Parole, minacce, mobilitazioni, piazze piene e piazze vuote. Il risultato non cambia. Cambia la percezione di chi fa un movimentismo che non appare incisivo. Cambia la concezione che della salute hanno i cittadini e gli operatori sanitari. Cambia la consapevolezza di trovarsi di fronte a un servizio sanitario non più pubblico, non più universale. E se tutto ciò è contro la Carta Costituzionale, se si violano almeno due articoli di una carta scritta con il sacrificio di chi ha vissuto la dittatura, la guerra in casa, i lutti, non conta.
Contano le regole del mercato che governano anche la salute. E che oggi, perchè non dirlo, dividono tutti i cittadini, e i pazienti, in appartenenti alla serie A e alla serie B, mentre il patto di inclusione sociale su cui si basa la nostra democrazia appare indebolito e sfibrato.
Al di la dei piagnistei, delle lamentele continue, di quello che in molti ormai definiscono pessimismo cosmico, cosa si può fare? Soprattutto chi può fare?
Semplice e intuitivo pensare in primis ai governi nazionali. Senza, però, dimenticare, o sottovalutare, il fatto che il COVID ha segnato uno spartiacque anche nell’ambito europeo, come dimostra la risposta congiunta data dai Paesi UE alla pandemia. L’Europa, forse mai come oggi, detiene il privilegio e l’onere di indirizzare contributi, anche a fondo perduto, approvare e bocciare progetti, vedi il Pnrr, sottrarre o aumentare fondi destinati agli stati membri.
Alle soglie delle elezioni europee, dovremmo e potremmo puntare più in alto anche per la tutela della salute. In fondo, le battaglie che hanno segnato l’organizzazione del lavoro in sanità, come, ad esempio, la legge sui riposi obbligatori, sono state vinte non certo in Italia.
L’Europa, che pare così lontana dalla crisi della sanità pubblica che stiamo attraversando, è molto più vicina di quanto possiamo immaginare e potrebbe rappresentare una alleata se non una soluzione. Potremo chiederci perché, ad esempio, il piano EU 4 Health 2021-2027, che conta un tesoretto di ben 9,4 miliardi, e che tra i suoi obiettivi annovera anche il personale, non venga quasi mai menzionato.
In fondo, dal trattato di Maastricht del 1992, quando la salute pubblica fu introdotta come tratto costitutivo della politica europea, sono stati compiuti notevoli progressi, come la stessa gestione della pandemia ha dimostrato. E nel 1997, il trattato di Amsterdam ha ampliato l’azione della comunità europea, benché la tutela della salute e la organizzazione dei servizi sanitari siano ancora (fino a quando?) nelle competenze degli stati membri. Oggi occorrerebbe un salto di qualità per garantire uno standard elevato di tutela della salute in una costruzione sovranazionale eterogenea come la UE, rafforzando, anche per questa via, il suo ruolo e la sua azione. E promuovere un più forte coordinamento sanitario per la prevenzione e la risposta a future crisi pandemiche.
Le proteste di piazza, come in Germania, in Spagna, in Inghilterra, in Francia, serviranno certo a “svegliare” coscienze, sopite da anni di disinformazione prima e spaventate da una sindemia terrificante poi. Ma servirà, soprattutto, cooperare, per utilizzare un termine molto caro alla UE, affinchè tutti i cittadini acquisiscano consapevolezza del rischio che corre la loro salute e la stessa democrazia, se prevarranno processi di esclusione sociale e geografica nella esigibilità di un diritto della persona, quale appunto quello alla salute. Un percorso lungo, faticoso, perché si tratta di aprire gli occhi sull’avanzare di una crisi che non fa rumore, in cui sulla carta tutto è ancora dovuto e gratuito, ma nei fatti, molto è diventato optional e a pagamento, fino ad essere vissuto come scontato.
Come parte sociale non possiamo permetterci di mollare o accontentarci di mezze misure, perchè abbiamo l’obbligo morale di tenere in piedi le mura del welfare state che logiche economicistiche, a livello mondiale, e scelte politiche, a livello nazionale, stanno lentamente, disgregando, mattone dopo mattone, attraverso il definanziamento programmato e la crescita delle diseguaglianze sociali e territoriali.
Abbiamo grandi nemici, le regole dell’economia e gli interessi della politica, ma grandi alleati, come gli ideali mai smarriti e i cittadini, con cui esiste un patto deontologico. Prima di disseppellire l’ascia di guerra con l’idea della guerra, disseppelliamo le coscienze con la guerra delle idee.
Pierino Di Silverio