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Alla Fiera dell’Est col Coronavirus. Il ritorno del marketing della paura

di Fabrizio Gianfrate

Insieme agli inevitabili allarmismi mediatici vanno guardati anche i numeri. Al momento, la morbilità in Cina è di 0,43 casi x 100.000 abitanti, ovvero 6.072 infettati su 1 miliardo e 400 milioni di cinesi, con una mortalità non così diversa da quella di una brutta influenza, il 2,17% dei colpiti. In EU ad ora abbiamo 8 malati (4 in Germania e 4 in Francia), ovvero 8 casi su 512,4 milioni di europei, quindi con una morbilità di 0,0016 casi x 100.000 abitanti, 1 ogni 64 milioni

29 GEN - E si ammalò il tedesco, che s’infettò dal cinese che si mangiò il serpente, che si mangiò il pipistrello, che si mangiò l’insetto che si mangiò il Coronavirus…. Avviene ovviamente alla fiera dell’est, quella degli animali vivi a Wuhan da dove tutto è partito.
 
Già, anche stavolta, dopo SARS, Aviaria, Suina ecc., il pericolo è giallo, viene dalla lontana, evidentemente non abbastanza, provincia cinese allo stesso tempo popolatissima e dall’eccessiva promiscuità tra uomo e animale, un mix socio-epidemiologico esplosivo. Scattata in loco la più estesa quarantena di sempre (oltre 50 milioni di abitanti, come chiudere l’Italia o la Francia) e attivato tutto il network mondiale di protezione sanitaria, da noi ben collaudata e funzionante.
 
Però insieme agli inevitabili allarmismi mediatici vanno guardati anche i numeri. Al momento in cui scrivo, la morbilità in Cina è di 0,43 casi x 100.000 abitanti, ovvero 6.072 infettati su 1 miliardo e 400 milioni di cinesi, con una mortalità non così diversa da quella di una brutta influenza, il 2,17% dei colpiti.
 
In EU ad ora abbiamo 8 malati (4 in Germania e 4 in Francia), ovvero 8 casi su 512,4 milioni di europei, quindi con una morbilità di 0,0016 casi x 100.000 abitanti, 1 ogni 64 milioni.
 
Certo ne verranno fuori altri. Pur senza assolutamente sottovalutarne la potenziale pericolosità, sono numeri che non giustificano allarmismi da peste manzoniana.
 
Giusto per fare un paragone piuttosto usato da attuariali ed econometristi, il tasso di suicidi tra gli italiani è di 6,5 x 100.000, ovvero è 4.062 volte più probabile che ci suicidiamo anziché beccarci il Coronavirus. Insomma, va temuto molto di più quel losco figuro che vi guarda dallo specchio
 
Eppure la paura per il virus di Wuhan cresce tra tanti. Magari mentre, pur già sovrappeso, addentano l’ennesima salsiccia, svuotando il cartone di Tavernello, prima della ventesima sigaretta della giornata e del doppio amaro, per poi immergersi nello smog delle città più inquinate d’Europa, guidando senza cintura. Insomma chi sulla propria salute dovrebbe preoccuparsi di problemi più cogenti e assai più pericolosi.
 
Certo, l’enfasi mediatica sul diabolico serpente cinese untore (simbolismo che pare fatto apposta) attrae, “armi di distrazione di massa”, con lo strumento di marketing più potente degli ultimi anni: la paura (ne avevo scritto qui su QS qualche tempo fa). 
 
Paura che porta le genti incolte, le nostre tra le meno scolarizzate dell’EU, a utilizzare immotivatamente i servizi sanitari, soprattutto i pronto soccorso, ingolfandoli ulteriormente solo per placare le proprie ansie. A spese di quelli che, in coda, invece ne hanno davvero bisogno. E degli operatori sanitari tutti.
 
O invece, forse, chissà, davvero un virus ci sterminerà tutti, come in certe serie tv dozzinali, col mondo che finirà non con un gran botto, come temevamo da giovani ai tempi della guerra fredda, ma con un flebile sospiro, “not with a bang but a whimper”, come scriveva il Nobel Eliot.
 
Buffo. Siamo cresciuti con l’incubo del conflitto nucleare, temendo l’atomica del dr. Stranamore, e oggi invece l’arma “fine-di-mondo” è l’alitosi del vicino dall’occhio febbricitante, assai peggio se a mandorla.
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria

29 gennaio 2020
© Riproduzione riservata

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