Epatite C: Italia la più colpita d’Europa. Ma i nuovi farmaci tardano ad arrivare
Si chiama boceprivir e rispetto alla terapia standard con interferone pegilato e ribavrina promette almeno di raddoppiare il numero di pazienti che a fine trattamento non presentano più il virus nel sangue. Ma in Italia, dove due persone l’ora muoiono per il virus, il farmaco non è ancora disponibile.
18 APR - Sono circa 180 milioni le persone affette da epatite C nel mondo e in Italia questa patologia è ancor più presente e pericolosa, visto che il nostro paese è il più colpito d’Europa e vede più di 1 milione e mezzo di persone positive al virus dell’Epatite C, 1.000 nuovi casi ogni anno e 20.000 decessi, due ogni ora. Il problema con questa malattia, oltre al fatto che spesso nella prima fase è asintomatica, è il fatto che non esiste vaccino e una volta che la malattia diventa cronica è più difficile trattarla. Ma da oggi potrebbe cambiare qualcosa. È stata infatti sviluppata una terapia in cui ai due classici farmaci che vengono usati per il trattamento (interferone pegilato e ribavrina), viene affiancato un nuovo farmaco, il boceprevir, capace di raddoppiare la percentuale di guarigione dei pazienti.
Il farmaco però, già disponibile in alcuni paesi europei e approvato sia dall’Ema che dall’Fda statunitense, ancora non è stato ancora introdotto sul mercato.
Il nuovo trattamento
Potrebbe trattarsi di un vero e proprio punto di svolta per la lotta alla patologia: boceprevir, inibitore della proteasi, agisce direttamente sul virus ed è risultato efficace contro l’HCV (Hepatitis C Virus) di genotipo 1, il più temibile perché più refrattario ai trattamenti e perché rappresenta il 60% delle infezioni globali. Aggiunto alla terapia standard “duplice”, boceprevir riesce a raddoppiare e addirittura triplicare la percentuale di guarigione dei pazienti. I dati emergono da due trial clinici di Fase III in doppio cieco: lo SPRINT-2, cui hanno partecipato pazienti mai trattati precedentemente, e il RESPOND-2, che arruolava pazienti che invece avevano fallito con la terapia standard.
Il primo ha visto un campione di 1.093 pazienti adulti, alcuni caucasici ed altri di colore: una risposta virologica sostenuta (RVS), ovvero la condizione in cui il virus non è rilevabile 6 mesi dopo il termine del trattamento, è stata raggiunta nel 40% dei pazienti del gruppo di controllo (40%), contro il 67-68% (a seconda della lunghezza del trattamento) del gruppo trattato con il farmaco; nella coorte dei pazienti di colore è invece stata raggiunta nel 23% dei casi nel gruppo di controllo e in una percentuale che oscillava tra il 42 e il 53 per cento in quelli trattati.
Il secondo studio ha invece visto la partecipazione di 403 pazienti adulti che avevano dimostrato di rispondere parzialmente all’interferone, senza cioè raggiungere una RVS o la non individuazione del virus alla fine del trattamento, andando incontro a una recidiva. Anche in questo caso il tasso di RVS, rispetto al gruppo di controllo, è stato sensibilmente più alto nel gruppi che aveva assunto boceprevir, con una percentuale che oscillava tra il 59 e il 66 per cento a seconda della durata del trattamento, a fronte di meno del 50% nel gruppo di controllo. Tra i pazienti con il virus non individuabile all’8a settimana, il tasso di RVS è stato dell’86% dopo 32 settimane di boceprevir insieme alla terapia standard e dell’88% dopo 44 settimane Fra i 120 pazienti con un decremento del livello di HCV-RNA molto basso fino alla 4a settimana di trattamento, il tasso di RVS è stato dello 0% nel gruppo di controllo, e del 33-34% nel gruppo trattato.
I risultati sono stati dunque entusiasmanti: in entrambe le tipologie di pazienti, l’aggiunta di boceprevir alla terapia standard a base di peginterferone e ribavirina ha migliorato significativamente la risposta virologica sostenuta. “Il farmaco agisce direttamente sulla struttura attraverso la quale il virus, una volta pervenuto all’interno dell’organismo, replica se stesso nelle cellule epatiche”, ha spiegato
Savino Bruno, direttore della Struttura Complessa di Medicina Interna a indirizzo Epatologico dell’Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano, e coinvolto nelle prime sperimentazioni del farmaco. “La struttura bersaglio, individuata nel RNA, è denominata regione NS-3: boceprevir inibisce le proteasi, ovvero gli enzimi di questa regione che permettono al virus di replicarsi; impedisce la replicazione del virus sostituendosi alle proteasi e, in tal modo, il virus cessa di replicarsi e quindi non può più sopravvivere”.
