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Da Onda un libro sulle malattie e le problematiche del mondo femminile


25 NOV - Mettere al centro le differenze di genere. Questo l’obiettivo del volume La salute della donna. Un approccio di genere, edito da Franco Angeli e curato da Flavia Franconi, e che vede la collaborazione tra Onda e Farmindustria. Questo anche uno degli obiettivi della medicina del Terzo Millennio è infatti la cura personalizzata, che necessariamente deve considerare le categorie di pazienti, prima di arrivare alla singola persona. Dal 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità chiede che l’integrazione delle considerazioni di genere nelle politiche sanitarie diventi pratica standard in tutti i suoi programmi. Oggi la medicina di genere si trova in una fase che vede impegnate molte aziende farmaceutiche in un percorso virtuoso di sviluppo di medicinali ‘ad hoc’ per l’universo femminile. “Le donne – spiega Francesca Merzagora, presidente dell’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (O.N.Da) – vivono più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più ed hanno un maggior numero di anni di vita in cattiva salute. Nel nostro Paese la disabilità femminile è circa doppia in confronto a quella maschile; la prevalenza di patologie psichiatriche, ad esempio, nelle donne è del 7,4% e del 3,1% negli uomini, oppure l’osteoporosi del 9,2% e 1,1% nelle donne e negli uomini, rispettivamente. Questi semplici dati sottolineano la necessità di una maggiore attenzione al genere, da non confondere con il sesso, sia per quanto riguarda la ricerca medica, sia per quanto riguarda le logiche di intervento”. E non solo per la salute.

Ecco una sintesi dei principali dati raccolti nel volume La salute della donna. Un approccio di genere


Il mondo del lavoro e la salute delle donne
L'Italia fanalino di coda dell'Europa in fatto di pari opportunità: secondo il Global Gender Gap Report del 2009, lo studio del World Economic Forum sulle diversità tra uomini e donne sul lavoro, l'Italia occupa solo il 72° posto (67° nel 2008) nel mondo, con stipendi per le donne inferiori a quelli degli uomini e pochi ruoli di potere. Mettendo a confronto i dati europei con quelli riguardanti la situazione italiana elaborati dal CENSIS sui dati forniti dall’ISTAT, si registrano però segnali di crescita della componente femminile nei diversi contesti sociali, ma associati a dati contraddittori che evidenziano situazioni di esclusione sociale e lavorativa a scapito delle donne, soprattutto dall’ambito della rappresentanza politica e del governo economico, oltre che dalle aree a forte connotazione tecnologica (ISTAT, 2007). Elementi positivi si registrano soltanto in alcuni settori: la presenza di donne è in continuo aumento nelle professioni intellettuali, in particolare tra i medici, in magistratura, nella pubblica amministrazione, nei servizi di ricerca e sviluppo, nelle attività immobiliari e nei servizi alle imprese.
Uno dei fattori che risulta avere la maggiore incidenza sulle differenze tra generi, è ancora il ruolo di cura svolto dalle donne all'interno della famiglia. La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro in Italia è dovuta principalmente a fattori quali la scarsa disponibilità di asili nido, di strutture di supporto alle famiglie, l’insufficienza delle detrazioni fiscali a favore delle coppie multi-reddito, ma anche e soprattutto alle aspettative di occupazione e di retribuzione troppo penalizzanti. Le donne infatti continuano a svolgere il cosiddetto “doppio lavoro” in casa e in ufficio/azienda. In Italia il fenomeno è rilevante: 5 ore e 20 minuti al giorno (rispetto all'ora e 35 minuti dell'uomo) sono mediamente dedicate a questioni domestiche o familiari. Sebbene lo scarto si riduca a livello europeo (4 ore e 29 minuti le donne, e 2 ore e 18 minuti gli uomini), il risultato è che le donne che riescono ad accedere ai vertici aziendali pagano un prezzo molto elevato: solo l'11% ha figli contro il 53% degli uomini: lavorano circa tre volte più degli uomini a casa e la metà rispetto a loro nel mercato.
Le donne europee guadagnano in media il 15% in meno degli uomini (si va dal 3% delle impiegate pubbliche al 30% tra i manager): quelle italiane (EURISPES, 2009) il 16% in meno rispetto ai colleghi. Inoltre la cosiddetta leadership femminile vale un misero 4% e ci posiziona in coda alla classifica europea, staccati anche da Bulgaria e Romania (12% ciascuna). Eppure, le top manager sono poche, ma brave: le imprese a guida femminile hanno performance gestionali e finanziarie superiori alle medie di settore.
Le problematiche legate alle differenze tra uomini e donne vengono nei fatti ignorate dalle politiche, dalle strategie e dagli interventi relativi all’applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ma spesso anche dalla ricerca. Parlando di determinati di salute, ad esempio, vale la pena ricordare che i cosiddetti stressor psicosociali sono potenti attivatori del sistema dello stress e che le capacità riproduttive possono esserne fortemente influenzate. E’ dimostrato che le donne gestiscono in modo diverso dagli uomini l’asse dello stress (ipotalamo-ipofisi-surrene) e che, quindi, reagiscono diversamente agli stressor di qualsiasi natura essi siano: fisici, chimici e psichici.
È quindi fondamentale che le attività relative alla salute e sicurezza sul lavoro siano correlate agli interventi volti alla realizzazione dell'equità di genere sul lavoro, e che vengano valutati gli impatti sulla salute in ottica di genere di tutte le iniziative e politiche.

