Qual è il nesso tra malattie e rifiuti urbani non correttamente smaltiti?
08 GEN - “Quando si affronta questo tema è d’uopo innanzitutto differenziare i rifiuti urbani di origine domestica dai rifiuti speciali di origine industriale, pericolosi e non, gli impianti a norma dagli impianti non a norma e dagli abbandoni di rifiuti, gli impianti di incenerimento di nuova generazione a basso impatto ambientale da quelli di vecchia generazione a più alto impatto ambientale, in quanto l’intensità e modalità dell’esposizione può essere sostanzialmente differente”, spiegano innanzitutto dal Ministero in una
scheda allegata al rapporto completo. “La maggior parte degli studi, i cui risultati sono oggi disponibili sul possibile impatto dei siti di smaltimento dei rifiuti, riportano quasi tutti effetti a lunga latenza e per esposizioni a lungo termine, e quindi riguardano impianti di vecchia generazione, discariche non costruite e gestite secondo gli standard europei, inceneritori con tecnologie di abbattimento degli inquinanti emessi nell’ambiente oramai obsolete rispetto a quelle previste dalla attuali e più recenti normative comunitarie e nazionali e non quindi predittivi degli effetti di recenti o future installazioni. Pochi lavori, invece, si sono occupati di pratiche illecite di smaltimento dei rifiuti, urbani e/o speciali, quali l’abbandono e la combustione incontrollata”.
Nello specifico contesto delle due Province in studio, ma anche dell’intera Regione Campana, tuttavia, purtroppo si deve rilevare un dato specifico: rispetto alla produzione di rifiuti urbani (di origine domestica) e speciali (di origine industriale) vi è un deficit di offerta di smaltimento; inoltre nell’intera Regione non vi è alcun impianto per lo smaltimento di rifiuti pericolosi, ivi compreso per lo smaltimento di amianto e di cemento amianto (eternit). Ciò ingenera il rischio di abbandoni incontrollati di rifiuti, sia non pericolosi che pericolosi, e di ricorso a pratiche di incendio dei rifiuti stessi con un alta probabilità di emettere direttamente nell’ambiente sostanze tossiche. “Per tutte le ragioni su esposte – continuano gli esperti – e per il fatto che l’esposizione della popolazione ai rifiuti è in generale di tipo indiretto, attraverso matrici ambientali contaminate per fenomeni di rilascio di sostanze pericolose dai rifiuti che le possono contenere, è estremamente complesso valutare il ruolo che i rifiuti svolgono nel carico complessivo di inquinanti che può arrivare all’uomo dalle varie forzanti/pressioni ambientali presenti sul territorio, quindi in alcuni casi sarebbe molto utile ricorrere anche a studi di biomonitoraggio umano, in particolar modo quando si ha il fondato sospetto di una esposizione a rischio”.
Proprio per questo motivo recentemente si è condotto uno studio di biomonitoraggio umano, denominato SEBIOREC, arruolando la popolazione delle aree ritenute a maggior rischio (l’area compresa tra la Provincia di Napoli e la Provincia di Caserta), i cui esiti hanno dimostrato che le sostanze riscontrate nei fluidi biologici analizzati rientravano nei valori oggi ritenibili “normali”. Nell’interpretazione dei risultati di questi studi si deve tener conto del possibile ruolo di altri fattori di rischio (ad esempio esposizioni legate a stili di vita o occupazione o altre pressioni ambientali), del loro possibile effetto sinergico con le esposizioni ambientali in generale e con quelle determinate dai siti di smaltimento dei rifiuti, queste ultime particolarmente complesse da valutare, soprattutto nel caso delle pratiche illegali.
08 gennaio 2013
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