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Bonus psicologico un regalo ai privati? Non diciamo sciocchezze

di Mario Sellini

Basti pensare che le risorse pubbliche che annualmente sono destinate alla tutela della salute mentale ammontano ad oltre 3,1 miliardi di euro. Di questi, circa il 50% è destinato al privato, sulla base del sacrosanto principio della sussidiarietà, senza il quale il sistema assistenziale non reggerebbe. Questa condizione fa apparire assolutamente strumentale la demonizzazione per i 10 milioni stanziati per il bonus psicologico

28 FEB - La definitiva approvazione del Decreto ‘Milleproroghe’ finanzia e rende esigibile il cd “Bonus psicologico” ai cittadini in possesso dei necessari requisiti reddituali. Una proposta nata e presentata in Parlamento nel corso della discussione e approvazione della legge di stabilità 2022. L’emendamento, ancorché condiviso da tutti i gruppi parlamentari, non trovò le necessarie coperture finanziarie.
 
Una spontanea iniziativa popolare ha raccolto in poche settimane oltre 300.000 firme di cittadini i quali, a gran voce hanno chiesto il finanziamento. Nella storia delle petizioni popolari è tra quelle che hanno ottenuto il maggior numero di adesioni al punto di meritare la trasformazione in un disegno di legge d’iniziativa popolare.
 
Questo dato, da solo, dovrebbe far riflettere. Ha sicuramente fatto riflettere la politica, nazionale e regionale, che ha accolto, immediatamente, questa richiesta. Dovrebbe far riflettere tutti i soggetti che hanno a che fare con un tema di salute così delicato. Dovrebbe far riflette molto di più chi continua ad avere una posizione critica nei confronti del cd bonus psicologico.
 
Che il bonus psicologico non sia la soluzione definitiva per risolvere il problema della sofferenza, del dolore e del disagio psicologico, lo hanno ribadito e sottolineato in molti, a partire dai parlamentari che hanno presentato ed approvato l’articolo di legge. Lo ha confermato il Ministro Speranza. Lo stesso Presidente del Consiglio Draghi lo ha ribadito in una conferenza stampa.
 
Tutti concordi sulla necessità di dover fare molto di più. Tutti d’accordo sul ruolo, assolutamente preminente che deve svolgere in questo campo il servizio pubblico e sul ruolo di supporto sussidiario del privato. D’altro canto non sono certamente i 10 milioni di euro destinati agli psicologi specialisti privati a spostare verso il privato l’assistenza sanitaria nel campo della salute mentale.
 
Basti pensare che le risorse pubbliche che annualmente sono destinate alla tutela della salute mentale ammontano ad oltre 3,1 miliardi di euro. Di questi, circa il 50% è destinato al privato, sulla base del sacrosanto principio della sussidiarietà, senza il quale il sistema assistenziale non reggerebbe. Questo ci consente di affermare che già oggi, l’attività dei DSM è, tra tutte le attività del Servizio sanitario, quella a maggior tasso di privatizzazione. Possiamo dire che almeno il 50% dei bilanci dei singoli DSM sono annualmente destinati al privato.
 
Questa condizione fa apparire assolutamente strumentale la demonizzazione per i 10 milioni stanziati per il bonus psicologico.
 
1.500 milioni di euro v/s 10 milioni
Ancora non ci è chiaro se tra i due termini utilizzati: il sostantivo “bonus” e l’aggettivo “psicologico”, crei più problemi il primo (bonus) o il secondo (psicologico).
 
E via ai distinguo: …si poteva fare di più…fare meglio…fare diversamente.
Conferenza di capi DSM, associazioni e società di psichiatri, pur riconoscendo l’opportunità di un intervento, sembrano contestarne la finalizzazione con il risultato di creare una gran confusione tra interventi psicologici, interventi psichiatrici e neuropsichiatrici infantili e interventi nell’ambito della salute mentale.
 
