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È possibile “rileggere” le posizioni dei medici non vaccinati?

di Luigi Vero Tarca

La risposta è sì. Se questo non accade, è serio il rischio che tutte le attività e le iniziative istituzionali (scientifiche, professionali, politiche, giuridiche, etc.), lungi dal guadagnare forza, finiscano per perdere progressivamente valore e quindi legittimità, e perciò, alla fine, anche efficacia

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L’importante confronto tra Rossana Becarelli e Antonio Panti solleva questioni che meritano di essere approfondite anche a livello filosofico all’interno di un mondo, come quello medico, particolarmente sensibile a contributi di tale natura, come è confermato emblematicamente dal recente libro di Ivan Cavicchi, il cui titolo (“La scienza impareggiabile”) non a caso compare anche nella discussione alla quale ci stiamo riferendo.

La delicata questione affrontata in tale confronto riguarda il trattamento riservato ai medici non vaccinati, giudicato in maniera critica dalla Becarelli e invece ritenuto sostanzialmente corretto da Panti. Dal punto di vista filosofico, piuttosto che entrare nel merito degli argomenti a favore dell’una o dell’altra tesi, è doveroso vedere in che modo anche divergenze di questo tipo possono costituire occasioni preziose per compiere dei progressi in direzione di un orizzonte condiviso.

A prima vista la partita parrebbe già chiusa nel momento in cui viene letta come il contrasto tra una posizione (quella istituzionale che sanziona i medici non vaccinati) dotata di valore pubblico in quanto fornita di un fondamento “etico e scientifico”, e un’altra posizione (quella dei medici non vaccinati) che, essendo considerata “un’idea personale”, risulta mossa in fondo da istanze soggettive se non propriamente egoistiche e per ciò stesso priva di validità pubblica. Ora, un’impostazione di questo genere presuppone che sia risolto il problema del valore sociale delle decisioni istituzionali, e quindi il loro pre-valere (valere di più) rispetto alle convinzioni personali; è dunque proprio sul senso di questa prevalenza che vale la pena di riflettere.

Di solito si dà per scontato che in una società democratica questo problema sia risolto a priori, essendo la democrazia basata sul principio della sovranità popolare. Il punto però è che, proprio perché le idee di tutte le persone hanno valore ‘sovrano’, in democrazia il criterio ultimo di legittimità è dato in fondo dal consenso dei cittadini, e perciò in ultima istanza dal loro accordo, sicché ogni contrasto tra i cittadini circa le decisioni che valgono per tutti (quelle espresse dalle istituzioni) costituisce di per sé un problema.

È vero che anche in democrazia una decisione può essere legittima pure nel caso in cui essa risulti soddisfacente per qualcuno ma insoddisfacente per qualcun altro (cioè nel caso in cui vi sia appunto disaccordo tra i cittadini); questo, però, non fa venir meno il criterio dell’accordo come principio ultimo di legittimità, perché anche la decisione diseguale (‘non equa’, in quanto  non soddisfacente per tutti allo stesso modo) è considerata legittima (cioè valida per tutti) proprio e solo nella misura in cui è il risultato di un sistema istituzionale accettato concordemente da tutti.

Persino in matematica la decisione tra opinioni discordanti (poniamo circa il risultato di una certa operazione) può essere presa in maniera conclusiva solo perché tutti i soggetti, di fronte al risultato del calcolo, accettano la ‘sentenza’ che dà ragione all’uno e torto all’altro, ma ciò accade proprio per il motivo che entrambi sono d’accordo sul ‘gioco’ (il calcolo matematico) mediante il quale quel risultato è stato ottenuto.

Analogamente (e a maggior ragione), a livello politico-istituzionale una legge/decisione approvata a maggioranza di norma accontenterà qualcuno e scontenterà qualcun altro, ma essa risulta legittima nella misura in cui anche gli insoddisfatti sono d’accordo sul fatto che il ‘gioco’ adottato (con le sue procedure) garantisce che il male che in tal modo si produce (cosa inevitabile, in una situazione di disaccordo) costituisca comunque il male minore, cioè un danno inferiore a quello determinato da qualsiasi altra possibile scelta.

Ciò vuol dire che la ‘chiusura’ dei contenziosi operata dalle istituzioni a favore di una posizione e a sfavore di un’altra presenta sempre due aspetti entrambi essenziali: (1) la decisione di merito (l’atto di potere con cui l’istituzione impone un determinato comportamento a tutti, anche a coloro che non sono d’accordo su tale provvedimento o che lo gradiscono solo in parte) e (2) l’elemento che giustifica (rende giusta, e quindi poi legittima), tale pur controversa decisione, e che è costituito dall’accordo di tutti sulla bontà del gioco e delle sue regole. È questo fattore concorde che, determinando l’accettazione sostanziale della decisione da parte di tutti (accettazione di solito implicita e data per scontata), conferisce legittimità al provvedimento e in tal modo genera armonia sociale anche nelle situazioni di contrasto.