Malattie cardiovascolari: prevenzione e approccio di genere
Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte negli uomini e nelle donne dei paesi più industrializzati. Negli ultimi anni è divenuto evidente che esistono differenze nell’incidenza delle malattie cardiovascolari tra i due sessi. Infatti, mentre negli uomini gli eventi cardiovascolari iniziano a manifestarsi già dalla quarta decade di vita, nelle donne tale incidenza è bassa prima della menopausa ma aumenta dopo i 60 anni.
Dopo i 50 anni le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari rappresentano la causa principale di mortalità e disabilità nelle donne e la loro incidenza è maggiore di tutte le altre cause di morte messe insieme. Nella donna infatti lo stato di deficit ormonale che si manifesta dopo la menopausa influenza notevolmente i fattori di rischio cardiovascolari e la loro penetranza. Pertanto nel considerare le strategie di prevenzione cardiovascolare è necessario non soltanto differenziare i due sessi ma anche considerare lo stato di deficienza ormonale. Inoltre nelle strategie preventive cardiovascolari bisogna considerare l’associazione dei fattori di rischio metabolici quali sovrappeso, alterazione del metabolismo glucidico ed ipertensione arteriosa che sono di particolare importanza nelle donne dopo la menopausa.
In conclusione, gli uomini e le donne hanno una differente suscettibilità ai fattori di rischio cardiovascolare, ciò si ripercuote sull’efficacia delle terapie preventive. Inoltre, le differenze di genere influenzano anche la risposta terapeutica che, pertanto, deve esser guidata non soltanto dal grado di rischio cardiovascolare, ma deve tenere conto anche del genere.

