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Oltre la retorica del soffitto di cristallo: le vite delle donne, il bisogno di essere umani e quei “NO” al modello performante

di Sandra Morano

Dalla politica alla sanità. Dove, più che la rinuncia alla vertigine di tetti di cristallo infranti, si vede orami solo una grande fuga (3.000 medici ogni anno, per la metà donne) da posizioni dirigenziali nel SSN che ancora fino a qualche anno fa erano considerate prestigiose e fonte di realizzazione di sé

13 MAR -

Dall’Ateneo di Padova alle due premier che lasciano ammettendo di essere umane: c’è qualcosa in controtendenza. Qualcosa in comune tra il loro rifiuto del modello performante - che non conosce fatica, stanchezza, dubbi, né vincoli personali o familiari - e il discorso virale della Presidente del consiglio degli studenti Emma Ruzzon all’inaugurazione dell’anno accademico.

Un discorso che, insieme alle recenti dimissioni del primo ministro Sturgeon in Scozia, e, ancor prima, quelle della sua omologa Jacinda Ardern in nuova Zelanda, lancia, anche se con tonalità diverse, un “NO” senza appello a imperativi contrabbandati come valori, a strategie di successo indicate come infallibili, a meriti tanto più indispensabili quanto più ignorati da governi e istituzioni formative.

Oggi il tema giovani, insieme a lavoro, sanità e istruzione, è scomparso dai programmi, elettorali e non, di tutti i partiti. Una afasia che sarà difficile recuperare in tempi brevi. Per cui non basta oggi una premier, di governo o di opposizione, giovane e donna, e tanti suoi coetanei nei posti chiave di comando.

Ai giovani si parla di umiliazione e merito: senza prospettive (e, come in sanità, senza criteri né programmi), si chiede che non tradiscano le aspettative (di chi?) e non sprechino tempo e risorse. I calcoli degli sprechi, poi (quanti laureati mancano all’appello ogni anno, quanti dottorati senza futuro e senza sbocchi, quanto costa ognuno dei 21397 medici che abbiamo offerto gratis ad altri paesi nel triennio 2019-2021, in aggiunta ai 109743 dei 18 anni precedenti), li fanno di solito non i governi o i ministeri, ma istituti privati, sindacati, Fondazioni, Confindustria.


Se le donne hanno mostrato una capacità performante addirittura superiore a quella degli uomini negli ultimi decenni, se li hanno imitati in tutto per arrivare al successo e al potere, a quanto pare questo non paga. Le cifre dell’avanzata delle donne leader sono stabili da almeno due decenni, con la recente eccezione della scena politica e, laddove i tetti di cristallo vengono infranti, gli esiti di questo replacement non sembrano aver modificato, se non in rare eccezioni, il linguaggio e le pratiche del management attualmente in uso.

Nonostante “una sorprendente genealogia” femminile (Luisa Pogliana) affermi con passione che le donne vanno oltre le regole dominanti, questo modello performante è così indiscusso da lasciarle sole in mezzo al guado, tra la solidarietà con le compagne di strada e la corsa in solitario verso posizioni da conquistare. E allora come interpetrare il “gran rifiuto” di politiche famose e navigate come la Sturgeon e la Ardern?

In tutt’e due i casi le parole chiave sono il riconoscimento (Sturgeon) e il bisogno (Ardern) di essere umane, cioè se stesse; ritrovare le donne che erano prima che il progetto politico, la carriera, avessero il sopravvento. L’umano come ri-definizione e la famiglia come rifugio sicuro?

Gli affetti, la cura (da dare e ricevere) come ricompensa della perdita di potere?

Non sappiamo quale sentimento abbia prevalso in queste premier, aldilà delle versioni ufficiali. Né se questi rimarranno episodi isolati o apriranno nuove strade. Di sicuro però possiamo affermare che qualcosa si è rotto. Non nella capacità delle donne di affermarsi, peraltro oggi che la strada comincia ad essere più praticabile. Piuttosto nel loro rapporto con questo mondo, in cui alle poche che hanno aperto strade sbarrate, vinto battaglie impensabili, oggi capita di fermarsi.

Ci piace pensare che queste leaders abbiano l’opportunità di ritrovare “la ragazza che ero, la riconosco” della poesia della Syzmborska, e si riconcilino con lei. Che possano raccontare che cosa ha significato affrontare tanti slalom su piste nere, con corazze di metallo e senza cuore. Vogliamo sperare che impieghino una parte di questa second life per avvicinarsi alle donne, lavoratrici, studentesse, madri, nuove attiviste, che lottano oggi nelle varie trincee per esistenze più umane domani. Solo in questo modo potrebbero dimostrare di aver capito le richieste che da Padova idealmente Emma Ruzzon lancia a loro, e a tutte noi: un vero e proprio programma politico per un futuro di autorità femminile al governo.

Dalla politica alla sanità. Dove, più che la rinuncia alla vertigine di tetti di cristallo infranti, si vede orami solo una grande fuga (3.000 medici ogni anno, per la metà donne) da posizioni dirigenziali nel SSN che ancora fino a qualche anno fa erano considerate prestigiose e fonte di realizzazione di sé. Un altro chiaro NO a un ruolo da professionista ridotto a numero chiamato a produrre numeri, in un modello organizzativo che il COVID ha apertamente slatentizzato: condizioni di lavoro disumane per tutti, ma a più alto rischio per la salute mentale delle donne, con la definitiva scomparsa della moneta più preziosa in circolazione, cioè il tempo.

Perché chi parla di leadership femminile in sanità non si occupa di corpi e menti da curare, ma di orientare e favorire le scelte di mercato in materia di merci, apparecchiature, farmaci.

E chi ha un ruolo manageriale puro difficilmente è o è stata una curante.

Perché nella sanità pubblica la salute non si compra e non si vende, e più ci si allontana dai pazienti, meno si esercita quella professione unica, scelta per sempre e per passione.

Qualcuno si è accorto, contrariamente al passato, della quasi assenza di interventi femminili su questo giornale per celebrare l’8 marzo? Vorremmo rubricarlo come bisogno di voltare pagina alla retorica di false leadership e falsi meriti come parola d’ordine e specchietto per generazioni condannate a un lavoro degradato e senza speranza.

Ci piace pensare che le donne che lavorano nel SSN abbiano iniziato a trasformare in Voice il bisogno di cambiare linguaggio e prospettiva. Queste donne hanno già esercitato durante il Covid una differente autorevolezza, fatta di cura, empatia e ammortizzazione sociale insieme, per cui, più che richieste eternamente fuori dalle agende politiche, dovrebbero ispirare una riflessione più alta da parte di tutti per il futuro: governanti, media, classe dirigente e mainstream culturale.

La salute pubblica è un affare troppo serio per essere ridotta a slogan sulle proprie vite.

Le donne lo hanno capito: di questi tempi questo sì un merito, non da poco. E non da tutti.

Sandra Morano
Responsabile Sezione Formazione Femminile Anaao Assomed



13 marzo 2023
© Riproduzione riservata


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