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24 NOVEMBRE 2024
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Per clinici e manager è ora di pensare anche ai pazienti no-Covid. Le riflessioni nel primo SaniTalk dell’anno

di Lucia Conti

Con la quarta ondata di Covid, gli ospedali sono tornati ad essere sotto pressione. Omicron si mostra una variante meno aggressiva, ma molto più contagiosa. Gli ospedali sono sotto pressione e ricominciano a crescere le liste d’attesa dei pazienti no-Covid. Clinici e manager si chiedono se non sia sia arrivato il momento di un nuovo modello organizzativo che permetta di fare fronte non sono al Covid, ma anche a quelle patologie messe in secondo piano già da due anni. Nel SaniTalk se ne è parlato con Mastrobuono (AO Cosenza), Manfellotto (Fadoi), Vianello (Card Veneto), Finzi (Anmdo), Cavanna (Cipomo) e Petralia (Fiaso).

31 GEN - Con la quarta ondata e l'arrivo della variante Omicron, la pandemia da Covid è tornata a mettere sotto pressione gli ospedali in tutta Italia, dove i sanitari sono già stremati da due anni di emergenza. Se da una parte gli ospedali tornano a riempirsi, dall’altra le malattie no-Covid tornano ad essere messe da parte, non senza conseguenze. Ormai oltre alla pandemia fa infatti paura quella che il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, qualche giorno fa ha chiamato “la seconda pandemia”, che "durerà più anni del Covid”. Il riferimento è a tutte quelle malattie non diagnosticate per screening mancati, alle visite rimandate, agli interventi chirurgici sospesi, che nei prossimi anni di trasformeranno in persone malate, anche in forma grave. Per questo clinici e manager si chiedono oggi se non sia giunto il tempo di pensare a nuovi modelli organizzativi che permettano di dare risposte non sono al Covid, ma anche alle patologie lasciate in secondo piano già da due anni.
 
A confrontarsi, nel corso della prima puntata del SaniTalk (appuntamento mensile del videoportale SaniTask realizzato da Sics Editore con il supporto di Alfasigma) intitolato “Se la pandemia corre, l’assistenza rallenta”, sono stati Isabella Mastrobuono, Commissario straordinario dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza, Federsanità Anci Calabria; Dario Manfellotto, Presidente Fadoi, Federazione dei medici internisti ospedalieri; Stefano Vianello, Presidente Card Veneto, confederazione Associazioni Regionali di Distretto; Luigi Cavanna, presidente Cipomo, Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri; Paolo Petralia, Direttore generale ASL 4 Chiavarese e vicepresidente vicario Fiaso, Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere e Gianfranco Finzi, Presidente Anmdo, Associazione medici di Direzione Ospedaliera

 

Il dibattito è stato introdotto dalla descrizione dell’attuale situazione negli ospedali fornita da Dario Manfellotto. “Nel 2020, in area medica, abbiamo avuto circa 600mila ricoveri in meno di pazienti cronici riacutizzati rispetto al 2019. Nel 2021 eravamo riusciti a recuperare il gap, ma la quarta ondata di Covid ha rimesso tutto in discussione”, ha spiegato il presidente Fadoi. Infatti, se la variante Omicron colpisce nella stragrande maggioranza dei casi in forma meno severa, grazie anche ai vaccini, è altrettanto vero che l’alta contagiosità si traduce in un numero comunque molto importante di ricoveri, che nelle ultime settimane hanno riguardato più l’area medica che non le terapie intensive (in area medica è ricoverato il 70% circa degli attuali pazienti positivi).

Inoltre, ha riferito il presidente della Fadoi, c’è un 20% circa di pazienti positivi che sono “ricoverati ‘con Covid’ ma non ‘per Covid’”, in pratica circa 4.000 dei quasi 20mila ricoverati Covid. I ricoverati “con Covid ma non per Covid” sono quei pazienti che si recano in ospedale per altre ragioni ma che, al momento del ricovero, scoprono di essere positivi al coronavirus. Il fatto che un gran numero di positivi sia asintomatico è senza dubbio una buona notizia, ma ha reso l’organizzazione in ospedale ancora più difficili, come dimostrano i dati Fadoi che dicono che in questa nuova ondata il 57% degli ospedali ha “grandi difficoltà” a isolare nei reparti i pazienti positivi asintomatici e il 29% non ci riesce affatto. Questo si traduce in un aumento del rischio contagio tra pazienti e operatori o nella decisione di dimettere il paziente positivo asintomatico rimandando, ancora una volta, gli esami e gli interventi non urgenti.

 “Non è facile prendere le decisioni in un contesto così complesso”, ha commentato Luigi Cavanna, secondo il quale, tuttavia, in due anni di pandemia, sarebbe stato opportuno trovare risposte “più pragmatiche”, imparando a prevedere e gestire le ondate di Covid e, al contempo, a garantire le altre attività sanitarie. “I malati cronici - ha detto Cavanna - e in particolare quelli oncologici, hanno pagato un prezzo molto elevato in questi due anni di emergenza. Il tumore, ricordiamolo, è una malattia tempo-dipendente in cui se si ritarda la diagnosi, si ritarda la cura e, di conseguenza, si abbassano le possibilità di guarigione, perché nel frattempo il tumore è progredisce”.

