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Covid. I neonatologi ribadiscono che non serve separare i neonati dalla madre positiva. Tre studi confermano bassa incidenza positività nei neonati


Il riferimento è a tre ricerche (una dell'Iss e due della Società italiana di neonatologia) che hanno rilevato percentuali di contagio tra i neonati da madre positiva al Covid variabili dal 2,8% all'1,6%. Mamma e neonato, dunque, diversamente da come fatto nelle prime fasi dell’emergenza sanitaria in qualche Paese (ad esempio Cina e Stati Uniti), non devono essere separati a causa del Covid-19, perché il rischio di contagio postnatale, in caso di madre infetta, è inferiore ai benefici che il rooming-in può apportare.

16 DIC - Solo l’1,6% dei nati da madre positiva al Covid-19 è a rischio contagio dopo la nascita. Il dato emerge da uno studio italiano condotto durante i primi mesi della pandemia e pubblicato nei giorni scorsi dalla rivista Jama Pediatrics. Ne dà notizia oggi la Società italiana di neonatologia (Sin). 
 
“Alla luce delle evidenze disponibili, la trasmissione del virus da madre positiva a neonato è possibile ma molto rara e non influenzata dalla modalità del parto, dall’allattamento o dal rooming-in”, ha detto il presidente della Sin Fabio Mosca.
 
“Ciò - ha sottolineato - emerge da tre differenti studi, il primo dell’Istituto Superiore di Sanità (ItOSS), secondo il quale su un totale di 681 neonati presi in esame dal 25 febbraio al 30 settembre 2020, solo 19, pari al 2,8%, sono risultati positivi al virus dopo la nascita. Nel secondo, che fa riferimento ai dati raccolti nel Registro Nazionale Covid-19 della SIN, aggiornati al 15 settembre 2020, è risultato positivo al tampone nasofaringeo per SARSCoV-2 durante il ricovero della nascita il 2.5% dei neonati (6 su 238 presi in esame). Nell’ultimo studio condotto tra il 19 marzo e il 2 maggio 2020, su un campione di 62 bambini, nati in 6 ospedali lombardi da madri positive al SARS-CoV-2, solo 1 bambino (1,6%) è stato diagnosticato con infezione da SARS-CoV-2 ai controlli post-parto”. 
 
“Tutti e tre gli studi confermano, quindi, la bassa percentuale del rischio di contagio dopo la nascita, indipendentemente dal numero dei campioni analizzati, dalla diversa territorialità, nazionale o regionale, e dai diversi periodi presi in analisi”, chiarisce Mosca.


Mamma e neonato, dunque - si legge nella nota odierna della Sin - diversamente da come fatto nelle prime fasi dell’emergenza sanitaria in qualche Paese (ad esempio Cina e Stati Uniti), non devono essere separati a causa del Covid-19, perché il rischio di contagio postnatale, in caso di madre infetta, è inferiore ai benefici che il rooming-in può apportare.
 
Tornando all'ultimo studio citato dalla Sin, dal titolo “Valutazione della pratica del Rooming-in per i neonati da madri con grave sindrome respiratoria acuta da infezione da Coronavirus 2 in Italia” (Evaluation of Rooming-in Practice for Neonates Born to Mothers With Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2 Infection in Italy), esso ha coinvolto numerose Neonatologie lombarde ed è stato coordinato da Lorenza Pugni dell’Unità Operativa di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale della Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano diretta da Fabio Mosca e ha come primi autori Andrea Ronchi e Carlo Pietrasanta della stessa Unità Operativa. I dati hanno confermato quanto già previsto dalle Indicazioni “Allattamento ed Infezione da Sars-CoV-2 (Coronavirus Disease 2019 - Covid-19)”, diffuse dalla Sin all’inizio della prima ondata della pandemia.

E' stato condotto su un campione di 62 bambini, nati in 6 ospedali lombardi da madri positive al Sars-CoV-2, tra il 19 marzo e il 2 maggio 2020 e seguiti per 20 giorni di vita. Le loro mamme sono state istruite a rispettare scrupolosamente, durante il rooming-in, 3 semplici regole: utilizzo costante della mascherina in vicinanza del neonato e durante l’allattamento, accurata igiene delle mani e distanziamento della culla dal letto della mamma.
 
Dei 62 neonati arruolati (25 maschi), nati da 61 madri (età media 32 anni) e negativi alla nascita, solo 1 bambino (1,6%) è stato diagnosticato con infezione da SARS-CoV-2 ai controlli post-parto. In quel caso, il rooming-in era stato interrotto al 5° giorno di vita a causa del grave peggioramento delle condizioni cliniche della madre. Il neonato è diventato positivo il 7 ° giorno di vita e ha sviluppato una lieve dispnea transitoria. Il 95% dei neonati arruolati è stato allattato al seno.

“Sulla base dei nostri risultati”, afferma il Presidente Mosca, “il rischio di trasmissione postnatale da madre a bambino di SARS-CoV-2 durante il rooming-in è molto basso e le mamme infette in buone condizioni cliniche e disponibili a prendersi cura dei propri bambini, devono essere incoraggiate a questa pratica e ad allattare al seno, dopo essere state ben istruite sulle misure preventive da adottare. Risulta chiaro quindi che, con le opportune precauzioni, anche una mamma positiva al Covid-19 può abbracciare il suo piccino appena nato e vivere l'esperienza del contatto pelle a pelle, che favorisce il bonding e il buon avvio dell'allattamento”, continua Mosca. “La mamma ha così la possibilità di attaccare subito il bimbo al seno e procedere anche nei giorni successivi con l’allattamento a richiesta, essenziale per ogni neonato”.

L’opzione da privilegiare è sempre quella della gestione congiunta di madre e bambino, al fine di facilitare l’interazione e favorire l’avvio dell’allattamento al seno.

La separazione della diade dovrà essere quindi un’eccezione, nel caso in cui i sintomi dell'infezione materna siano rilevanti. “Se le condizioni generali della neomamma non le consentono di allattare al seno, comunque, dovrà essere incoraggiata ad estrarre il latte dal personale del punto nascita, che le spiegherà come fare e quali accorgimenti igienici seguire. Ciò ne stimolerà la produzione, garantendo al piccolo tutti i benefici di salute derivanti dal latte materno” conclude Mosca.  

16 dicembre 2020
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