Tumori e donne
In Italia, sono quasi due milioni le persone che stanno vivendo dopo aver incontrato la malattia neoplastica. In maggioranza, secondo una pubblicazione AIRTUM del 2009, sono donne (circa 1.080.000 contro circa 840.000 uomini): le donne si ammalano di più ma hanno anche una maggior sopravvivenza. Tra uomini e donne c’è una certa differenza di incidenza e di sopravvivenza. I tumori “femminili” sono principalmente il tumore al seno, all’ovaio, all’utero, ma le donne possono ammalarsi anche di tumore al colon, e di tutte le altre neoplasie che colpiscono organi non legati all’essere donna, come pancreas, fegato, esofago e le forme ematologiche come leucemie e linfomi.
Perché il tumore insorga deve crearsi una specie di “associazione a delinquere” tra la neoplasia e il tessuto circostante, il cosiddetto “microambiente”: il seme del cancro, paragonabile ad una pianta parassita, germoglia solo se il terreno, ovvero l’ospite, è disposto ad accoglierlo. Spesso però in oncologia ci si focalizza un po’ troppo sul tumore e troppo poco sul paziente stesso, ci si concentra sulla cura e meno sulla prevenzione. Bisognerebbe invece, in primis, convincere la persona ad adottare stili di vita e dieta meno pericolosi per la salute, tra cui smettere di fumare e poi, se ci sono già lesioni preneoplastiche o precoci, intervenire eventualmente con sostanze chemiopreventive. Il cancro potrebbe infatti essere in gran parte sconfitto già cambiando abitudini di vita, pensando al prezzo che si paga per i danni che ci infliggiamo da soli, ad esempio con fumo e alcool. L’American Cancer Society stima che in USA più di 175.000 decessi annui per neoplasia derivino dal consumo di tabacco. Inoltre, circa un terzo del mezzo milione di morti causate in America dal cancro è legato a problemi di nutrizione ed inattività fisica. Oltre un milione di tumori cutanei attesi potevano essere elusi utilizzando prudenza e protezione nell’esposizione ai raggi solari.
In oncologia si hanno differenze di incidenza e mortalità non solo nell’ambito dei tumori tipicamente maschili o femminili, ma anche in quelli che in teoria non sarebbero legati alle differenze di sesso. E’ un’importante osservazione epidemiologica che la mortalità per neoplasia sia diversa da paese a paese e tra i generi. Dopo le malattie cardiovascolari, i tumori rappresentano la principale causa di morte femminile: sono infatti responsabili ogni anno del decesso di 89 donne ogni 10.000 sopra i 70 anni, e di 23 dai 50 ai 69. In Italia, tra il 2003 e il 2005 sono stati registrati ogni anno 622 casi di tumori maligni ogni 100.000 donne, dei quali il 29% sono tumori della mammella. La maggior parte di questi tumori però è oggi prevenibile, oltre che curabile: mentre nel 1976 la probabilità di sopravvivenza per tutte le neoplasie, comprese le più maligne, era del 50%, ora supera il 65%, un notevole indicatore di speranza. Se saremo in grado di gestire le cause del cancro nella donna con la prevenzione, controllando virus, dieta, igiene e creando uno stretto rapporto tra clinica e ricerca potremmo prevenire migliaia di decessi. E’ un fatto che nei tumori femminili la diagnosi precoce e la prevenzione siano importantissime e sicuramente la donna è molto attenta a sottoporsi a screening. Attualmente l’85% delle pazienti con tumore mammario, che fa parte di quelli “scrinabili”, si sottopone a prevenzione. Questa percentuale potrebbe essere elevata al 95 % in tempi brevi. La sopravvivenza è infatti più alta nelle regioni italiane con migliori programmi di screening.
Per quanto riguarda la cura, negli ultimi decenni agli approcci “tradizionali” si sono aggiunte la terapia “biologica” mirata, detta a target, e la terapia genica, che consentiranno quindi di avere delle cure sempre più personalizzate. Esiste poi la strategia “ambientale”che non agisce sul tumore, ma sulle cellule che con il tumore interagiscono, il cosiddetto microambiente. Non si deve inoltre dimenticare che una delle chiavi principali delle nuove terapie è il loro uso in combinazione con chemioterapici citotossici.

Asma e altre malattie del sistema polmonare
L’impatto sulla salute mondiale delle malattie respiratorie consente di collocarle al secondo posto tra le principali cause di morbosità e mortalità dopo le malattie cardiovascolari. E’ possibile prevedere nei prossimi 10 anni un incremento di mortalità per malattie polmonari, in particolare a causa della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), del carcinoma  polmonare e della tubercolosi (TB). Infatti, nel 2020 si stima che 11,9 milioni di decessi su 68 milioni a livello mondiale saranno causati da malattie polmonari (4,7 da BPCO, 2,5 da polmonite, 2,4 da TB e 2,3 da carcinoma polmonare).
Le malattie respiratorie sono causa di oneri considerevoli per la società europea. In Europa, l’onere finanziario globale delle patologie polmonari ogni anno è pari a circa €102 miliardi. La BPCO rappresenta quasi la metà di questa cifra, seguita da asma, polmonite, carcinoma polmonare e tubercolosi.
L’impatto epidemiologico e sociale delle malattie respiratorie impone un piano di prevenzione, come riconosciuto dal Piano Sanitario Nazionale 2006-2008, che si articoli nelle seguenti azioni prioritarie:

La lotta alle malattie respiratorie si realizza quindi attraverso interventi finalizzati alla prevenzione sia primaria (lotta al fumo e lotta agli inquinanti presenti negli ambienti di vita e di lavoro), che secondaria (diagnosi precoce).

