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Malattie croniche. Facebook promosso a pieni voti come supporto relazionale per i giovani


Una ricerca dell'Irccs Burlo Garofolo suggerisce di riconsiderare il ruolo di Facebook fra adolescenti malati cronici, come mezzo per superare l'isolamento sociale e condividere le esperienze con chi ha problemi di salute analoghi. Per questo, secondo Egidio Barbi, direttore della struttura complessa Clinica pediatrica, “uno standard elevato di cure dovrebbe, oggi, considerare anche l'accesso wi-fi come parte della qualità del servizio erogato."

03 FEB - Non sempre i social media vanno demonizzati. Per adolescenti con malattie croniche, l'accesso a uno spazio online condiviso può rappresentare un ausilio psicologico importante, permettendo di superare l'isolamento che le patologie croniche impongono e di condividere la propria condizione con i pari scambiando informazioni. Lo rileva uno studio della Clinica pediatrica del Burlo Garofolo di Trieste in collaborazione con il Dipartimento di medicina e chirurgia dell'Università di Trieste, che ha analizzato l'uso che un gruppo di 212 adolescenti e giovani adulti (fra 13 e 24 anni) con malattie croniche faceva di Facebook (FB), nei periodi di ricovero ospedaliero - cioè durante le fasi acute - e in quelle non acute della malattia. Le patologie selezionate per lo studio hanno incluso: fibrosi cistica, morbo di Crohn, diabete mellito di tipo 1 e malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI).

Due le conclusioni dell'indagine:
1) per questi giovani pazienti FB è uno strumento importante: aiuta a soddisfare i bisogni di socialità fortemente limitati dalla loro condizione, offrendo la possibilità di condividere l'esperienza difficile con i pari;

2) nei periodi acuti della malattia il tempo trascorso in rete aumenta da una media di 5 fino a 11 ore, e in parallelo c'è la volontà di evitare le ingerenze da parte di medici e personale sanitario.

A firmare la ricerca [Adolescents with chronic disease and social media: a cross-sectional study; doi:10.1136/archdischild-2019-317996], che è stata pubblicata da Archives of Disease in Childhood, rivista del gruppo British Medical Journal, è il team di Egidio Barbi, direttore della struttura complessa Clinica pediatrica - Dipartimento di pediatria dell'ospedale infantile triestino.

"Molti studi prendono in esame il ruolo dei social media in popolazioni di malati, per esempio nei cronici oncologici. Ma a quanto ci risulta, nessuno ha finora analizzato l'uso dei social in popolazioni di malati cronici adolescenti," spiega in una nota Barbi. "La scelta di focalizzarci su FB è stata determinata dal fatto che la frequentazione di questa piattaforma poteva aiutarci a rispondere a due domande: per quanto tempo i giovani cronici navigano su FB?- e in che modo lo usano, cioè per soddisfare quale bisogno?".

L'indagine si è avvalsa di un questionario ideato da Valentina Taucar, infermiera del team di Barbi con un master in cure palliative pediatriche e vent'anni di esperienza a contatto con adolescenti cronici. "I pazienti cronici sono spesso trascurati a livello psicologico proprio per il perdurare della loro condizione che, alla fine, viene considerata quasi la normalità. Il fatto di trascorrere lunghi periodi di degenza provoca dunque isolamento, noia, ansia e vulnerabilità emotiva," spiega Taucar.

Secondo una ricerca della Società Italiana di Pediatria (2017), citata nella nota del Burlo, circa il 20-30% degli adolescenti italiani soffre di una malattia cronica che si protrae per più di 6 mesi, e circa il 10-13% di essi percepisce tale condizione come assai penalizzante per la qualità di vita.

Lo studio ha schiuso una finestra di conoscenze in più sul mondo degli adolescenti, aggiunge Taucar: "Per reclutare i pazienti ho lanciato un appello su FB, cui hanno risposto in 72 dopo appena 10 minuti." Importante è stato il ruolo del passa parola: molti ragazzi hanno chiesto il permesso di condividere la partecipazione allo studio con amici di FB affetti da patologie simili. "In breve ho raccolto 212 volontari," dice Taucar.

Dall'analisi dei questionari è emerso che tra le fasi non acute e le riacutizzazioni della malattia i tempi di permanenza su FB aumentavano (da 5 a 11 ore). Ha messo in luce come FB sia usato per raccogliere informazioni sanitarie relativamente sicure - mediante confronto fra pari sull'andamento delle terapie, o delle crisi, ma senza coinvolgere medici e infermieri, che non sono affatto graditi fra gli amici di FB, in quanto percepiti come un limite alla propria indipendenza.

Infine, ha permesso di comprendere l'importanza sociale di questo mezzo: un paziente in fase acuta di malattia ha potuto comunque partecipare al compleanno di un amico grazie a una diretta FB, dallo schermo del computer portato in pizzeria dal gruppo.

Lo studio ha anche qualche limite, per esempio l'ampio range di età dei pazienti, e la possibilità che la percezione soggettiva della malattia sia molto differente fra i più giovani rispetto ai più maturi.

"La nostra indagine è il primo passo di un lungo cammino esplorativo sul mondo degli adolescenti e dei social," dice Barbi. Che conclude con una provocazione: "Per l'epoca in cui siamo e per il livello di interconnessione, credo non sia più accettabile che gli ospedali siano privi di connessione alla rete. Uno standard elevato di cure dovrebbe, oggi, considerare anche l'accesso wi-fi come parte della qualità del servizio erogato." 

03 febbraio 2020
© Riproduzione riservata

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