Le Facoltà di Medicina assenti sul Pnrr? Ecco come entrarci con proposte e obiettivi di rilancio
di Maria Triassi
Colgo gli stimoli offerti da Claudio Maria Maffei, qui su QS, per proporre un ragionamento più vasto sullo stato delle Facoltà di Medicina in Italia e soprattutto sul ruolo dei Policlinici universitari oggi schiacciati tra due status (a gestione diretta o mista) che hanno generato entrambi diversi problemi. Una ricetta per il futuro potrebbe essere il "Campus di insegnamento" ma servono per l'appunto investimenti
09 MAR - "
Facoltà mediche se ci siete battete un colpo": così il titolo dell'articolo di Claudio Maria Maffei pubblicato su
Quotidiano Sanità il 25 febbraio scorso in cui l'autore avverte che se le Facoltà mediche non saranno capaci di evolvere nella loro capacità di accompagnare il Pnrr e le trasformazioni culturali e organizzative che comporterà forse il loro ruolo in rapporto col Ssn andrà ripensato auspicando che sia velocemente corretto.
Le Scuole di Medicina sono in effetti attualmente sospese tra i fasti del passato, le difficoltà del presente e le incertezze del futuro.
Le Facoltà di Medicina un tempo finanziate interamente dagli Atenei, a partire dagli anni Ottanta sono state sottoposte alla compartecipazione con le Regioni. Attraverso i Protocolli di Intesa è pattuita la quota di finanziamento che la Regione fornisce per garantire le spese dell'assistenza sanitaria erogate dai Policlinici. Da questa gestione sono scaturiti i primi problemi. Ricordo alcune sedute di Consiglio Facoltà in cui gli allora Presidi minacciavano la serrata assistenziale se la Regione non avesse adeguato le risorse e gli emolumenti.
La vera trasformazione è avvenuta con il passaggio alle Aziende ospedaliero-universitarie che prevedeva due soluzioni: la gestione diretta e la gestione mista.
La gestione diretta, scelta da pochi Policlinici in Italia (Udine, Napoli Federico II e Napoli Vanvitelli, Catania, Palermo, inizialmente Roma Sapienza poi tramutata in Azienda mista), l’Azienda non prevede la componente ospedaliera se non in maniera occasionale e sporadica, anche per i primariati.
L’Azienda mista invece, presenta come caratteristica una forte componente ospedaliera con la convivenza di primariati ospedalieri e universitari spesso sulle stesse discipline.
Nel tempo entrambe le soluzioni hanno generato diversi problemi. Nel caso della gestione diretta le Regioni hanno investito poco sui Policlinici Universitari, non avendone direttamente il controllo, sostenendoli economicamente in maniera insufficiente e stabilendo tetti di spesa del personale penalizzanti rispetto alle altre Aziende ospedaliere.
Nel caso della gestione mista, a fronte di un maggiore investimento e responsabilizzazione delle Regioni, in molte realtà gli universitari sono stati relegati in ruoli assistenziali marginali, non mantenendo il giusto e necessario equilibrio fra didattica e assistenza necessario per una corretta formazione.
Sicuramente un ruolo l’ha anche giocato il sistema valutativo universitario. Infatti, nei concorsi per le progressioni di carriera si dà più importanza agli indici bibliometrici e quindi alla produzione scientifica che non alla eccellenza assistenziale (al massimo valutata per il 15% del punteggio).
Quindi vi è un incoraggiamento a concentrare le energie sugli aspetti scientifici rispetto a quelli assistenziali determinando uno squilibrio in quello che è il necessario equilibrio formativo portando ad un overbooking nozionistico a scapito della parte pratica assistenziale che gioca invece un ruolo cardine nella formazione di un medico.
A ciò si è aggiunto il velocissimo scenario di cambiamento che si profila nella organizzazione del Servizio sanitario nazionale con il nuovo Pnrr con lo sguardo rivolto alla medicina territoriale per la cronicità e ospedale per l’emergenza e alta specialità.