Osteoporosi e altre malattie delle ossa e dei muscoli
L’osteoporosi colpisce una porzione elevata della popolazione italiana, soprattutto di sesso femminile, e presenta un tasso di crescita proporzionale al crescere dell’età. Alcune caratteristiche peculiari di questa malattia la rendono poco conosciuta e meno temuta di altre: tra queste, la mancanza di dati epidemiologici precisi sulla sua diffusione nel nostro Paese, la sua asintomaticità, il lungo periodo di latenza, la possibilità che i suoi effetti (fratture ossee di diversa entità) siano ascrivibili ad altre cause e la mancanza di programmi di prevenzione consolidati. Il recente interessamento al problema da parte del Parlamento europeo sottolinea la valenza sociale e politica di questa patologia, particolarmente diffusa in Italia, dove il quadro demografico caratterizzato da una vita media tra le più alte del mondo, deve far ritenere il nostro Paese tra le aree a maggior rischio di patologia osteoporotica. Si stima che in Italia circa 5 milioni di persone siano affette da tale patologia, anche se probabilmente esiste una larga parte della popolazione nella quale ancora non è stata posta una diagnosi corretta della malattia. Si ritiene che nel prossimo futuro la prevalenza dell'osteoporosi tenderà ad aumentare, sia nel sesso maschile che femminile, soprattutto in relazione all'aumento di vita media della popolazione nel nostro Paese.
La prevalenza di osteopenia e di osteoporosi fra le donne risulta pari a 44,7 % e 18,5%, rispettivamente, mentre i corrispondenti tassi sono del 36 % e del 10% nel sesso maschile. La prevalenza di entrambe le condizioni è quindi più elevata nelle donne e aumenta significativamente con l’età. Il dato generale di prevalenza nella popolazione generale di sesso femminile è del 23%, ma anche tra gli uomini il tasso di prevalenza risulta sempre superiore al 15% oltre i 60 anni di età. Si tratta di circa 4 milioni di donne, che si trovano in tal modo esposte ad un più alto rischio di fratture a cui si aggiungono oltre 800.000 uomini. Le proiezioni per i prossimi anni confermano che l’osteoporosi sia da considerare una patologia emergente nel nostro Paese e in generale in tutta l’Europa a causa del progressivo e costante invecchiamento della popolazione. Con l’osteoporosi crescono anche le complicanze fratturative di questa patologia.
Al di là dei possibili approcci di prevenzione secondaria (diagnosi precoce), appare fondamentale la prevenzione primaria di questa malattia, da attuarsi fin dall’infanzia con stili di vita ed alimentari corretti, che peraltro riducono anche il rischio di altre gravi malattie (alimentazione ricca di calcio e vitamina D e quindi di latte, eliminazione del fumo, dell’assunzione di alcol in quantità eccessive e della vita troppo sedentaria). Nell’attivazione di tali programmi di prevenzione, è inoltre necessario tenere presente che esistono categorie di soggetti ad alto rischio (in trattamento con cortisonici, menopausa precoce, predisposizione ereditaria, precedenti fratture non dovute a “traumi efficienti”) ed altre a rischio ridotto (donne sottoposte a terapia ormonale sostitutiva post-menopausa nonché persone di sesso maschile), per cui la strategia di intervento deve essere necessariamente diversificata. Ad aggravare la situazione, infine, vi è la circostanza che in Italia non esistono né dati epidemiologici attendibili sulle “prime” fratture di natura osteoporotica, né dati su ampia scala che riguardino la prevalenza dell’osteoporosi nella popolazione generale. Anche per questi motivi, la conoscenza del problema da parte della popolazione italiana e, in parte, anche del personale sanitario è tuttora scarsa. La prevenzione è fortemente ostacolata dall’assenza di linee-guida per la diagnosi precoce (screening) dell’osteoporosi unanimemente accettate ed inoltre non esistono ancora programmi consolidati di prevenzione e l’accesso agli esami densitometrici è spesso difficile a causa delle lunghe liste di attesa.
Alla luce di quanto emerso, il Ministero della Salute ha varato nel 2009 il progetto Registro delle Fratture da Fragilità, che nel nostro Paese vorrà fotografare la situazione italiana, creando i presupposti per effettuare una analisi quantitativa dei costi socio-economici delle fratture da osteoporosi.