Insomma, il valore pubblico di ogni decisione istituzionale si basa sull’accordo unanime circa il valore ‘sostanziale’ del sistema che ha portato a quel provvedimento. La questione decisiva, allora, riguarda appunto tale accordo sostanziale; e si tratta di una questione che trascende essenzialmente tutto ciò che può essere deciso istituzionalmente, perché nessuna decisione interna a qualsiasi gioco – sia esso scientifico o istituzionale (politico, giuridico, professionale etc.) – è in grado di ‘chiudere’ davvero la domanda circa il valore del gioco in quanto tale (e non solo delle sue singole mosse).

In effetti: nessun calcolo matematico è in grado di decidere conclusivamente se sia meglio fare calcoli matematici piuttosto che giochi di altro genere; e, a maggior ragione, nessun atto di potere potrà mai decidere davvero se le decisioni del potere siano giuste o meno (cioè se costituiscano effettivamente il male minore). Sicché in ogni decisione istituzionale è sempre in gioco la legittimità dell’intero sistema istituzionale, nel senso che la coerenza tra le decisioni istituzionali e l’armonia sociale (l’accordo dei cittadini) resta in ogni momento una questione aperta.

Si badi che questo vale sempre, ma mentre nelle situazioni ‘normali’ l’accordo sostanziale può essere dato per scontato, viceversa nelle situazioni di emergenza (quelle eccezionali) il disaccordo su singoli provvedimenti rischia di intaccare lo spazio della convivenza civile, finendo per coinvolgere anche l’accordo sulle regole e per compromettere in tal modo l’armonia sociale.

Nelle situazioni di emergenza, pertanto, il compito etico fondamentale diventa quello di aprire uno spazio che sia a sua volta eccezionale, nel senso che deve essere capace di dare una risposta soddisfacente alla questione ‘straordinaria’ che si è aperta, quella cioè che mette in dubbio proprio la convinzione che le conseguenze sociali della decisione presa costituiscano il male minore.

Ed è chiaro che tale questione ‘eccezionale’ può essere risolta davvero solo attraverso un’opera di armonizzazione sociale (capace di soddisfare tutti i soggetti in campo) invece che mediante un nuovo atto istituzionale controverso (cioè un atto di potere). Nella misura in cui questo spazio armonizzante non viene aperto e praticato, ritenere senz’altro chiusa la questione solo perché è stata presa una decisione a livello istituzionale equivale a infliggere alla vita sociale un vulnus, il quale poi, come tutte le ferite, richiede di essere curato e guarito.

Alla luce di tutto questo – e ritornando, in conclusione, alla nostra questione iniziale – il dovere comune, ovvero etico, appare oggi quello di elaborare un orizzonte interpretativo nuovo, capace di valorizzare tutte le posizioni in gioco in maniera giusta, cioè purificando ciascuna di esse dagli aspetti negativi in quanto contrappositivi.

Nel nostro caso questo richiede, tra l’altro, anche la capacità di rileggere le posizioni dei medici non vaccinati, e quindi poi le questioni sollevate a questo proposito dalla dottoressa Becarelli, valorizzandone quegli aspetti che, lungi dal costituire istanze meramente soggettive ed egoistiche, costituiscono una preziosa occasione per tenere aperta la delicatissima questione del valore sostanziale delle difficili decisioni che in un’epoca come questa le istituzioni sono chiamate a prendere, cioè della loro capacità di ridare armonia e salute al corpo sociale (e in particolare al mondo medico) piuttosto che intensificarne il conflitto interno e quindi la sofferenza.

Se questo non accade, è serio il rischio che tutte le attività e le iniziative istituzionali (scientifiche, professionali, politiche, giuridiche, etc.), lungi dal guadagnare forza, finiscano per perdere progressivamente valore e quindi legittimità, e perciò, alla fine, anche efficacia.

Richiamando, insomma, il fortunato titolo di Cavicchi, si potrebbe dire che la drammatica situazione attuale richiede l’apertura di un confronto rinnovato che sia davvero all’altezza di un sapere “impareggiabile”.

Luigi Vero Tarca

Docente onorario di Filosofia, Università Ca' Foscari, Venezia

 



25 luglio 2022
© Riproduzione riservata


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