. N Engl J Med. 2010;362(4):283-285

[13] https://choosingwiselyitaly.org/



12 giugno 2023
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