Patologie psichiche di genere: depressione, ansia, cefalea e anoressia-bulimia
L’attenzione sulle tematiche di genere ha dimostrato che le donne sono svantaggiate nella tutela della loro salute mentale perché si ammalano di più rispetto all’uomo. La scarsa considerazione della donna come corpo sociale oltre che individuale, ha condotto ad una ridotta considerazione del lavoro come fattore di formazione di processi morbosi (oltre 70 ore settimanali) senza contare i molteplici altri fattori stressanti, eventi purtroppo frequenti della vita della donna, quali quelli del maltrattamento in famiglia e a volte della violenza (abusi, molestie), condizioni che pesano fortemente sul carico di disabilità femminile. Nella sfera della patologia psichiatrica inoltre vi sono ancora pochi studi di valutazione sull’effetto del ciclo mestruale e della menopausa, sullo sviluppo di disturbi psichiatrici e sul trattamento, con scarsa attenzione sulla possibile interazione tra terapia ormonale e terapia antidepressiva.
La depressione nella donna ad esempio è doppia rispetto all’uomo, e dipende da vari fattori, come anomalie ormonali, ma anche da cause non biologiche, come una situazione familiare negativa o l’aver subito violenze di vario tipo. Esistono specifiche vulnerabilità nei due sessi e peculiari difficoltà nel trattamento. I dati disponibili sulle differenze di genere, per quanto riguarda la farmacocinetica che la farmacodinamica delle principali molecole antidepressive, sono limitati. Eppure, in letteratura, vi sono evidenze di come l’assorbimento, la biodisponibilità, la distribuzione e il metabolismo dei farmaci dipenda dal genere. Altro esempio di patologia strettamente legata al mondo femminile è l’emicrania in quanto esiste una correlazione tra ciclo ormonale femminile e comparsa del mal di testa; si è osservata inoltre un’associazione più stretta tra disturbi dell’umore e d’ansia e comparsa d’emicrania., particolarmente importante se si considera la maggior vulnerabilità del genere femminile a questi disturbi. Anche i disturbi della condotta alimentare (DCA), come anoressia e bulimia, costituiscono attualmente, per la popolazione occidentale, un importante problema di salute pubblica. Ad essere colpite sono prevalentemente le donne di razza bianca, con un rapporto di 9/10 a 1 rispetto agli uomini, con un’età di esordio che si colloca nella prima adolescenza. La severità del problema è evidenziata anche dai dati dell’OMS che rilevano come tali disturbi, nei paesi industrializzati, rappresentino una delle principali cause di morte, dopo gli incidenti automobilistici, per le giovani donne sotto i 25 anni. Ciò è dovuto anche al cambiamento dello status symbol della donna da un’immagine opulenta ad una più magra: le donne che da sempre, più degli uomini, tentano di modificare il proprio corpo per aderire e uniformarsi ai canoni estetici imposti dalla cultura appaiono pertanto più vulnerabili alla malattia. Appare chiaro quindi come le cause di queste malattie siano da ricercare principalmente negli aspetti psicologici individuali, nel percorso di sviluppo, nella dinamica familiare e nelle influenze socioculturali e come l’approccio più efficace per la cura dei disturbi della condotta alimentare sia un trattamento integrato di tipo psicoterapeutico-nutrizionale.
In conclusione, risulta quindi chiaro come nel settore dei disturbi mentali si debba superare la tendenza ad impostazioni terapeutiche eccessivamente standardizzate e poco inclini a quella complessità e articolazione di fattori specifici dei disturbi. Necessario quindi raccogliere dati clinici e di trattamento specifici e promuovere la ricerca sui diversi effetti che i medicinali e le terapie in generale hanno su uomini e donne al fine di garantire parità e personalizzazione vera di trattamento e accesso alle cure.