In tutto questo scenario non dimenticato è il ruolo sempre più consistente della Sanità privata. Nei fatti l’attrattività di professionisti cresce a dismisura a causa delle problematiche che affliggono il settore pubblico: carenze di organico, mancanza di incentivazione per i lavori a rischio (pronto soccorso, chirurgia, anestesia) remunerazioni assai sottostimate rispetto agli altri paesi europei.
Quale futuro si configura dunque per la Sanità Universitaria? Una corrente di pensiero corroborata da qualche sindacato presenta lo scorporo delle Scuole di Medicina dagli Atenei con “l’affidamento” della formazione ai cosiddetti “Ospedali di Insegnamento”. Nei fatti una visione della formazione che in sostanza diviene un “apprendistato”, un “upgrade” delle vecchie scuole di “avviamento professionale”.
La formazione modello “apprendistato”, della quale stiamo vedendo una parziale anticipazione nell’attuale organizzazione delle Scuole di specializzazione, con i provvedimenti adottati in corso di Pandemia, è accettabile in una fase emergenziale. A regime non è una soluzione che potrà produrre una formazione “completa” che richiede un “Campus” ben identificato in cui lo studente assorba il necessario bagaglio teorico contestualmente all’apprendimento pratico.
Un secondo modello vede la trasformazione delle Scuole di Medicina, con annessi Policlinici, in realtà prevalentemente scientifiche e tecnologiche. Questo modello comporta una forte riduzione della componente assistenziale a poche realtà di eccellenza, modello IRCCS, con lo spostamento della maggior parte delle attività pratiche basilari, necessarie alla formazione dei professionisti, in convenzione con le strutture del Ssn. L’effetto finale sarebbe una polverizzazione dell’offerta formativa. Sono invece convinta che nessuna delle due soluzioni è quella vincente.
Se vogliamo perseguire la qualità della formazione medica e dei professionisti sanitari non si può prescindere dal rilancio del ruolo dei Policlinici Universitari come avamposto dell’eccellenza assistenziale, didattica e di ricerca. A tale scopo è necessaria che una riforma della selezione dei docenti di area medica, che deve puntare alla valutazione in maniera paritetica delle 3 componenti che caratterizzano in maniera esclusiva il docente dell’area medica e cioè (assistenziale, (33%), didattica (33%) e ricerca (33%).
Il rilancio deve prevedere la valorizzazione del “Campus” formativo, che vede la convivenza collaborativa e non la contrapposizione tra eccellenze ospedaliere ed universitarie e che può essere arricchita con una rete di collaborazioni con le realtà ospedaliere e territoriali. Infatti, una formazione medica solida non può prescindere da un nucleo centrale forte di grande qualità assistenziale, didattica e di ricerca.
Il “Campus” è il necessario collante tra teoria e pratica, tra sapere e fare e che forma un buon professionista. Ecco perché è necessario un forte investimento sulle Scuole di Medicina con annessi Policlinici Universitari da parte del Miur e delle Regioni: come può funzionare un “Campus formativo” se si combatte quotidianamente con la mancanza di personale necessario per effettuare il tutoraggio degli studenti, con il degrado degli spazi, con la non adeguatezza dei posti letto dei reparti rispetto ai quali ogni supporto solamente didattico non può far fronte alla sostenibilità di Corsi di Laurea e Scuole di Specializzazione?
La formazione ed in particolare quella dei medici e dei professionisti della Sanità è un investimento e sugli investimenti non si può e non si deve sprecare, non si può neanche lesinare, come è stato evidenziato dall’emergenza Pandemia. La formazione costa, ma è un costo che ritorna in termini di salute della popolazione.
Prof.ssa Maria Triassi
Professore Ordinario Igiene
Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia, Università Federico II di Napoli
Direttore Dai di Sanità Pubblica, Farmacoutilizzazione e Dermatologia A.O.U. Federico II
Vice-Direttore C.I.R.M.I.S.
Direttore U.R.D. Igiene, Medicina Preventiva e Statistica Sanitaria
09 marzo 2022
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