Oramai è partita l’avanzata definitiva della sanità privata. Favorita da destra e da sinistra sta invadendo il territorio ma soprattutto sta entrando nella testa di tutti.
Abbondano le offerte assicurative, promosse a tutto spiano televisivamente, che hanno il duplice effetto negativo di:
Le offerte commerciali sono j’accuse vere e proprie
«L’importante è la salute» è il grido della battaglia che sta accompagnando la campagna promozionale dell’assistenza sanitaria privata diretta a garantire ciò che il servizio pubblico non assicura più da più di un decennio. Ciò sulla scia di quanto è successo negli USA a seguito della riforma Obama che ha esteso la copertura assicurativa, a premio moderato, ai 50 milioni di americani che stavano nel mezzo tra i ricchi di polizze onerosissime e i poveri assistiti dal medicaid.
Ad un tale fenomeno, giustificato per chi esercita l’imprenditoria ma maledettamente accusatorio per una Repubblica che dovrebbe garantire ovunque e a chiunque il diritto alla tutela della salute, se ne aggiunge un altro: la resa. Quest’ultima intesa come il cessare ogni resistenza di fronte alle istanze organizzate di mettere su un sistema sociosanitario alternativo a quello pubblico, con quest’ultimo lasciato il più possibile in mano al privato accreditato, in smoderato incremento.
Si persevera negli errori
Un modo, questo, per espellere il servizio sanitario autenticamente pubblico dal soddisfacimento della domanda collettiva di assistenza, colpevolmente (alcuni sospettano dolosamente) progressivamente indebolito perché:
Tutto questo si è generato per una serie di motivi tra i quali ha dominato il non voler comprendere che il servizio sanitario nazionale era da decenni malfunzionante, nonostante la sua previsione normativa del 1978 che lo ha reso apprezzato in tutto il mondo per la sua universalità, equità, socialità e uniformità nonché per l’effetto centrifugo dell’assistenza, purtroppo mai realizzato e, dunque, rimasto a conformazione ospedalocentrica.
Il difetto di non conoscere se stessi
Ad un tale negativo risultato si è pervenuti a causa di un difetto di constatazione di quanto accadeva nella realtà. Si è erroneamente supposto che la perfomance comunque apprezzabile nel Paese pervenisse dalla spedalità pubblica. Così non era. Almeno nella grandissima parte.
Ciò in quanto la qualità dell’offerta di livelli essenziali ospedalieri – trascurando qui gli innumerevoli disagi recati da una prevenzione pressoché inesistente e da una assistenza distrettuale per lo più limitata alla non brillante prestazione resa dai medici di famiglia – è riconducibile da decenni quasi esclusivamente agli IRCCS. Questi ultimi, prevalentemente privati, sono considerati la punta di diamante del SSN. In essi viene a concentrarsi la domanda dell’utenza. Gli stessi si rendono recettori della mobilità passiva proveniente da ovunque e produttori di quella attiva nelle regioni ove operano. Sono 51 nel Paese, dei quali 21 pubblici (tra i quali, per esempio, il Carlo Besta, il San Matteo, il Rizzoli, il Gaslini, il San Martino, il Meyer, lo Spallanzani, il Pascale) e 30 privati (tra i quali, per esempio, il San Raffaele, l’IEO, l’Humanitas, il Monzino, il Gemelli, il Bambin Gesù, il Santa Lucia, l’IDI, il Neuromed), rappresentativi tutti dell’offerta di spedalità di pregio.
Tutto questo ha di fatto coperto lo scadere della maggior parte del sistema ospedaliero pubblico, attesa la confusione che l’offerta consolidata degli anzidetti IRCCS è stata confusa con quella erogata dal sistema governato dalle aziende sanitarie, le quali hanno goduto della positività dei risultato di pregio assicurati da un sistema parallelo non affatto dipendente dal loro operato, in quanto prodotto dal management preposto sia agli IRCCS pubblici che a quelli privati, quest’ultimi destinatari della maggiore istanza nazionale.
Errore di ipotesi o tutela di interessi?
Un tale risultato ha fatto sì che il pubblico cominciasse a “difendersi” ricorrendo ad una sorta di liberazione nei rilasci degli accreditamenti istituzionali (art. 8 quater d.lgs. 502/92) e dalla stipulazione dei relativi contratti di fornitura (art. 8 quinquies d.lgs. 502/92), disattendendo addirittura le procedure agonistico-selettive insediate di recente nell’ordinamento dalla legge per la concorrenza 118/2022. Non solo. Arrivando addirittura a riconoscere ai medesimi gli extra-budget, interdetti ripetutamente dalla giurisprudenza sia costituzionale che amministrativa. Una attività compiuta e in corso che sta sfornando accreditamenti a mano libera, in quanto tali non più connessi ad una logica programmatoria, ovverosia quella di attribuire ai privati accreditamenti per differenza tra la necessità accertata dalle Regioni al netto dell’offerta pubblica incrementata del 10% per sopperire alle eventuali revoche e alle rinunce.
Altre disattenzioni gravi
Insomma, si sta generando il caos dal quale sarà difficile uscire, incrementato peraltro da aziende ospedaliere universitarie che tali non sono state mai riconosciute con i previsti Dpcm (art. 8 d.lgs. 517/1999), sui quali anche il nuovo ministro fa finta di non vedere piuttosto che intervenire per una generale regolarizzazione dell’esistente.
A fronte di tutto questo, le persone bisognose si arrendono finanche a tristi destini, senza che alcuno pensi ad una profonda riforma strutturale del sistema.
Ettore Jorio