Violenza e ripercussioni sulla salute
A livello mondiale si calcola che almeno una donna su tre sia stata picchiata, o abusata sessualmente e che una su quattro sia stata vittima di una forma di violenza durante la gravidanza. Circa il 30% delle lesioni traumatiche presentate dalle donne, sono dovute a episodi di maltrattamenti da parte del partner: del resto la violenza interpersonale risulta essere la seconda causa di traumi per le donne comprese tra 15 e 44 anni, preceduta solo dagli incidenti stradali, e può assumere forme talmente gravi da provocare la morte della donna. Sono 6.743.000 (31.9%) in Italia le donne che hanno dichiarato di avere subito nell’arco della vita violenza fisica o sessuale: nella maggior parte dei casi l’autore è il partner o l’ex partner (69.7%), nel 17,4% si tratta di un conoscente e solo il 6,2% delle violenze è opera di estranei. Da rilevare che il 6.6% del campione dichiara di avere subito forme di violenza sessuale nella minore età, addirittura prima dei 16 anni. Il 33.9% delle donne dichiara di non avere parlato con nessuno della violenza subita, nonostante la reputi molto grave (34%) o grave (29%), e che nel 21.3% abbia addirittura temuto per la propria vita. Il sommerso riveste dunque la parte più consistente (nel 90.7% non viene denunciata) e i motivi della non denuncia chiamano in causa la capacità di accoglienza delle Istituzioni, in particolare quelle sanitarie: infatti è la paura di essere giudicate o trattate male (28.6%), la vergogna o il timore di ingerenze nella propria  privacy (22.1%), la scarsa fiducia nelle Istituzioni (11.6%) a tenere lontane le vittime.
La salute delle donne esposte a questo fattore di rischio ne risulti condizionata in modo consistente: nell’ampio campione si riscontra infatti con frequenza quasi doppia rispetto alla popolazione di controllo, una percezione di “cattiva salute” (OR=1•6), difficoltà a camminare (OR=1•6), difficoltà a svolgere normali attività (OR=1•6), dolori diffusi (OR=1•6), amnesie (OR=1•8), vaginiti (OR=1•8); i pensieri suicidiari incidono in misura 3 volte maggiore rispetto alla popolazione generale (OR=2•9) e i tentati suicidi addirittura quasi 4 volte (OR=3•8). Le patologie che affliggono con maggiore frequenza le donne vittime di violenza sono i disturbi del tratto gastro-enterico (1 donna su 3 vive una relazione di abuso), depressione (1:2) ma anche cefalea, lombalgia cronica, fibromialgia, disturbi urologici e disturbi della sfera sessuale. Inoltre con maggior frequenza si associa abuso di alcool, droghe, psicofarmaci e analgesici come modalità di reazione nel gestire i sintomi dello stress ripetuto. Anche tutta una serie di patologie ginecologiche, da cui non sono esenti neppure le giovanissime, possono essere associate a questo fenomeno. La violenza costituisce un fattore di rischio importante anche per la gravidanza con conseguenze sulla madre e sul feto che possono arrivare fino alla morte.
Dunque il corpo “parla” anche se la vittima molto spesso non riesce a farlo, e ai sanitari spetta il compito di decodificare questo linguaggio attraverso la conoscenza del fenomeno e la capacità e la sensibilità di interpretare i segnali. Non c’è dubbio che è necessario anche che i Paesi investano sia in formazione che in azioni politiche e culturali con impiego di risorse: la salute delle donne è un bene prezioso che misura in modo molto corrispondente anche il benessere del Paese stesso.

Fumo e alcol e le loro conseguenze sulla salute
Studi recenti hanno evidenziato delle notevoli differenze tra i due sessi nell’uso di alcol, nicotina, ed altre sostanze d’abuso, sia nella quantità che nella modalità di assunzione. Quello che sembra differenziare maggiormente le donne dagli uomini è, da una parte, la loro maggiore vulnerabilità a sviluppare dipendenza a queste sostanze, dall’altra la difficoltà ad acquisire la consapevolezza di esserne dipendenti e di aver bisogno di sostegno psicologico e/o aiuto terapeutico. Uomo e donna, infatti, si distinguono per la quantità di alcol bevuta o per il numero di sigarette fumate giornalmente, ma soprattutto per la diversa propensione a sviluppare dipendenza fisica e psicologica. Diversa è anche la risposta ai trattamenti farmacologici, verosimilmente a causa della diversa farmacocinetica dell’alcol e della nicotina tra i due sessi. Le donne sviluppano più frequentemente ed in misura più marcata diverse patologie epatiche, danni neurologici e gastrointestinali e cardiomiopatie correlabili all’alcol, nonché epatiti e cirrosi, dimostrando così di essere particolarmente sensibili agli effetti tossici a breve e lungo termine dell’alcol. Inoltre, alla luce di diversi studi epidemiologici, l’abitudine all’alcol nelle donne sembra in aumento rispetto a quella degli uomini. Sembra esistere una relazione tra alcolismo e fumo di sigaretta nelle donne poiché, a differenza degli uomini, le adolescenti fumatrici sono a più alto rischio di sviluppare alcolismo da adulte. Ma molte altre differenze di genere esistono tra i fumatori in quanto, ad esempio, le donne riportano maggiori difficoltà a smettere di fumare, rispondono meno alle terapie sostitutive, e fumano sotto la spinta di stimoli “interni” o emotivi, quali stress, ansia o depressione, piuttosto che a causa di fattori esterni, come l’ambiente circostante ed il contesto sociale. Anche le proprietà analgesiche della nicotina sembrano differire tra i due sessi, dal momento che la soglia e la tollerabilità del dolore risultano aumentate nell’uomo, ma non nella donna. Similmente a ciò, anche il rischio di malattie cardiovascolari in fumatori cronici sembra indotto in maniera differente nell’uomo e nella donna. Gli studi clinici e quelli animali concordano nell’indicare gli ormoni sessuali tra i maggiori responsabili delle differenze di genere nell’uso e abuso di sostanze sia legali, quali alcol e nicotina tabacco, sia illegali, quali cocaina, eroina e marijuana.
Situazione particolare è quella delle donne in gravidanza. Il 20-30% delle donne incinte fuma, e anche se decidono di smettere di fumare durante la gravidanza, meno del 50% di quelle che ci provano ci riesce. Rispetto alle non fumatrici, le donne che fumano in gravidanza sono infatti a maggior rischio di aborto spontaneo, gravidanza ectopica, insufficienza placentare, ridotto peso corporeo alla nascita e ridotta crescita rallentata, nonché di problemi respiratori e comportamentali nel nascituro. Come il fumo, anche l’alcol in gravidanza è particolarmente nocivo. E’ stato calcolato che il oltre il 50% delle donne in età riproduttiva fa uso di alcol e che il 15% delle donne incinte beve regolarmente. L’alcol è fortemente teratogeno, ed i suoi effetti possono includere aborto spontaneo, crescita ridotta e ritardo mentale. La sindrome fetale alcolica è tra gli esiti più gravi di un utilizzo di alcol in gravidanza.
In conclusione, i danni correlabili al fumo o all’alcol sembrano essere più severi nelle donne che negli uomini, e la causa della maggiore vulnerabilità è verosimilmente da attribuire alla diversa fisiologia femminile, più sensibile e complessa a causa del diverso corredo enzimatico ed ormonale della donna. Gli aumentati tassi di tabagismo e di alcol-dipendenza femminile rappresentano importanti campanelli di allarme che dovrebbero indurre ad una seria riflessione sociale e sanitaria.