Si tratta di ambiti e settori di tutela della salute che esplicano compiti e funzioni in ambiti contigui, ma anche molto diversi e distinti tra loro e proprio per questo non fungibili. La collaborazione ed il lavoro interdisciplinare è un caposaldo dell’assistenza sanitaria al quale tutti dobbiamo far riferimento.
 
Che nell’ambito delle attività dei servizi di psichiatria (così sono stati riformulati e rinominati i ‘servizi di salute mentale’/’centri di salute mentale’) ci possano e debbano essere previsti gli psicologi, è assolutamente condivisibile. Che gli psicologi debbano essere presenti nei servizi di neuropsichiatria infantile è altrettanto vero, come è vero che hanno un ruolo nel DSM. D’altro canto siamo assolutamente d’accordo sulla necessità di adeguare le dotazioni organiche dei DSM. Ma vorremmo comprendere il motivo per cui i centri di salute mentale oggi devono essere denominati ‘servizi territoriali di psichiatria’. Ma questa forse è un’altra storia.
 
La salute mentale/psichiatria è solo uno dei numerosissimi ambiti di intervento della psicologia nel campo della salute.
Oltre lo specifico ambito della salute mentale/psichiatria, nel quale gli psicologi hanno certamente una funzione da svolgere, ce ne sono tanti altri che nulla hanno a che vedere con la salute mentale/psichiatria e con i DSM. A mo’ di esempio: l’assistenza distrettuale, attività domiciliare, l’attività ospedaliera, pronto soccorso, day surgery e day hospital, trapianti, cure palliative, oncologia, riabilitazione e lungodegenza post acuzie, organizzazione (protocollo INAIL CNOP), consultori familiari, minori ed adulti con patologie fisiche croniche, terapia del dolore ecc.
 
È a tutti evidente, lo dicono le evidenze scientifiche, che gli interventi psicologici in questi ambiti non hanno nulla a che vedere con gli interventi psichiatrici/salute mentale. A meno che non vogliamo considerare paziente e utente del DSM e dei servizi psichiatrici territoriali ogni cittadino che temporaneamente vive una situazione di disagio, sofferenza o dolore psicologico. Se così fosse avremmo psichiatrizzato l’intera utenza del Servizio Sanitario. Non siamo noi psicologi a non volere ciò.
 
Sono i cittadini che non vogliono essere etichettati e ‘stigmatizzati’
La pandemia ha reso ancor più evidente ciò che noi psicologi da tempo sottolineavamo. Ma soprattutto è diventato non più rinviabile per i cittadini i quali, anche a causa della pandemia, hanno toccato con mano cosa possa significare la sofferenza ed il dolore psicologico. Etichettare come pazienti psichiatrici e utenti del DSM cittadini che vivono un temporaneo malessere psicologico costituisce un drammatico errore sul piano epidemiologico, ma anche sul piano comunicativo, perché accentua il fenomeno, già largamente diffuso, della povertà sanitaria e allontanamento dalle cure. Al cittadino che vive una situazione di dolore psicologico, non gli si può dire: “devi andare in psichiatria”, “devi andare in un servizio di psichiatria, prima che uno psicologo ti prenda in carico ti devi far etichettare come paziente psichiatrico”.
 
Obbligare questi cittadini significa in realtà spingerli verso le cure private ed è ciò che oggi accade: chi vuole una cura psicologica può rivolgersi solo al privato e solo se ha le risorse economiche necessarie. E può andare solo dal privato, non solo perché nel pubblico ci sono pochi psicologi, ma soprattutto perché per arrivare da uno psicologo deve farsi etichettare come tossicodipendente/paziente psichiatrico/neuropsichiatrico ecc. Se il cittadino non viene prima ‘etichettato’ non trova possibilità di ascolto.
 
Nel corso degli ultimi anni ci si è resi conto che l’organizzazione per silos non garantisce i cittadini. Che è assolutamente indispensabile implementare un modello trasversale di organizzazione della psicologia nella sanità pubblica, fondato sulla interdisciplinarietà e multiprofessionalità, trasversalità che garantisce anche la necessaria flessibilità nell’utilizzo e collocazione delle risorse umane e professionali psicologiche disponibili in Azienda, sulla base dei reali bisogni strutturali ed emergenti nei territori. L’art. 20 bis della legge n.176/20 recepisce la necessità di passare da una organizzazione rigida (strutture/silos) ad una funzionale, trasversale e flessibile.
 
