Infiammazioni. Ecco perché fanno male al cuore
Una particolare variante del recettore dell’interleuchina 6, nota ai ricercatori perché coinvolta negli stati infiammatori e nelle patologie autoimmuni, potrebbe rivelarsi centrale anche nello sviluppo delle malattie cardiovascolari. Lo studio pubblicato su The Lancet.
16 MAR - Che gli stati infiammatori non facessero bene all’organismo, gli scienziati lo sapevano già da un po’. Ma oggi arriva la conferma che una proteina coinvolta nei processi di infiammazione, il recettore dell’interleuchina 6, contribuisce direttamente allo sviluppo di patologie cardiovascolari. A dirlo è un massiccio
studio della Cambridge University pubblicato su
The Lancet, in cui sono stati analizzati i dati raccolti da 82 precedenti lavori.
La ricerca, intrapresa come parte dell’IL6R Genetics Consortium and Emerging Risk Factor Collaboratione finanziata dalla British Heart Foundation e dal Medical Research Council, ha infatti coivolto più di 200 mila pazienti. I risultati suggeriscono che scegliendo come bersaglio le molecole che servono per la trasduzione intracellulare del segnale dell’interleuchina 6, una proteina che può agire sia a favore che contro gli stati infiammatori, si può sviluppare una terapia efficace per le malattie del cuore.
Il team si era in particolare concentrato sulla variante Asp358Ala, polimorfismo del recettore dell’interleuchina 6 noto perché coinvolto nella risposta infiammatoria.
I ricercatori hanno scoperto che le persone che presentavano la variante Ala riportavano percentuali di rischio minori per le coronaropatie (3,4% in meno per ogni copia ereditata del polimorfismo). Sebbene questo valore possa sembrare basso, gli scienziati assicurano che se si sviluppasse un farmaco basato su questa conoscenza, la riduzione potenziale sarebbe molto più grande. “Le persone che possiedono la variante 358Ala avevano livelli più bassi dei marker di infiammazione sistemica, il che suggerisce che il recettore possa giocare un ruolo nello scoraggiare questo stato”, ha spiegato
Adam Butterworth, co-autore dello studio. “Poiché i portatori di questa variante presentano anche un rischio minore di insufficienza cardiaca, questo indica che l’interleuchina 6 gioca un ruolo cruciale nelle coronopatie”.
Oltre ad aprire nuove possibilità di ricerca e di sviluppo di terapie alternative, questa scoperta ha anche un altro lato positivo: “Di solito ci vogliono diversi anni per sviluppare farmaci che abbiano come bersaglio nuove molecole o nuovi processi”, ha commentato ancora il ricercatore. “Ma in questo caso, invece, i farmaci sono già pronti, poiché la molecola è coinvolta anche nello sviluppo di patologie autoimmuni. Uno di questi medicinali, il Tocilizumab, è già utilizzato per il trattamento dell’artrite e dunque – se si rivelasse efficace – si potrebbe usare a breve anche per i problemi cardiaci”.
Laura Berardi
16 marzo 2012
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