Farmaci e donne
Il pregiudizio e la cecità di genere, fino agli anni novanta del secolo scorso, hanno impedito di vedere le differenze biologiche che potevano determinare differenze nel destino dei farmaci nell’organismo (farmacocinetica) e nei bersagli farmacologici (farmacodinamica). E’ovvio che questo atteggiamento ha avuto come conseguenza l’estrapolazione dei dati, ottenuti nell’uomo, alla donna. La vita della donna e degli animali di sesso femminile è caratterizzata da variazioni ormonali cicliche, e da varie fasi della vita che comportano variazioni di molti parametri, i quali influenzano la farmacocinetica e la farmacodinamica. Un’altra fonte di variabilità è poi l’uso degli estro-progestinici e cioè la contraccezione ormonale e la cosiddetta terapia ormonale sostitutiva. La variabilità della vita femminile ha indotto molti ricercatori ad usare animali di sesso maschile, per ottenere risultati in maniera più rapida e più economica; questo è però un atteggiamento che contrasta con il metodo scientifico.
Eppure questi studi sono di fondamentale importanza, se si pensa ad esempio che 2 donne su 3 usano farmaci anche in gravidanza, farmaci che, non essendo stati studiati e sperimentati anche per situazioni particolari come questa, potrebbero avere sulla donna e su feto effetti tossici. I motivi che spingono ad usare soltanto individui di sesso maschile nella ricerca farmaceutica sono di diverso tipo: le donne, rispetto agli uomini, hanno maggiori difficoltà a partecipare agli studi clinici sia perché hanno timore di ledere la propria capacità riproduttiva, sia per la carenza cronica di tempo; inoltre aumentare il numero delle persone da studiare ha un costo economico non indifferente sia in termini meramente monetari che temporali. Eppure ci sono differenze tra i due sessi che influiscono in maniera consistente i parametri farmacocinetici (assorbimento del farmaco, distribuzione, metabolismo ed escrezione); tra questi il peso e la composizione corporea, il sistema gastro-enterico, il sistema polmonare, la composizione della cute e il sistema renale.
Un dato comune a tutti i paesi occidentali è il maggior consumo dei farmaci nelle donne rispetto agli uomini. Infatti, esse usano il 20-30% di farmaci in più ed il 40% in più di supplementi, integratori e rimedi botanici rispetto agli uomini. Se si esamina il consumo fra classi terapeutiche si evince che le donne assumono più antibiotici, analgesici, antistaminici, simpaticomimetici, benzodiazepine, antidepressivi, e farmaci per la tiroide, mentre gli uomini consumano più antianginosi, anticoagulanti, antipertensivi. Il maggior consumo delle donne dipende da diversi fattori, quali il fatto che le donne si ammalano di più, vivono di più, la loro vita (soprattutto dal punto di vista ormonale) è più complessa, prestano maggiore attenzione al proprio stato di salute, sono maggiormente vittime di violenza, usano i farmaci per attenuare il disagio e infine subiscono la maggiore tendenza del medico prescrittore in presenza della stessa condizione morbosa a trattare le donne piuttosto che gli uomini.
Eppure le donne, nello stato attuale, corrono il rischio di essere meno curate e di non ricevere la miglior cura possibile. Un recente studio svedese ha infatti evidenziato che il 24,6% delle donne anziane contro il 19,3% degli uomini anziani riceve una terapia farmacologica inappropriata. Tale fatto può aver origine dallo scarso numero di donne arruolate negli studi clinici. Appare quindi opportuno che la ricerca farmacologica superi il pregiudizio di genere stando ben attenta alle questioni metodologiche.