Non sono mancate prese di posizione che vanno anche al di là del giudizio sul bonus psicologico. Addirittura c’è chi ha chiesto di rivedere l’iniziativa parlamentare di istituzione dello psicologo di cure primarie, dimenticando, forse, che la Corte Costituzionale, sulla base di un sostanzioso corpus normativo ha confermato la bontà e legittimità di tale iniziativa legislativa.
 
La Società Italiana di Psichiatria ha addirittura contestato la funzione e l’utilità dello psicologo delle cure primarie, considerando inutile un intervento di cure primarie…tanto c’è il DSM/Psichiatria. Eppure stiamo parlando di livelli distinti di intervento fondamento di qualsiasi politica sanitaria che distingue gli interventi di primo e di secondo livello. Forse può aiutare un banale esempio: un cittadino che per un certo periodo di tempo non riesce a dormire di notte, non accede direttamente ad una struttura sanitaria di secondo livello. Non arriva direttamente ad un reparto di neurologia/neurochirurgia, tantomeno ad un servizio di psichiatria. Come una donna in gravidanza trova ascolto, consulenza ed intervento psicologico nel Consultorio familiare, non certamente nel servizio di psichiatria o nel DSM.
 
A tal proposito la Magistratura Amministrativa ha molto ben definito il ruolo della psicologia e la figura dello psicologo nell’ambito della tutela della salute: “Si tratta di una figura professionale chiamata a dare risposta alle sempre più pressanti istanze di cura provenienti dal contesto sociale, contrassegnato dal costante e continuo incremento dei fenomeni di disagio (dai disturbi nei comportamenti alimentari, alla ludopatia, ai fenomeni di disagio giovanile, fino ai più recenti episodi di disagio, individuale, familiare e sociale, legati all’emergenza pandemica), istanze che hanno contribuito a mettere in risalto una nuova dimensione del diritto alla salute, quello della salute mentale, che non può essere declinata riduttivamente nel senso della mera assenza di patologia psichiatrica, ma che impone di considerare il sostrato immateriale dell’essere umano e la sua capacità di relazionarsi con i propri simili. Si tratta di aspetti dell’individuo che, per la loro delicatezza e complessità, non possono che essere affidati alle cure di una figura professionale specializzata.”
 
Anche se è del tutto evidente che gli interventi psicologici devono, sempre, essere contemplati in un processo di integrazione interdisciplinare e multiprofessionale che può comprendere, in alcuni casi, certamente gli psichiatri, ma che deve prevedere una integrazione con tante altre discipline mediche (pediatri, ginecologi, oncologi, cardiologi, chirurghi, neurologi, neuropsichiatri infantili, medici delle cure primarie ecc.) e con tutte le altre figure professionali presenti a partire dagli infermieri.
 
Se a qualcuno poi dovesse sorgere qualche dubbio sulla reale, concreta ed esclusiva autonomia delle attività professionali di cui si sta parlando, forse è il caso di ricordare quanto fissato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 412/1995.
 
Al punto 4 del Considerato in diritto: “Disciplinando per la prima volta l’ordinamento della professione di psicologo, il legislatore ha ritenuto di riservare l’esercizio di tale professione – caratterizzata dall’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi e le attività di abilitazione – riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico – ai laureati in questa disciplina, dopo un tirocinio pratico, abbiano superato l’esame di stato e siano iscritti all’apposito albo professionale. La stessa legge disciplina, oltre alle attività proprie dello psicologo, anche l’esercizio dell’attività psicoterapeutica, che non si limita allo studio della condotta, ma provvede al trattamento ed alla cura non farmacologica dei disturbi e richiede una specifica ed ulteriore formazione.”
 
Mario Sellini
Presidente Form-AUPI(Associazione Unitaria Psicologi Italiani)

28 febbraio 2022
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