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Cancro. Quando si sviluppa la tolleranza ai farmaci?


Sono alterazioni genetiche specifiche a causare farmacoresistenza o questa è dovuta a cambiamenti funzionali delle cellule in risposta allo stress cui i tessuti sono sottoposti? A porre la domanda un team statunitense, già pronto a effettuare ulteriori verifiche.

05 APR - Finora gli scienziati hanno sempre ritenuto che fossero le mutazioni genetiche nelle cellule tumorali a portare alla resistenza al trattamento e quindi in generale ad aumentare il rischio che il cancro si ripresenti. Ma se non fosse così? Secondo uno studio dell’Università di Chicago, appena pubblicato su PLoS Biology, la resistenza ai farmaci potrebbe attivarsi prima di qualsiasi alterazione dei geni, per poi stabilizzarsi in seguito, quando inizia la terapia.
 
Sapere se viene prima la resistenza o prima le mutazioni genetiche non è come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina: è una domanda che potrebbe essere cruciale nella cura del cancro. Prevenire la tolleranza delle patologie ai farmaci è infatti uno dei fattori che può funzionare da spartiacque tra i trattamenti efficaci e quelli che non funzionano. Se come si è pensato finora arrivano prima le mutazioni e poi si diffonde la resistenza, allora i protocolli di trattamento dovranno focalizzarsi nel prevenire la nascita delle alterazioni delle cellule tumorali che favoriscono questa insorgenza: a questo scopo sono già state sviluppate terapie volte nello specifico a limitare la tolleranza nei tessuti malati.
Il team di ricerca statunitense, invece, propone una visione diversa: se la tolleranza ai farmaci non insorge dalle alterazioni, e dunque non è genetica, potrebbe essere causata da cambiamenti a livello cellulare che sono stati osservati spesso anche tra unità biologiche che dovrebbero essere identiche. Oppure, la farmaco resistenza potrebbe essere innescata da una riprogrammazione delle cellule che avviene in risposta allo stress che può causare spostarsi tra i tessuti o avere a che fare con medicinali: le unità biologiche sono infatti programmate per avere un’espressione piuttosto flessibile, in modo da riuscire a reagire ai cambiamenti dell’ambiente circostante. Se questa seconda ipotesi è vera, e la resistenza non è genetica, ma dovuta al caso o alla flessibilità cellulare, allora bisogna ricominciare a rivedere l’approccio con cui si sviluppano farmaci per prevenire tolleranza e ricadute.
Un’idea che, ammettono gli stessi autori dello studio, è nuova e se venisse confermata rappresenterebbe un vero e proprio cambio di paradigma. Il lavoro di questi ricercatori va proprio nella direzione di mostrare al maggior numero di scienziati questa possibile prospettiva. Nello stesso tempo il team sta già proseguendo gli studi, volti a dimostrare se la via individuata in questa ricerca è corretta, e in caso a sviluppare approcci alternativi per le terapie, in modo che si possano migliorare i risultati dei trattamenti.
 
Laura Berardi

05 aprile 2012
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