La salute dei bambini e delle bambine
Poca attenzione è stata posta nella ricerca nei rapporti tra salute del bambino e differenze di sesso  soprattutto a causa della convinzione che in età preadolescenziale il genere sia indifferenziato a dispetto delle diverse evidenze contrarie. Dall’età di 1-2 anni, ad esempio, i traumi si verificano con una più alta frequenza nei maschi rispetto alle femmine. Molte delle differenze nello stato di salute sono determinate dall’esterno, tuttavia vi sono anche cause genetiche. La mortalità nei maschi è superiore a quella delle femmine e questo è valido anche per i bambini nella prima ora di vita. Per alcune affezioni ad esempio, come la morte improvvisa in culla (SIDS), il tasso di mortalità per le femmine negli Stati Uniti, Gran Bretagna, e in Germania, è circa un terzo più basso che per i maschi. L’uomo è più vulnerabile, come i bambini lo sono rispetto alle bambine ed i neonati rispetto alle neonate. La mortalità più elevata per i maschi in epoca perinatale è molto probabilmente dovuta a svantaggi biologici sia ereditari che congeniti.
Differenze tra i due sessi si riscontrano anche per quanto riguarda i vaccini. Studi recenti infatti hanno suggerito che il vaccino diminuisce in genere la mortalità in età pediatrica spesso con effetto più pronunciato nelle bambine. In diversi studi clinici, invece, è stato riportato un eccesso di mortalità non specifica nelle bambine che ricevevano un vaccino, ad alto titolo, contro il morbillo, parotite, e rosolia. Recentemente sono stati raccolti i dati su 755 bambini di età tra i 15-20 mesi, durante il mese precedente la vaccinazione di morbillo, parotite, rosolia e quello seguente. Il rischio relativo di febbre o rash era maggiore nelle femmine rispetto ai maschi (rispettivamente 2.5 verso 1.36), in assenza di differenze nella risposta.
Diverse differenze di genere sono state descritte, come già presenti in epoca neonatale. I neonati maschi hanno, ad esempio, una minor risposta agli stimoli, mantengono meno il contatto visivo. Nei lattanti si manifestano difficoltà nel controllare gli stimoli negativi, come ad esempio, la fame. Nella fanciullezza i bambini dimostrano maggior impulsività, ed attività motoria, mentre le bambine sono più partecipi all’ambiente, e presentano capacità di comprendere meglio le proprie ed altrui emozioni e problemi. La differenza di genere è anche presente nei disturbi mentali. Disordini del comportamento, autismo, alterazioni dello sviluppo del linguaggio, sindrome di deficit dell’attenzione ed iperattività, dislessia sono prevalenti nei maschi, mentre ansietà o depressione sono più presenti nelle femmine. Durante il periodo della fanciullezza alterazioni emozionali, come disturbi dell’umore o dell’alimentazione, depressione ed ansietà, sono predominanti nelle femmine. Molte malattie hanno inoltre un’incidenza diversa nei due sessi, come ad esempio le cardiopatie congenite, il diabete, l’asma e anche l’obesità. Anche l’incidenza di tutti i tumori è maggiore nei maschi sino all’età di 10 anni con un rapporto di maschi/ femmine di circa 1.5. Sarebbe quindi auspicabile un maggior impegno nella ricerca in questo particolare campo, che riguarda la medicina preventiva, il riconoscimento delle malattie ed il trattamento.

 

25 novembre 2010
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