"È un dato drammatico”, ha detto il presidente del Cipomo spiegando il grave impatto che i “2milioni e 500 mila screening in meno e l’elevatissimo numero di interventi chirurgici mancati” avranno sulla salute dei cittadini e, quindi, sulla tenuta del Servizio sanitario nazionale. Senza dimenticare i possibili risvolti sociali ed economici che un aumento esponenziale di malati potrebbe avere sul sistema Paese.

La proposta della Fiaso per far fronte a questa situazione, illustrata da Paolo Petralia, è quella di “riprogrammare l’idea dell’assistenza creando non solo reparti Covid e no-Covid, ma realizzando una terza tipologia d strutture polispecialistiche in cui sia garantita l’assistenza specialistica ai pazienti con infezione da Sars-Cov-2. Occorre pensare a reparti Covid per il cardiotoracico, per la chirurgia multispecialistica, per l’ostetricia e le patologie gastrointestinali”. Petrella ha spiegato che “negli ospedali dove questo modello è stato sperimentato, si è dimostrato che può funzionare. Non è la panacea ma è la migliore risposta organizzativa possibile al problema".

Una seconda idea arriva dalla Fadoi, che propone di "creare, nei vari reparti ospedalieri delle diverse specialità, degli spazi riservati a pazienti positivi asintomatici, come delle ‘bolle’. In queste bolle sarebbe possibile isolare i pazienti contagiati e garantirgli, al contempo, di esser assistiti per il vero motivo per cui si erano recati in ospedale”.

Isabella Mastrobuono ha voluto raccontare il grande sforzo compiuto dall’Ao di Cosenza per far fronte alla pandemia e per dare risposte alle “malattie dimenticate”. “ Abbiamo cercato di guardare al futuro in maniera estremamente pragmatica”, ha spiegato il commissario dell’Ao, che ha parlato, in particolare, della riattivazione di una struttura, “ferma da 11 anni, che diventerà il polo oncoematologico della Città di Cosenza, dotato delle più moderne apparecchiature che arriveranno con il Pnrr e in cui saranno concentrate le attività oncologiche ed ematologiche allo scopo di orientare la domanda verso una realtà che sappia fornire la migliore risposta”.

Per Mastrobuono occorrerà poi avviare una riflessione sull’area dell'emergenza urgenza, perché “stanziare 90 milioni di premialità per chi lavora in Pronto soccorso non basta a risolvere i problemi e le carenze del settore”. Resta, inoltre, “la questione della Medicina interna” , fronte sul quale “si giocherà la grande partita della riorganizzazione del territorio, con gli ospedali di comunità, le case di comunità e anche la revisione dei rapporti con il privato accreditato”, perché “i pazienti saranno troppi per accedere negli ospedale e dovranno trovare risposte sul territorio”. Aspetto, quello dello spostamento sul territorio di alcuni servizi legati a cronicità e specialità, in particolare oncologici, che ha visto concordi gli altri ospiti di Sanitask.

A proposito di territorio, il presidente della Card Veneto, Stefano Vianello, ha evidenziato il ruolo strategico del “fare rete”. “In Veneto - ha raccontato - abbiamo realizzato, in questi anni, un grande lavoro di rete territoriale con i Dipartimenti di prevenzione, i distretti e i medici di medicina generale. Tutto questo andrà potenziato per far fronte alla forte domanda di salute attesa in futuro per le cronicità”.

In questo contesto, secondo il rappresentante della Card, la sinergia con il medici di medicina generale e il team sarà “fondamentale”, perché “il medico di medicina generale non può pensare di continuare a lavorare da solo e da solo farsi carico delle cronicità e dei percorsi diagnostico terapeutici”. Ci sarà, quindi, un gran salto da compiere, perché, ha evidenziato Vianello, “oggi circa la metà dei medici di medicina generale in Veneto lavora da solo, senza un collaboratore di studio o un infermiere”.

Senza dimenticare, ha fatto eco Gianfranco Finzi, Presidente Anmdo, "quanto sia determinante il fattore Tempo". "Nonostante tutti gli allarmi ricevuti siamo rimasti comunque sorpresi (e colpiti) dalla variante Omicron. Credo che a un certo punto si sia registrato, come dire, n certo rilassamento. Ma in ogni caso non è stato pianificato cosa sarebbe potuto succedere dopo la terza ondata".

Paolo Petralia ha voluto evidenziare come questi due anni di pandemia abbiano rappresentato anche un primo passo verso quelli che sono poi diventati gli obiettivi del Prnn. “La pandemia ci ha insegnato a gestire in modo più efficiente ed efficace il nostro Ssn. Lo abbiamo fatto anzitutto imparando a fare delle cose che facevano parte del nostro patrimonio ma che avevamo accantonato, come la telemedicina”.

Soprattutto, ha osservato il vicepresidente vicario della Fiaso, “abbiamo imparato a lavorare e decidere insieme, ad essere trasversali, flessibili e tempestivi. Abbiamo capito che da soli non si va da nessuna parte e che il management, che vuol dire gestione e responsabilità, non è qualcosa che appartiene solo ai direttori generali, ma che investe anche gli operatori nei confronti dei proprio pazienti, i colleghi reciprocamente, i diversi livelli istituzionali e anche i cittadini”.

Lucia Conti

31 gennaio 2022
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