La strategia terapeutica di boceprevir raggiunge un nuovo traguardo anche in termini di modalità e tempi del trattamento, è previsto, infatti, un periodo di lead-in nel quale il paziente è valutato per quattro settimane con la terapia “duplice” a base d’interferone pegilato e ribavirina. Una volta accertato che il paziente risponde al trattamento viene aggiunto boceprevir. In questo modo si raggiunge un duplice obiettivo: da una parte si riduce al massimo la possibilità che il virus si organizzi per resistere alla terapia sviluppando delle mutazioni e dall'altra si riesce a selezionare i pazienti adatti per la terapia “triplice”, con sensibile risparmio in termini di spesa pubblica e di effetti collaterali.
La patologia
L’HCV può entrare nel nostro organismo attraverso meccanismi diversissimi, dalle punture con oggetti contaminati da sangue o fluidi corporei infetti, a operazioni sanitarie o estetiche (interventi odontoiatrici, piercing, tatuaggi, etc.) effettuate con materiale contaminato e non adeguatamente sterilizzato, fino ai rapporti sessuali, omo ed eterosessuali; non va inoltre esclusa le possibilità di trasmissione attraverso le mucose. Come la B, anche l’Epatite C può cronicizzare, trasformandosi in una patologia di lunga durata: a seguito del contagio, circa il 60-70% degli individui diventa portatore cronico del virus ed è esposto ai gravi danni epatici della malattia, come cirrosi e tumore al fegato.
Oltre che per la sua trasmissibilità, l’HCV è estremamente insidioso per il silenzio in cui agisce. «Dal momento dell’entrata nell’organismo per un periodo anche molto lungo (20-30 anni), dà pochissimi segni di sè (in medicina si definisce latenza clinica), ma lentamente e inesorabilmente si diffonde nel fegato, replica massicciamente (in una persona infettata sono prodotti fino a mille miliardi di particelle virali al giorno), e causa l’uccisione delle cellule epatiche, ossia lavora, replica e distrugge, pur non facendosi notare”, ha infatti spiegato
Carlo Federico Perno, docente di Virologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Microbiologia e Virologia dell’Università Tor Vergata di Roma. “Il più delle volte, la diagnosi d’infezione da HCV viene fatta quando ormai la malattia è in stadio avanzato, cioè quando subentra la cirrosi o addirittura il carcinoma epatico”.
A questo quadro preoccupante si aggiunge il peso sociale che la cronicizzazione della malattia porta con sé. “Quando la malattia si evolve in una fase avanzata, la persona perde progressivamente la sua indipendenza, ha bisogno e deve farsi aiutare da altri, è costretta a comunicare che è ammalata”,
Ivan Gardini, presidente dell’Associazione EpaC. “Tutti noi dunque ci auguriamo che con l’avvento dei nuovi farmaci l’Epatite C possa essere sconfitta definitivamente».
La situazione italiana
Nonostante tutto ciò, continua a persistere il problema tutto italiano della commercializzazione sul territorio: l’Aifa tarda ad approvare il rimborso del farmaco, forse per il suo costo abbastanza elevato. Ed ecco perché i pazienti stanno già facendo sentire le proprie lamentele: “Sono già trascorsi diversi mesi dall'approvazione delle nuove molecole da parte della Fdaed Emae non è tollerabile il fatto che Aifanon abbia ancora concesso l'autorizzazione alla loro rimborsabilità in Italia, nonostante le chiare evidenze scientifiche di efficacia e le analisi positive in termini di costo-efficacia, come quella realizzata dal NICE, National Institute for Health and Clinical Excellence”, si legge in una lettera al ministro della Salute Balduzzi scritta da Gardini e pubblicata anche sul sito dell’Associazione EpaC. “Non riusciamo a capire come il nostro Ente Regolatorio non prenda in considerazione questa situazione di estrema emergenza, dove un'approvazione rapida può salvare vite umane. Aifa già da tempo ha in mano strumenti idonei per una corretta valutazione dell'efficacia, sicurezza e costo efficacia dei nuovi farmaci per la cura dell'epatite C. Non esistono più buoni motivi per ritardare ulteriormente l'approvazione delle nuove molecole: medici e pazienti le stanno aspettando con impazienza”. Ora ai pazienti non resta altro che la speranza che la lettera possa portare i suoi frutti.
18 aprile 2012
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